Focus sull’assassino e sul rifiuto della paternità

Italia, la freddezza con la quale Impagnatiello ha ammazzato la compagna incinta è qualcosa su cui riflettere a livello collettivo
/ 12.06.2023
di Cristina Marconi

Nel fulminante Decline of the English Murder, lo scrittore inglese George Orwell racconta che nel dopoguerra gli omicidi che colpivano di più l’opinione pubblica erano quelli in cui il responsabile era un uomo rispettabile che commetteva un delitto perché gli sembrava «meno imbarazzante, e meno dannoso per la sua carriera, rispetto all’essere sorpreso nell’adulterio». Quelle terribili vicende erano «prodotti di una società stabile, in cui l’ipocrisia garantiva che crimini gravi come l’omicidio avessero dietro di loro emozioni forti»: l’assassinio era una crepa nella società e in quanto tale doveva essere sofferto, pieno di «gravitas».

La tragica fine della 29enne Giulia Tramontano, consumatasi nel Milanese, sta scuotendo l’opinione pubblica, non solo italiana, con un clamore che non è stato dedicato agli altri casi di femminicidio, altrettanto tragici e vertiginosamente frequenti. Con buona pace di Orwell, l’assassino (Alessandro Impagnatiello) non ha manifestato emozioni forti – ha detto di aver ucciso la compagna perché «stressato» – mentre l’esistenza di una relazione parallela era già emersa. L’elemento che rende il caso eccezionale è che, oltre ad aver ucciso la sua partner, come una ventina di altri uomini in Italia dall’inizio dell’anno, l’assassino ha ucciso anche suo figlio nascituro. La violenza maschile nei confronti delle donne rimane ovviamente il tema centrale, a cui si associa quello dell’irresponsabilità maschile davanti all’orizzonte di una famiglia. In un momento di allarme per le culle vuote, di cui il discorso pubblico accusa principalmente le donne e le loro scelte, il caso del femminicida e infanticida – la giovane era incinta di 7 mesi, il bimbo sarebbe ipoteticamente potuto sopravvivere – mostra l’altra faccia della medaglia. Ossia quella di un patriarcato che ha gravi problemi con il concetto di paternità.

Giulia Tramontano era incinta e incinta lo era, prima di decidere di abortire, anche l’amante di Impagnatiello, una ragazza italo-inglese che, dalle cronache, emerge come una figura molto positiva, capace di mettere da parte la propria vanità per diventare amica di quella che tecnicamente era la sua rivale e preoccuparsi per lei come una sorella. Nei messaggini privati che settimana scorsa hanno riempito le pagine dei giornali, il barman, «stressato» da queste due storie parallele che si stavano unendo in un’alleanza che lo vedeva escluso, usava spesso nei confronti della vittima un tono di stucchevole paternalismo – «Vuoi lasciarmi, ma che madre sei?», «Parli così con un bimbo in grembo?» – facendo leva su logori archetipi nel tentativo di convincere Giulia a fare quello che voleva lui. Già, ma cosa voleva, lui? Non si è capito, il movente è fumoso, voleva forse continuare a vivere la sua vita da seduttore da due soldi ed essere al centro dell’attenzione, ma certo non è stato lo sconvolgimento di una vita famigliare rodata a metterlo in crisi. Che padre sarebbe stato?

Dati recenti dell’università di Harvard dicono che negli Stati Uniti la prima causa di mortalità tra le donne incinte e le puerpere è la violenza maschile. Prima delle emorragie, delle setticemie e dell’ipertensione ci sono i compagni e i mariti che, soprattutto laddove il diritto all’aborto è minacciato o inesistente, ricorrono alle armi da fuoco, quelle invece molto facili da reperire, per risolvere quello che nella loro mente è un grande problema. Nel resto del mondo la situazione è diversa – in molti Paesi l’aborto è garantito; pistole e fucili non raggiungono il grande pubblico – ma le dinamiche psicologiche forse non così tanto. Curioso è che quando si tratta di discutere di natalità tutto il peso del dibattito pubblico sia sulle madri, sul corpo delle donne, sull’aborto, sui danni della contraccezione, sull’ambizione professionale che porta a rimandare troppo il momento di fare figli e mai, neppure una volta, sul fatto che i giovani uomini non sono disponibili a farsi carico di una felicità enorme che arriva anche con delle responsabilità. Quanti titoli sulla denatalità mettono l’accento sul ruolo maschile? Nessuno, eppure per fare figli bisogna essere in due. Fare figli non è solo cosa da donne, come vecchi schemi sui rapporti tra i generi ancorati nelle coscienze tendono a raccontare. Schemi faticosi da seguire anche per gli uomini.

Se Pietro Maso è stato il figlio oscuro dell’Italia dei primissimi anni Novanta (a 19 anni uccise i genitori per questioni di eredità), in cui il benessere materiale stava soppiantando gli affetti come perno delle relazioni familiari, e Annamaria Franzoni è stata per decenni il simbolo del lato nero della maternità, Alessandro Impagnatiello dovrebbe servire a meditare sull’idea contemporanea di paternità. Una generalizzazione? Certo, le eccezioni ci sono grazie al cielo, ma il barman trentenne con una bella carriera avviata in un locale scintillante nella grande città simbolo dell’edonismo italiano è rappresentativo di qualcosa, c’è poco da fare. La leggerezza con la quale ha deciso di liberarsi della compagna incinta senza lasciarle scampo è qualcosa con cui dobbiamo fare i conti a livello collettivo. Questa storia poteva sapere di futuro e invece sa solo di morte, sangue e tragedia.

«Educate i vostri figli», dice lo slogan, ed è vero che c’è un gigantesco problema di maschilismo (non solo) in Italia, di ruoli ancora sclerotizzati nei vecchi schemi. Ma quanti decenni ci vogliono per formare una generazione di uomini più aperti, psicologicamente disponibili ad accogliere figure femminili emancipate e autonome senza sentirsi per questo sminuiti, insicuri nel loro ruolo? Il discorso pubblico sulla famiglia deve cambiare urgentemente, non si può tornare indietro, sognare che i vecchi schemi portino ai risultati di una società prospera e fertile. Nel 2021, secondo l’ONU, almeno 45 mila donne e ragazze nel mondo sono state uccise dal marito, dal partner o da un altro parente. Si tratta di un fenomeno che interessa tutti i Paesi, tutti i ceti sociali, tutte le età. È il momento di rifondare un’idea di famiglia più solare, un nucleo sociale che sia anche un luogo di felicità e di appagamento e non solo di doveri percepiti come pesanti, insostenibili (spesso sbilanciati tra i generi). In questo modo si potrà tornare a fare figli da giovani, con fiducia. L’orribile omicidio di Giulia Tramontano ci racconta di un patriarcato camuffato sotto i lustrini, che ha abbracciato alcuni aspetti della contemporaneità – quelli più esteriori e superficiali – ma non sa più neppure essere padre: è rimasta solo la brutalità.