Esercizi di equilibrismo politico

Sans-papiers - La pandemia ha riacceso il dibattito intorno a chi vive in Svizzera senza permesso. Il Consiglio federale respinge sia la regolarizzazione parziale sia l’esclusione generale dalle assicurazioni sociali degli immigrati che soggiornano illegalmente in Svizzera. Si rimane allo status quo
/ 15.02.2021
di Luca Beti

La crisi provocata dal nuovo coronavirus ha fatto emergere gli invisibili, così come fa la risacca con gli oggetti finiti in mare. Alla mattina, li ritrovi sul bagnasciuga se prima non è passato qualcuno a raccoglierli per regalare al turista l’idea di una natura incontaminata. È un inganno a cui ci piace credere. Come ci piace credere che nella prosperosa e ricca Svizzera non esista la povertà e che tutti abbiano la possibilità di vivere un’esistenza degna di questo nome. Infatti, ciò che non si vede, non esiste. In questi mesi, la pandemia quella realtà ce l’ha sbattuta in faccia. A Ginevra, era l’immagine di una chilometrica coda di persone in attesa di ricevere un pacco del valore di venti franchi con generi di base: riso, pasta, olio, tonno, sapone, pannolini per i bebè. In fila, c’erano soprattutto i sans-papiers, come ha evidenziato un sondaggio svolto nei primi giorni dell’iniziativa promossa tra maggio e giugno 2020 dalla Caravane de Solidarieté, in collaborazione con altre organizzazioni e attori statali. Il 52% erano migranti illegali, il 3,4% svizzeri, il 28,3% stranieri con un permesso di soggiorno, il 4,3% richiedenti l’asilo e il 12% non ha indicato alcuno statuto. Improvvisamente, quelli che per natura rimangono nell’ombra sono usciti alla luce del sole. La crisi sanitaria li ha privati di quel poco che permetteva loro di sbarcare il lunario. Da un giorno all’altro si sono trovati sul lastrico, senza lavoro, senza più un reddito.

E in quelle settimane il mondo politico non è rimasto a guardare. Durante la sessione straordinaria, tenutasi dal 4 all’8 maggio a Bernexpo, sono stati inoltrati numerosi interventi parlamentari che chiedevano di aiutare chi passa attraverso le maglie del sistema sociale, per esempio tramite una regolarizzazione collettiva dei sans-papiers o la creazione di un fondo nazionale gestito dalle associazioni che si occupano di loro. La pandemia, per ironia della sorte, ha posto per alcuni giorni la questione dei sans-papiers in cima all’agenda della politica federale. La ridda di interventi per ora non ha però migliorato la loro situazione. Come non ha promosso alcun cambiamento il rapporto «Per un’ampia analisi della problematica dei sans-papiers» adottato nel dicembre scorso dal Consiglio federale. Il governo ha deciso di mantenere lo status quo, respingendo sia la richiesta di regolarizzazione parziale dei sans-papiers sia quella di escluderli dalle assicurazioni sociali. Nel documento di quasi 130 pagine viene stilato un inventario dei diritti di affiliazione alle diverse assicurazioni sociali, vengono valutate le conseguenze di un’eventuale revoca di questi diritti e presentate possibili soluzioni.

È il classico esercizio di funambolismo politico tra forze contrapposte. Da una parte, la destra che esige l’osservanza della legge e l’espulsione di chi soggiorna illegalmente in Svizzera, dall’altra la sinistra che chiede il rispetto dei diritti fondamentali di ogni essere umano. E in mezzo ai due campi, i «sans-papiers».

Ma chi sono? E quanti sono? Sono stranieri che vivono illegalmente in Svizzera, non necessariamente senza un documento d’identità. La maggior parte (circa il 63%) sono giunti nel nostro Paese senza permesso in cerca di un lavoro e di un futuro. Poi ci sono quelli che allo scadere del permesso di soggiorno non hanno lasciato la Confederazione. Infine, i richiedenti l’asilo che si sono dati alla macchia dopo essersi vista negata la domanda. Quattro su dieci sono originari dell’America latina, gli altri provengono da Africa e Asia o da Stati europei non membri dell’UE e dell’AELS.

Difficile conoscerne il numero esatto visto che vogliono passare inosservati, tentano di non dare nell’occhio e di condurre una vita «normale». Stando all’ultima stima risalente a sei anni fa, i sans-papiers sono 76mila, residenti soprattutto nei cantoni densamente popolati e nei centri urbani, ambiente che permette loro di uscire dal radar delle autorità. Il tasso più elevato viene registrato a Ginevra con 27 sans-papiers su 1000 abitanti, a Basilea-Città con 22 e a Zurigo con 20. In Ticino, si calcola siano il 2 per mille della popolazione residente, nei Grigioni uno su mille.

Buona parte trova un impiego nei settori dell’albergheria, della ristorazione, dell’edilizia, dell’agricoltura e dell’assistenza sanitaria. Uno su due lavora in un’economia domestica privata: puliscono casa, si occupano dei figli o di una persona anziana. Poiché molti lavorano in «nero», le loro condizioni lavorative sono precarie. Come «illegali» sono alla mercé dei datori di lavoro che non sono tenuti a rispettare il salario minimo, che decidono se versare i contributi sociali e le detrazioni fiscali. I sans-papiers non lo denunciano certo alle autorità.

Proprio per lottare contro il lavoro nero e regolarizzare lo statuto di chi da anni vive illegalmente in Svizzera, Ginevra ha lanciato l’«operazione Papyrus». Nel cantone-città dove si stima vivano e lavorino circa 13mila sans-papiers. Il progetto ha avuto inizio nel febbraio 2017 e si è concluso alla fine del 2018 ed è stato accompagnato dalla Segreteria di Stato della migrazione (SEM) che ha avuto il compito di esaminare i dossier. Non si è trattato quindi né di un’amnistia né di una regolarizzazione collettiva. Infatti, potevano fare richiesta di regolarizzazione i migranti senza permesso di soggiorno che vivevano in Svizzera da almeno dieci anni (cinque per le famiglie con bambini in età scolastica), integrati, senza precedenti penali ed economicamente indipendenti.

Nell’ambito dell’iniziativa è stato legalizzato il soggiorno di quasi 2900 sans-papiers: famiglie con bambini, coppie o persone singole. Inoltre, il cantone ha promosso campagne di sensibilizzazione, ha istituito un servizio di consulenza per chi intende regolarizzare la sua situazione e ha creato un portale dei posti di lavoro vacanti nel settore dell’economia domestica. Nel contempo, ha attuato misure volte a intensificare i controlli nei settori economici particolarmente toccati dal lavoro nero e dal dumping salariale.

A operazione conclusa è stato stilato un rapporto di valutazione. Quest’ultimo aveva il compito di rispondere a due interrogativi: la legalizzazione attrae nuovi sans-papiers nei settori economici in cui il lavoro nero è diffuso? I migranti rimangono economicamente indipendenti anche dopo aver ottenuto il permesso di soggiorno? Gli esperti hanno evidenziato che il progetto non ha richiamato nuovi sans-papiers a Ginevra. Grazie alla legalizzazione si è anzi registrato un aumento delle iscrizioni presso le assicurazioni sociali e delle regolarizzazioni dei rapporti di lavoro. Inoltre, chi temeva che il progetto favorisse il ricorso all’aiuto sociale è stato smentito. Nonostante la maggior parte viva col minimo esistenziale, quasi il 90% è rimasto indipendente economicamente.

Alla luce del successo conseguito, l’«operazione Papyrus» è quindi un modello per tutta la Svizzera? Visto che i partiti si sono arroccati su posizioni inconciliabili, il Consiglio federale ha scelto un «approccio pragmatico» e di lasciare tutto com’è. Le lunghe file di indigenti sono sparite a Ginevra e con loro gli «invisibili» e il problema dei sans-papiers.