Trent’anni dopo il no popolare allo Spazio economico europeo (6.12.1992) e 18 mesi dopo l’affossamento da parte del Consiglio federale del progetto di accordo istituzionale negoziato con l’Ue (26.5.2021), le relazioni tra la Svizzera e l’Unione europea sono praticamente congelate. Il nostro Paese è stato escluso da «Horizon Europe», il programma europeo per la ricerca e l’innovazione per il periodo 2021-2027. Gli accordi bilaterali conclusi fin ora sono ancora in vigore, ma vengono attualizzati soltanto se è nell’interesse dell’Unione, e possibili nuovi accordi bilaterali non vengono neanche presi in considerazione. Un recente segnale del raffreddamento bilaterale è stato il rinvio alle calende greche delle conclusioni degli Stati dell’Ue sulla Svizzera. Trattasi di una sorta di valutazione che avviene ogni due anni, attraverso la quale i Paesi membri danno la linea politica alla Commissione europea. Quest’anno queste conclusioni sulla Svizzera non sono avvenute, probabilmente a causa dell’opposizione della stessa Commissione e della Francia, ma sicuramente perché non sono stati realizzati progressi nella ricerca di un’intesa tra le due parti.
Quali sono i dossier che sono al centro delle divergenze tra le due parti? Sono praticamente gli stessi ostacoli che hanno spinto il Consiglio federale, nel maggio 2021, a rinunciare al progetto di accordo istituzionale. Vi è la ripresa dinamica del diritto europeo. La Svizzera dovrebbe inserire negli accordi bilaterali gli ulteriori sviluppi della legislazione europea. Chiede però di poter difendere e salvare gli strumenti della democrazia diretta, come per esempio il referendum. Vi è l’iter che converrebbe seguire per risolvere i conflitti che sorgono nell’applicazione degli accordi bilaterali. In questo ambito, l’Unione europea chiede che nei casi in cui viene applicato il diritto europeo si faccia ricorso alla Corte di giustizia europea. Vi sono poi due settori sui quali si è ampiamente discusso anche nei media, ossia la protezione dei salari e la direttiva sulla cittadinanza europea. Nel primo caso, la Svizzera vorrebbe rimanere autonoma nella gestione della protezione dei salari, al fine di impedire varie forme di dumping. I sindacati difendono a denti stretti questa autonomia. L’Unione europea, invece, vorrebbe che venissero applicate le norme europee e, in particolare, che venisse ridotta la regola degli otto giorni, imposta alle aziende europee costrette ad annunciare con anticipo i lavori che svolgeranno in Svizzera. Nel secondo caso, quello della cittadinanza europea, Bruxelles chiede che i cittadini europei possano accedere agli aiuti sociali senza alcun limite, quando hanno perso il lavoro dopo un anno di attività. Berna teme che questa possibilità aumenti in modo sconsiderato il ricorso alle prestazioni sociali da parte dei cittadini europei. A questi dossier centrali conviene poi aggiungere anche gli aiuti statali, che l’Unione europea vuole sopprimere, perché ritiene che alterino la concorrenza, ma che i Cantoni vedono di buon occhio, viste le garanzie statali offerte alle banche cantonali. Da ultimo, il dossier con la conflittualità forse più bassa, quello del contributo svizzero all’Unione europea. Bruxelles vede questo contributo come una tassa da pagare per poter entrare nel mercato unico. Si attendono dunque dei contributi periodici regolari. Quest’anno la Svizzera ha deciso di versare un secondo contributo di 1,3 miliardi di franchi, destinato a ridurre le disparità economiche e sociali in seno all’Ue, e Berna non si è dichiarata contraria a prendere in considerazione, in futuro, eventuali cambiamenti.
Di fronte a questa lunga lista di divergenze, le due parti hanno intrapreso ben poco e non hanno manifestato importanti segnali di voler trovare un accordo in tempi brevi. L’Unione europea continua a chiedere alla Svizzera di proporre soluzioni ai principali dossier e si rifiuta di compiere gesti distensivi che potrebbero riavvicinare le due parti, come per esempio l’associazione della Svizzera ai programmi di ricerca «Horizon Europe». Dal canto suo, il Consiglio federale, pur attribuendo molto valore agli accordi bilaterali con l’Ue, non è ancora riuscito a far convergere i Cantoni, i partiti, le associazioni professionali e i sindacati su una posizione negoziale comune, e ha affidato una missione esplorativa alla segretaria di stato Livia Leu. Il primo colloquio esplorativo tra la signora Leu e i funzionari della Commissione europea è avvenuto in febbraio. Il sesto colloquio era previsto per l’11 novembre. Fino ad ora queste discussioni preparatorie non hanno registrato nessun progresso. Negli ultimi giorni, però, alcuni organi di stampa, citando fonti non precisate, hanno annunciato come imminente una possibile svolta, ossia una dichiarazione comune che aprirebbe la porta a un futuro negoziato bilaterale. Visto quanto è successo fin ora, sarebbe ovviamente una sorpresa, che troverebbe una positiva accoglienza sia in Svizzera sia nella maggior parte dei paesi membri dell’Ue.
Per convincere le due parti a trattare, non sono mancate le pressioni. Sul piano interno, si è cercato di far pressione a livello parlamentare, per costringere il Consiglio federale a trattare con l’Ue e si stanno preparando iniziative popolari che ricercano lo stesso obiettivo e che dovrebbero essere lanciate nei prossimi mesi. Anche alcuni partiti politici si sono mossi nella stessa direzione, come per esempio il partito socialista che, recentemente, ha proposto addirittura l’adesione della Svizzera all’Ue. Un’adesione da raggiungere, passando attraverso alcune fasi successive come l’associazione e una legge sull’Europa. Sul piano internazionale, la pressione sulla Commissione europea c’è stata, ma è risultata molto contenuta. Il maggior sostegno alla Svizzera è venuto dalla Germania. Il ministro dell’economia tedesco, Robert Habeck, e il ministro-presidente del Baden-Württemberg, Winfried Kretschmann, hanno sottolineato l’importanza della Svizzera in Europa e si sono espressi pubblicamente in favore dell’associazione della Confederazione al programma «Horizon Europe». E un altro sostegno è arrivato anche da alcuni parlamentari europei che, in ottobre, si sono espressi a favore di un accordo tra l’Ue e la Svizzera, dopo un incontro con una delegazione parlamentare elvetica.
Se la situazione attuale non registrerà sostanziali cambiamenti, i tempi disponibili per avviare un nuovo negoziato bilaterale diventeranno sempre più ristretti. Fra meno di un anno, il 22 ottobre 2023, si svolgeranno le elezioni federali e nel 2024 verranno rinnovati la Commissione europea e il parlamento europeo. Sono appuntamenti preceduti da lunghe campagne elettorali, durante le quali le svolte diplomatiche non sono all’ordine del giorno. L’attesa rischia quindi di prolungarsi. Se non si troverà presto una via d’uscita, il dossier rischia di rimanere in sospeso per molto tempo e di finire poi nelle mani di una nuova compagine che verrà creata, dopo le elezioni, sia a Berna sia a Bruxelles.