Il 19 maggio prossimo, gli Svizzeri dovranno pronunciarsi ancora una volta sulla riforma fiscale delle imprese, contro cui è stato lanciato il referendum. Si tratta di una versione riveduta e corretta del progetto (Riforma III dell’imposizione delle imprese), respinto dal popolo nel febbraio del 2017, perché giudicato non abbastanza equilibrato. La Riforma della fiscalità delle imprese si rende necessaria in seguito alla prevista abolizione dell’imposizione privilegiata delle holding e di altre società straniere, un passo che la Svizzera deve compiere su pressione internazionale. Stavolta, però, si è pensato bene di abbinare la nuova riforma a un’indispensabile iniezione nell’AVS di circa 2 miliardi di franchi supplementari all’anno per contribuire a garantire le rendite, dato che i beneficiari sono sempre più numerosi (vedi articolo di Bonoli a pagina 28). Un versamento necessario che dovrebbe dunque convincere i cittadini ad approvare finalmente anche la riforma fiscale delle imprese, qualcuno pur «turandosi il naso».
Frutto di un compromesso, la Legge federale concernente la riforma fiscale e il finanziamento dell’AVS (RFFA) permette – secondo i suoi sostenitori – di prendere due piccioni con una fava: garantisce un’imposizione delle imprese competitiva a livello internazionale e un sistema di previdenza affidabile. Insomma, una soluzione equilibrata per due problemi urgenti. Per gli avversari si tratta invece di uno stratagemma per convincere il popolo ad approvare un’ennesima riforma dell’imposizione delle imprese che «favorisce solo i super ricchi».
La posta in gioco resta la stessa di due anni fa: appunto a causa della pressione dell’Unione europea, la Svizzera deve rinunciare agli statuti fiscali speciali (privilegi fiscali) accordati a 24’000 società che operano prevalentemente a livello internazionale. Queste società impiegano in Svizzera circa 150’000 persone, garantendo alla Confederazione più o meno la metà e ai Cantoni e Comuni un quinto delle imposte delle persone giuridiche. Per queste imprese, private dei privilegi fiscali, le imposte aumenteranno. Ma attenti a non sopprimere la gallina dalle uova d’oro! Così, per attenuare l’incremento dell’onere fiscale sono previsti nuovi alleviamenti, come un sistema di patent box, che consentirà di ridurre l’imponibilità degli utili da brevetti. Verrebbero accordate deduzioni supplementari per le attività di ricerca e di sviluppo.
Inoltre, per evitare alla piazza economica svizzera, sempre a causa dell’abolizione dei privilegi fiscali, di perdere attrattiva, i Cantoni potranno ridurre di propria iniziativa l’aliquota sull’utile per tutte le imprese. A titolo di compensazione – ed è questa la principale misura fiscale della RFFA – la Confederazione verserà loro circa un miliardo di franchi, attraverso un aumento dal 17% al 21,2% della quota cantonale sul gettito dell’imposta federale diretta (IFD). Dal canto loro, i Cantoni saranno tenuti a indennizzare le città e i Comuni per le eventuali ripercussioni derivanti dalle riforme cantonali. La facoltà dei Cantoni di ridurre l’aliquota sull’utile – secondo il comitato referendario – genererebbe una pericolosa corsa al dumping fiscale intercantonale.
A breve termine, per Confederazione, Cantoni e Comuni si stima che le misure fiscali comportino minori entrate pari a circa 2 miliardi di franchi all’anno. Sul medio-lungo termine le entrate sarebbero però più elevate rispetto a quelle che si otterrebbero rinunciando alla riforma. Per il presidente della Confederazione e ministro delle finanze Ueli Maurer, la perdita di oggi è un investimento per il futuro che, oltre a garantire la certezza del diritto, rafforzerà l’attrattiva della piazza economica elvetica, contribuendo a creare posti di lavoro e quindi benessere. La concorrenza fiscale internazionale – ha ricordato il consigliere federale UDC – si è rafforzata negli ultimi anni. Da qui l’esigenza di mantenere il passo, anche per preservare il substrato fiscale attuale.
La campagna per il sì alla RFFA è sostenuta da un’ampia alleanza di partiti e organizzazioni economiche di cui fanno parte PLR, PPD, PBD e Partito evangelico, nonché economiesuisse e l’Usam. Anche il Partito socialista, pur non unito, è sceso in campo per sostenere il progetto di legge che – secondo i sondaggi – otterrebbe una debole maggioranza. L’UDC ha invece deciso di lasciare libertà di voto.
Come due anni fa, la messa in guardia dei fautori resta la stessa: se la riforma fosse bocciata, le imprese svizzere attive all’estero sarebbero esposte a sanzioni e a doppie imposizioni. Sta di fatto che il cittadino è ancora una volta confrontato con una materia complessa (il testo in votazione contempla 15 pagine di tecnica fiscale) dai risvolti finanziari, economici e sociali. Non riuscendo a capacitarsi e senza dati attendibili, il Sovrano potrebbe nuovamente rinviare tutto al mittente, anche se la necessità di sostenere l’AVS dovrebbe far pendere la bilancia in favore della RFFA, che riprende parte degli sgravi fiscali della Riforma III.
La sinistra aveva sparato a zero contro quest’ultima, contribuendo al suo affossamento (59,1% di no) da parte del popolo nel febbraio del 2017. Una parte degli argomenti di allora sono ripresi oggi da coloro che, nel campo rosso-verde, chiedono ancora di respingere la nuova versione del progetto. Denunciano i regali fiscali ai più ricchi e il citato dumping fiscale intercantonale. Per i Verdi, la riforma andrebbe solamente a favore degli azionisti delle imprese più redditizie. Accettarla significa creare un buco miliardario, con conseguenti tagli nelle prestazioni per l’aiuto sociale o l’istruzione e, non da ultimo, per la protezione del clima.
Il PS si distanzia ora da questa campagna. La maggioranza dei socialisti è soddisfatta delle concessioni ottenute. Secondo loro, il Parlamento ha nettamente riveduto il progetto di due anni fa. Saranno applicate regole più severe all’imposizione dei dividendi e al rimborso delle riserve da apporti di capitale delle imprese, ciò che comporterà un maggior onere fiscale per gli azionisti.
La riforma sottoposta in maggio al popolo non soltanto corregge il tiro in materia di fiscalità delle imprese – tiene infatti conto delle esigenze espresse nella campagna del 2017, sia da Cantoni e Comuni, sia da sinistra e sindacati, per i quali privilegiava eccessivamente le società a scapito dei lavoratori –, ma vi associa anche una componente sociale: propone di versare 2 miliardi di franchi supplementari all’AVS. Molti si chiedono quale sia il nesso tra fiscalità delle imprese e primo pilastro. Orbene, Ueli Maurer garantisce che, secondo una perizia dell’Ufficio federale di giustizia, l’unità della materia è preservata. A suo dire, si tratta di un tipico compromesso alla Svizzera, senz’altro migliore di un «no» alle urne.
Tornando all’AVS, l’invecchiamento della popolazione sta provocando un problema di finanziamento. Senza interventi, tra dieci anni il capitale del fondo di compensazione sarà prosciugato. La riforma in votazione mira proprio a evitare che si formi questa voragine, versando 2 miliardi di franchi supplementari per anno in cambio di ogni franco di sgravio alle imprese. A un aumento degli importi minimi degli assegni familiari, come proponeva il Consiglio federale, le Camere hanno dunque preferito un pacchetto sociale più ampio.
Dei 2 miliardi, 800 milioni saranno versati dalla Confederazione e l’importo residuo sarà a carico delle imprese e degli assicurati. I contributi all’AVS saranno leggermente aumentati per la prima volta in 40 anni. L’aliquota di contribuzione sarà aumentata di 0,15 punti per i datori di lavoro e per i lavoratori. Il progetto è giudicato equilibrato, poiché assicura le pensioni senza un aumento dell’IVA.
Questa misura permetterà all’AVS di prendere fiato. La minaccia dei deficit grava pesantemente sull’assicurazione. Gli ultimi tentativi di riforma sono però falliti: il decreto federale sul finanziamento supplementare dell’AVS mediante l’aumento dell’IVA (50,05% di no) e la legge sulla riforma della previdenza per la vecchiaia 2020 (52,7% di no) sono stati respinti nella votazione popolare del 24 settembre 2017.
Anche questa volta le critiche non mancano. Gli oppositori di sinistra alla RFFA sostengono che non si tratta di una vera compensazione sociale, dato che i pensionati non ricevono il becco di un quattrino. Ma è da destra che le critiche sono più forti. Una parte dell’UDC e i Verdi liberali definiscono un ricatto bello e buono la presentazione di un pacchetto con due progetti (AVS e fiscalità) che non hanno nulla in comune: non si può bocciarne uno senza mandare tutto alle ortiche. Ma non è tutto: le misure previste impedirebbero una vera riforma del primo pilastro e avverrebbero a scapito della classe media. Dei 2 miliardi destinati all’AVS, 1,2 proverrebbero infatti da un aumento dei contributi dei datori di lavoro e dei lavoratori.
Durante i dibattiti parlamentari, l’UDC si è scagliata contro il «mercanteggiamento» costituito dalla nuova riforma. Tra gli oppositori più accaniti figuravano il capogruppo Thomas Aeschi (ZG) e la figlia del «patron» Christoph Blocher, Magdalena Martullo (GR). Ma non tutti i membri del partito la pensano allo stesso modo come, per esempio, il presidente dell’Unione svizzera delle arti e mestieri (USAM) Jean-François Rime. Alla fine, l’UDC ha rinunciato – come detto – a una parola d’ordine, evitando così di andare contro il suo ministro delle finanze Ueli Maurer che difende un «compromesso tipicamente elvetico». E fare compromessi – ricorda quest’ultimo – costituisce un punto di forza del nostro sistema politico, non di debolezza.
Anche il capo del Dipartimento federale dell’interno, Alain Berset, ha sottolineato l’urgenza di intervenire sull’AVS, la principale assicurazione sociale elvetica che «contribuisce alla coesione sociale del Paese». Dal 2014, le entrate per l’AVS non coprono le uscite. I deficit che ne risultano – siamo a 2,7 miliardi di franchi – sono stati finora compensati dal buon andamento dei mercati finanziari, ma non nel 2018.
Per garantire una pensione dignitosa anche nel prossimo futuro, e nell’attesa di una riforma strutturale già avviata col progetto AVS 21 che verrà presentato ancora quest’anno, il primo pilastro ha bisogno di un finanziamento ulteriore, ora chiesto ai cittadini attraverso la RFFA. Se quest’ultima fosse approvata il 19 maggio, il Governo adeguerà di conseguenza la riforma AVS 21. Se invece fosse respinta, il Consiglio federale non esclude – come già aveva annunciato nel 2017 – che all’estero vengano adottate misure nei confronti delle imprese svizzere. Inoltre, senza il finanziamento supplementare i problemi per l’AVS non farebbero che aumentare. A questo punto, per il cittadino la scelta appare obbligata.