Europei alla conquista del mondo

Le nostre radici, la diaspora seguita all’età delle scoperte ha lasciato dietro di sé anche una lunga scia di risentimenti
/ 26.09.2022
di Alfredo Venturi

Verso la fine del Medioevo la classe mercantile d’Europa, che vuole allargare i suoi orizzonti, si scopre avida di conoscenze geografiche. Inoltre la concomitanza di crescita demografica, guerre, pestilenze, intolleranze religiose, povertà induce la società europea a scoprire, nei secoli che scandiscono l’avvio dell’età moderna, che il Vecchio continente le va stretto. Così muove alla scoperta del mondo e apre l’era delle esplorazioni. Proprio questo fenomeno ha forgiato il pianeta come lo conosciamo oggi, con il trapianto nelle terre lontane delle lingue e dei costumi europei. La diaspora seguita all’età delle scoperte ha lasciato dietro di sé un rimescolamento delle carte sociali e culturali ma anche una lunga scia di risentimenti. Infatti la fisiologia della colonizzazione è stata corrotta dalla patologia del colonialismo. Politiche di rapina e sfruttamento sono discese non solo dall’avidità ma anche dalla diffusa convinzione della presunta superiorità della nostra gente sulle popolazioni che vivono altrove.

In epoca rinascimentale l’Europa, nel momento stesso in cui la sua élite intellettuale riscopre il retaggio dell’età classica facendone il fondamento della nuova cultura, vuole dunque perfezionare la conoscenza del globo terrestre. Dal Mediterraneo, che fu la culla e il baricentro della civiltà occidentale e ancora esercita una funzione di cerniera fra tre Continenti, l’attenzione si sposta verso l’Atlantico e gli altri oceani. Con i loro velieri dotati di bussola e astrolabio per orientarsi fra i punti cardinali e calcolare la posizione, i navigatori si avventurano sulle nuove vie del mare. Le prime spedizioni esplorative partono dal Portogallo e portano alla scoperta delle isole Canarie, più tardi dell’arcipelago di Madeira e delle Azzorre. I portoghesi visitano la costa occidentale africana ed è proprio un navigatore partito da Lisbona, Vasco da Gama, che si spinge fino al Capo di Buona Speranza, raggiunge l’Oceano Indiano e inaugura la via marittima dell’India.

Dopo essersi sbarazzata della presenza araba, la Spagna avvia a sua volta un’intensa politica marittima, per esempio finanziando i viaggi di Cristoforo Colombo verso il misterioso Continente che viene inizialmente identificato come Asia. È l’America invece, ma l’errore avrà conseguenze tenaci fino ai nostri giorni. Non a caso gli abitanti originari del nuovo Continente vengono ancora oggi chiamati indiani, così come «indios» sono gli autoctoni dell’America centrale e meridionale. Ma ormai la strada è aperta e l’intera costa orientale del nuovo Continente viene esplorata mentre avventurosi coloni europei vi fondano i primi insediamenti ricacciando verso l’interno le tribù indigene. Un’accesa rivalità divide Spagna e Portogallo, finché la mediazione pontificia mette fine al dissidio fra le due potenze cattoliche tracciando una linea che assegna al Portogallo quello che oggi chiamiamo Brasile, agli spagnoli gli altri nuovi territori. Comincia così a delinearsi un’America centro-meridionale tipicamente iberica.

Per l’Europa è l’avvio di un’era nuova. Mentre la spedizione di Ferdinando Magellano, portoghese al servizio della Spagna, per la prima volta circumnaviga la Terra, altri Paesi si affacciano sugli oceani. Gli olandesi puntano sull’America e sugli arcipelaghi che separano l’Oceano Indiano dal Pacifico, dove li attrae il richiamo delle preziosissime spezie. Gli inglesi e i francesi vanno a contrastare l’egemonia spagnola in America e s’inoltrano nelle incognite dell’Africa, mentre in Asia si avvicinano alle misteriose potenze preesistenti, a cominciare dal grande impero cinese e dal Giappone, che vive rinchiuso in sé stesso sul margine occidentale del Pacifico. Sono civiltà raffinate, protette da consolidate entità statali, tali da far vacillare la diffusa visione dell’Europa come centro del mondo. L’incontro fra quelle civiltà e la nostra potrebbe essere vivificante per tutti, e in parte lo è, ma l’interscambio culturale è ostacolato dalle politiche commerciali. Come troppo spesso accade nella storia, gli interessi prevalgono sui valori.

A questo punto s’inizia un travaso demografico, l’Europa sovrappopolata riversa una parte di sé nelle nuove terre oltremare. Gli inglesi e i francesi piantano le loro bandiere nell’America del Nord, affrontandosi in sanguinosi conflitti. I britannici si fanno strada anche in India, un giorno faranno propria l’Australia. Poi perdono le colonie americane che saranno il nucleo originario degli Stati Uniti, una decolonizzazione voluta non dalle popolazioni originarie ma dagli stessi coloni, quasi tutti di ascendenza britannica, ansiosi di recidere il legame con Londra. L’Africa viene spartita fra le potenze europee ma soltanto alcune avviano, come la Francia, politiche di popolamento. La povertà e le guerre innescano un flusso umano dall’Europa centrale all’America. Una spaventosa carestia favorisce la nascita di una folta comunità irlandese negli Stati Uniti. La miseria diffusa alimenterà più tardi una forte corrente migratoria dall’Europa meridionale, in particolare dall’Italia, diretta verso le Americhe. Si tratta di invasioni pacifiche, lontanissime dallo spirito coloniale.

Questi eventi fanno sì che l’impronta della vecchia Europa sia riconoscibile in ogni parte del mondo. La sua presenza negli altri Continenti è tutt’altro che un processo indolore, l’attrito con i locali innesca rivolte, guerre, spietate rappresaglie. Spesso i coloni europei sono costretti al rimpatrio, come i francesi dall’Algeria e gli italiani dalla Libia. Il termine «colonia» ha attraversato la storia modificando il suo significato fino a stravolgerlo. Un tempo indicava il pacifico insediamento di coloni, appunto: non a caso queste parole derivano dal latino «colere», coltivare. Più tardi colonia è divenuto il termine identificativo dei territori soggetti al dominio di poteri estranei e lontani, ovviamente sgradito alle maggioranze autoctone, vittime spesso di brutale sfruttamento. Nei nostri giorni assistiamo a un capovolgimento dei flussi. È una nemesi grandiosa e inquietante che una volta ancora rimescola i caratteri distintivi dei popoli: se l’incontro con le altre culture ha contribuito nei secoli a plasmare la nostra identità di europei, ora stanno contribuendo a farlo, lo si voglia o no, i meccanismi della storia che hanno invertito la corrente, avviando verso di noi moltitudini di migranti, quasi tutti ex sudditi coloniali in cerca di riscatto economico e sociale.