Francia, e adesso?

Il punto sulla rivolta dei più giovani e le sfide che Macron deve affrontare
/ 10.07.2023
di Marzio Rigonalli

Dopo le innumerevoli manifestazioni di protesta contro la riforma delle pensioni, la Francia deve ora far fronte alla rivolta dei più giovani (rivolta che ha avuto eco anche nella Svizzera francese). Il punto di partenza dell’insurrezione è stata, a Nanterre, l’uccisione di un diciassettenne da parte della polizia durante un controllo stradale. Il dramma ha messo in agitazione i quartieri più poveri alla periferia di Parigi, ma poi ha toccato tutto il territorio nazionale, assumendo forme di violenza inaudite. Sono stati attaccati un po’ ovunque un centinaio di municipi, più di mille edifici amministrativi, scuole, biblioteche e posti di polizia. Numerose vetrine sono state saccheggiate e gli incendi di case, bus, tram e auto hanno raggiunto cifre impressionanti. Uno dei momenti più tragici della rivolta è stato l’attacco sferrato con un’automobile contro il domicilio del sindaco di Haÿ-les-Roses, un sobborgo alle porte di Parigi. La moglie del sindaco e i due figli piccoli sono riusciti a fuggire, ma sono rimasti feriti. Un altro episodio inquietante è stato il ritrovamento di una pallottola nel gilet antiproiettile di un poliziotto a Nîmes. Una prova che alcuni insorti erano pronti a ricorrere all’uso delle armi.

Di fronte all’ondata di violenza le autorità hanno reagito impiegando ben 45 mila poliziotti e gendarmi, e i membri di unità speciali. In pochi giorni sono stati arrestati circa 3500 giovani e alcuni di loro sono stati subito condannati a pene detentive. Grazie al massiccio intervento della polizia, a una certa fatica subentrata tra gli insorti e agli innumerevoli appelli a rinunciare alla violenza lanciati dai politici e da responsabili della società civile, l’intensità della rivolta si è progressivamente indebolita. Gli attacchi sono diminuiti e il numero degli arresti è sceso drasticamente. Ora molti sperano che tutto sia finito; altri temono che i disordini possano riprendere forza, anche a seguito della morte a Marsiglia di un uomo ucciso probabilmente da un proiettile di gomma della polizia.

Timida la reazione della classe politica agli atti di violenza. Destra ed estrema destra si sono schierate con la polizia; sinistra ed estrema sinistra non hanno lanciato appelli alla calma e hanno chiesto la riforma delle forze dell’ordine. Più reattivi i sindaci, spesso vittime di aggressioni verbali e fisiche. Lunedì 3 luglio, a mezzogiorno, le sirene dei 36 mila comuni francesi hanno suonato e la popolazione, su invito dei sindaci, si è raccolta davanti ai municipi per esprimere sostegno e vicinanza ai loro eletti. Il giorno dopo, il 4 luglio, 240 sindaci si sono riuniti all’Eliseo e hanno avuto la possibilità di parlare con il presidente, di esporgli la loro difficile situazione e di chiedergli misure di sostegno. Emmanuel Macron ha promesso loro aiuti per riparare i danni causati degli insorti.

Come spesso avviene in Francia in caso di crisi, molti si attendono un intervento risolutivo del presidente. Macron ha dato ordini per favorire un rapido ritorno alla normalità. Ha rinunciato a un viaggio in Germania, dove avrebbe dovuto incontrare il cancelliere tedesco Olaf Scholz. Ora, per superare la crisi, gli tocca dare una risposta politica. Una risposta, però, che non è facile per due ragioni. In primo luogo perché le cause della rivolta non sono chiare. Non c’è nessuna rivendicazione politica. La giovane età e la violenza espressa dagli insorti pongono interrogativi che non hanno risposte certe. Trattasi di una minoranza attiva o di un fenomeno dalle dimensioni più ampie? Che cosa sta a monte? La difficile situazione economica e sociale che caratterizza alcuni quartieri periferici? Il loro tasso di disoccupazione, intorno al 18%, ben più alto della media nazionale? La mancata integrazione degli stranieri, provenienti soprattutto dagli stati del Nordafrica? Il non rispetto di qualsiasi forma di autorità? Il sentimento diffuso tra molti giovani di non essere ben accolti, di avere un futuro senza prospettive e di non fare veramente parte della società? La seconda ragione alla base del difficile momento risiede nei tempi. Le conseguenze concrete di una risposta politica non appaiono quasi mai immediatamente. Hanno bisogno di tempo per emergere e, solitamente, diventano attive soltanto a medio e lungo termine. Il tempo necessario non aiuta dunque a soddisfare l’esigenza di poter disporre subito di risultati concreti.

Dopo la crisi dei gilet gialli, dopo la pandemia e dopo le giornate di mobilitazione contro la riforma delle pensioni, Macron deve affrontare una quarta crisi. È in carica da 6 anni e la nuova crisi riduce il suo spazio d’azione sia sul piano interno, per poter affrontare le riforme di cui il Paese ha bisogno, sia sul piano esterno, per poter essere al fianco dei Paesi alleati nell’affrontare le sfide geopolitiche cui deve far fronte l’Europa. È una prova che conferma anche quanta violenza caratterizza la società francese, quanta rabbia c’è nei confronti dei rappresentanti dell’autorità, siano essi politici eletti, funzionari che svolgono un’attività di difesa della società (come poliziotti o gendarmi) oppure civili attivi nei settori dell’educazione e dell’integrazione. È una violenza che è aumentata negli ultimi anni e di fronte alla quale è difficile trovare soluzioni.