Fine dell’eccezione spagnola. In un’Europa dove i movimenti antieuropeisti e sovranisti vanno per la maggiore, solo il Paese iberico era rimasto immune da questa ondata xenofoba. Le elezioni andaluse di settimana scorsa hanno però provocato l’effetto di un terremoto politico dopo l’irruzione del partito di estrema destra Vox nel Parlamento regionale di Siviglia. Questo partito anti-immigrazione e anti-catalano era assolutamente irrilevante fino a pochi mesi fa. Dal nulla però ha conquistato l’11% dei voti e 12 deputati in una contesa elettorale contrassegnata dalla disfatta del Partito socialista nella regione più «rossa» di Spagna. Il Psoe è risultato ancora primo con il 28% dei voti (ma si trova ora al suo minimo storico) davanti ai conservatori del Partito popolare (con il 21% ma anch’essi in caduta libera), ai liberali di Ciudadanos (18% e in grande ascesa) e alla sinistra radicale di Adelante Andalucía (la versione andalusa di Podemos) con il 16%. L’entrata di Vox nelle istituzioni consentirà quindi con tutta probabilità la formazione di un governo regionale inedito, che coalizzerà le tre nuove componenti della destra spagnola: Pp, Ciudadanos e Vox.
Se lo sbarco in Parlamento di Vox era in parte previsto, le dimensioni del suo clamoroso successo hanno sorpreso tutti gli analisti e avrà delle conseguenze anche sulla politica nazionale. Le elezioni in Andalusia rappresentavano infatti il primo test elettorale per il governo socialista di Pedro Sánchez, in carica dal giugno scorso. Prova fallita per il premier e soprattutto per Susana Díaz, presidente uscente dell’Andalusia, ritenuta la massima responsabile della fine dell’egemonia del Psoe che governava la regione da 36 anni ininterrottamente. Sánchez si troverà ora sotto attacco da parte delle tre destre che spingeranno per la convocazione immediata di nuove elezioni generali.
Agli occhi di Pp, Ciudadanos e Vox, il governo Sánchez è visto infatti come un usurpatore del potere (per essere arrivato alla Moncloa attraverso la mozione di sfiducia contro il governo del conservatore Rajoy) e considerato troppo blando con gli indipendentisti catalani. Il leader di Vox, Santiago Abascal, accusa Sánchez addirittura di aver effettuato un «colpo di Stato», esorta il popolo alla rivolta contro i secessionisti catalani (considerati anch’essi «golpisti») e contro il «comunismo chavista» (riferendosi a Podemos). Le parole di Abascal richiamano un clima da guerra civile ma non devono sorprendere. L’anticatalanismo è infatti al primo posto dei dieci punti del programma elettorale di Vox che ripete in maniera ossessiva il concetto di unità della Spagna, chiede la sospensione dell’autonomia della Catalogna e invoca sanzioni esemplari contro i dirigenti indipendentisti catalani.
Il segreto del successo di Vox è stato quello di essere riuscito a cavalcare il sentimento di odio verso lo straniero (nella provincia di Almeria, dove la presenza di popolazione immigrante è particolarmente alta, il partito ha raggiunto fino al 30% dei consensi) assieme alla rabbia contro i catalani secessionisti. Questo rancore, nato con la crisi istituzionale dell’autunno 2017, è presente nella società andalusa e largamente diffuso anche nel resto di Spagna (si pensi che ben 9000 persone hanno assistito a un meeting di Vox il mese scorso a Madrid). Questi sentimenti si sono nutriti anche di discorsi retorici sull’idea identitaria di patria e di orgoglio nazionale che si rifanno al mito dell’impero spagnolo dei tempi della Reconquista e della cacciata dei musulmani dall’Andalusia del 1492.
Vox usa i proclami tipici dei movimenti populisti di destra europei quali i discorsi anti-immigrazione (ad esempio propone di costruire un nuovo muro invalicabile nelle enclavi spagnole di Ceuta e Melilla per frenare l’arrivo dei migranti), vuole la preferenza per gli autoctoni («Prima gli spagnoli» è uno dei suoi slogan) e fa una declinazione tutta iberica della xenofobia. Alla chiusura tipica verso l’esterno nei confronti dello straniero immigrante (lo stretto di Gibilterra è diventata la nuova porta d’entrata dell’immigrazione all’Europa con 55’000 nuovi migranti entrati solo quest’anno) si è aggiunta una xenofobia di tipo interno: l’anti-catalanismo. Questo sentimento diffuso di «catalonofobia» è comune anche al Partito popolare e Ciudadanos, che hanno convertito la gestione della questione catalana in un tema di fondamentale importanza anche durante la campagna elettorale andalusa.
Per molti analisti il fenomeno Vox è quindi «figlio» della crisi catalana e il partito di Abascal non è altro che il frutto della nascita di un nuovo schieramento formato dall’ala più reazionaria del Partito popolare. In effetti Vox può essere considerata come una costola del Pp per somiglianza delle rivendicazioni politiche, per la provenienza della sua base elettorale (prevalentemente del Pp), nonché per la biografia politica del suo leader Santiago Abascal. Questo politico di 42 anni si è fatto le ossa nella gioventù del Partito popolare, è stato parlamentare del Pp nel Parlamento basco e ha avuto incarichi dirigenziali nel partito fino al 2013, quando decise di lasciarlo per fondare Vox assieme ad altri politici di estrema destra.
Di famiglia franchista, Abascal è la perfetta incarnazione «machista» del progetto Vox che fa della lotta al femminismo e della modifica della legge sulla violenza di genere uno dei punti chiave. Nel programma politico di Vox c’è comunque un po’ di tutto: centrale è sempre l’idea dell’unità della Spagna e l’imposizione dello spagnolo come lingua unica per tutte le regioni del Paese, ma c’è anche il rinvio degli immigrati clandestini ai Paesi d’origine, la sospensione dello spazio di Schengen, la riforma della legge sull’aborto e la cancellazione della legge sui matrimoni tra omosessuali. Fino a qualche anno fa Vox era un partito insignificante tanto che alle ultime elezioni politiche generali del 2016 aveva ottenuto solo lo 0,2%.
Tuttavia dal 1. ottobre 2017, giorno del referendum indipendentista in Catalogna, tutto è cambiato non solo nella politica ma anche nella società spagnola. Il fiorire di bandiere spagnole che da quel giorno sventolano da tantissimi balconi del Paese è indice della voglia di dare una risposta forte alle velleità indipendentista catalane e il successo di Vox ne è una conferma. Da allora, nei partiti di destra (e in parte della magistratura) si assiste a una competizione continua per dimostrarsi quanto più intransigenti con il secessionismo catalano e si è fatto della «bandiera» una questione d’importanza vitale con derive preoccupanti per la libertà di espressione. Si pensi ad esempio che un popolare comico è finito recentemente in tribunale con le accuse di odio e oltraggio alle istituzioni, semplicemente per aver fatto uno sketch televisivo nel quale, per scherzo, si soffiava il naso con la bandiera spagnola. Il successo di Vox non è solo il sintomo più grande della grave crisi istituzionale che sta vivendo il sistema politico spagnolo, ma è anche anche quello di una società tentata da un ritorno a soluzioni autoritarie.