Dagli incendi dei cassonetti della spazzatura al concerto delle pentole (vedi foto, manifestazione a Parigi). La Francia stenta ad uscire dalla crisi sociale e politica in cui è immersa dopo il lancio del progetto di legge sulle pensioni. La riforma è stata ora promulgata e costringerà i francesi a lavorare di più, dai 62 anni di oggi ai 64 anni. La misura entrerà in vigore progressivamente entro il 2030. Il percorso democratico del progetto di legge è stato molto combattuto ed è sfociato nell’approvazione finale del Consiglio costituzionale, l’organo supremo che decide se un progetto legislativo è conforme alla Costituzione e alle leggi in vigore. Molti speravano che la decisione del Consiglio costituzionale potesse porre fine alla contestazione e ripristinare quello che la Francia ha smarrito negli ultimi mesi, ossia il dialogo sociale e la prassi democratica fondata sul confronto delle idee e delle opinioni. Ma non è stato così. La protesta è proseguita; il dialogo tra i sindacati e il Governo non si è riallacciato; il baratro che separa il presidente e l’Esecutivo dall’opinione pubblica ha assunto dimensioni notevoli.
I partiti e i sindacati contrari alla riforma sperano ancora di riuscire a bloccare il progetto. Organizzano le manifestazioni popolari annunciate e incoraggiano quelle spontanee. Lo scopo – difficile da raggiungere – è di convincere il presidente a rinunciare alla riforma. Tentano anche di seguire due diverse strade legali. La prima potrebbe portare a una legge abrogativa della riforma. Il progetto di una simile legge deve però essere approvato dall’Assemblea nazionale e dal Senato e non è certo che si riesca a raggiungere la maggioranza richiesta. La seconda strada deve essere approvata dal Consiglio costituzionale e porta a un referendum popolare, chiamato Référendum d’initiative partagée. In nove mesi i promotori del referendum devono raccogliere 4,8 milioni di firme, ossia un decimo dell’elettorato. È un obiettivo che non è mai stato raggiunto nella storia della Quinta Repubblica.
Per calmare gli animi e spostare l’attenzione su altre riforme e altri progetti, il presidente e i ministri escono dai loro uffici e cercano il contatto con la gente – parlando soprattutto dell’inflazione e del potere d’acquisto, grandi preoccupazioni dei francesi – nonché dei problemi con i quali è confrontato il settore sanitario. Non vengono però ben accolti. Ogni loro intervento si scontra con un gruppo di manifestanti, di solito non molto folto, ma deciso a rendere impossibile la visita. Gli insulti, il frastuono delle pentole e di altri oggetti, il blocco degli accessi e gli scontri con la polizia sono all’ordine del giorno e dimostrano quanto sia profonda la crisi attuale. Le cifre svelate dai sondaggi sono impietose. Tre francesi su quattro sono contrari alla riforma delle pensioni e non hanno fiducia nel Governo. La popolarità del presidente Macron è scesa a livelli molto bassi. Soltanto un francese su quattro l’appoggia ancora e un’ampia maggioranza lo ritiene autoritario, arrogante e difensore dei ricchi. Un recente sondaggio l’ha dato perdente in un ipotetico nuovo scontro con Marine Le Pen, la leader del Rassemblement National.
Le istituzioni che caratterizzano la Quinta Repubblica danno al presidente eletto un potere immenso, senza uguali nelle democrazie europee. È dunque a lui che si guarda in caso di crisi ed è da lui che si attendono i correttivi necessari. Emmanuel Macron sta cercando di reagire. Moltiplica le visite in varie parti della Francia per riallacciare il dialogo con i cittadini e ha promesso di fare, entro il 14 luglio, giorno della festa nazionale, un bilancio dell’azione che ha chiesto al Governo di Elisabeth Borne di svolgere nelle prossime settimane. La sua azione si scontra, però, con due grossi ostacoli. Il primo è il risentimento nei suoi confronti, che è molto diffuso tra i francesi, e il secondo è la mancanza di una maggioranza assoluta nell’Assemblea nazionale. Le ultime elezioni legislative hanno generato un crogiuolo di minoranze politiche diverse, che si contrappongono e che stentano a costruire tra di loro una maggioranza anche soltanto su singoli progetti. Sono ostacoli che rendono difficile il superamento della crisi e che possono protrarne la durata per più mesi.
Macron è stato eletto nel 2017 e la sua elezione è stata vista come una vittoria sul populismo nazionale, dopo il referendum sulla Brexit e l’elezione di Donald Trump negli Stati Uniti. Nel 2022 è stato rieletto e la maggior parte dei Paesi europei non ha nascosto la propria soddisfazione per l’ennesima vittoria sul Rassemblement National. Nel 2027 Macron non potrà ripresentarsi per chiedere un terzo mandato. La Costituzione francese non lo consente. Gli rimangono però ancora quattro anni, durante i quali non può restare inattivo. I cambiamenti climatici e geostrategici richiedono un’azione continua sia all’interno dei singoli Paesi, per favorire il progresso e diminuire le disuguaglianze, sia a livello europeo, per consentire al nostro Continente di avere un posto tra le grandi potenze mondiali. Macron deve e può ancora dare un contributo.