Eroina antiputiniana o vittima sacrificale?

In Russia Daria Trepova ha donato al blogger nazionalista Vladlen Tatarsky una statuetta che è esplosa, uccidendolo
/ 10.04.2023
di Anna Zafesova

Nella cella di vetro dell’aula del tribunale, Daria Trepova bisbiglia parole incomprensibili, tenendo gli occhi abbassati su qualcosa che vede solo lei. Il nuovo giallo politico russo ha il volto di una ragazza bionda, con un profilo Instragram dove si dichiarava omosessuale e postava foto in cui si atteggiava a principessa, una fedina penale con due arresti per manifestazioni contro il regime e contro la guerra in Ucraina, e una militanza femminista che ha già spronato alcuni esponenti della Duma a chiedere la messa al bando dell’ideologia del femminismo come «estremista». Intanto Daria è stata rinchiusa con l’accusa di «terrorismo», dopo aver donato al blogger nazionalista Vladlen Tatarsky una statuetta che pochi minuti dopo è esplosa uccidendolo e ferendo altre trenta persone, in un bar di San Pietroburgo, noto come ritrovo dei sostenitori più oltranzisti della guerra in Ucraina. Per ora non rischia l’ergastolo, che la legge russa risparmia alle donne, ma dal Parlamento e dai media sono già arrivate voci che chiedono di reintrodurre la pena di morte, oppure di mandare i «nemici del popolo» al nord, «senza diritto di grazia, a scavare il ghiaccio e venire seppelliti sotto i binari della ferrovia quando crepano». Lo propone Sergey Gurulyov, deputato siberiano della Duma.

Non è ancora chiaro se la 26enne ex studentessa che vendeva abiti vintage online sia la nuova eroina della resistenza antiputiniana, oppure una vittima sacrificale di un complotto più grande di lei. Negli ambienti dell’estrema destra militarista russa, quelli che scelgono come loro simbolo la Z dipinta sui carri armati che hanno invaso l’Ucraina, Daria era conosciuta come Nastya, e sotto falso nome conduceva anche una chat su Telegram nella quale inneggiava alle glorie dell’esercito putiniano. Difficile immaginare questa fragile ragazza bionda come una spia abile nel doppio gioco, ma non si riesce nemmeno a considerarla soltanto una ignara corriera della bomba, che qualcuno aveva cinicamente usato mettendo a rischio la sua stessa vita. Difficile però ignorare quanto Daria sia l’alter ego perfetto della sua omonima Daria Dugina, la figlia del filosofo neonazista russo uccisa da una bomba a Mosca l’anno scorso, in quella curiosa coincidenza che vede il terrorismo politico colpire in Russia quasi esclusivamente esponenti della destra più estrema. Trepova sembra l’identikit perfetto della giovane oppositrice delle grandi città: liberale, pacifista, femminista, che scendeva in piazza per Alexey Navalny e contro la guerra. Tutto quello che gli ideologi del putinismo odiano e considerano nemico, in quella guerra civile che ha anche un forte aspetto generazionale – solo un terzo degli under 25 sostiene l’invasione dell’Ucraina – del quale gli ultrasettantenni al Cremlino sono perfettamente consapevoli, mandando i giovani al fronte (o costringendoli alla fuga in esilio).

Qualcuno la paragona già a Vera Zasulich, la rivoluzionaria socialista che nel 1879 sparò al general-governatore di Pietroburgo Trepov e venne prosciolta da una giuria liberale, sia in positivo che in negativo: la capa della propaganda del Cremlino Margarita Simonyan esulta che la Russia di Putin non è quella degli zar, e non ci saranno giurati a processare Trepova. È una curiosa svolta della storia, in una Russia dove oggi anche molti moderati sono convinti che la Rivoluzione del 1917 – considerata da liberali e reazionari egualmente un disastro nazionale – non sarebbe accaduta se la monarchia fosse stata ancora più repressiva. Il grido «li uccideremo tutti» che ha reso famoso Tatarsky sembra essere diventato il motto di questa ondata reazionaria, che vuole proibire alle femministe di parlare di emancipazione e aborto, perseguita i gay e condanna un padre, Aleksey Moskalyov, a due anni di carcere perché sua figlia Masha, di 12 anni, ha fatto a scuola un disegno pacifista. Un caso surreale e terribile, con una svolta sorprendente: la notte prima della sentenza l’imputato è evaso dagli arresti domiciliari, e la notizia è stata accolta dall’aula con un applauso che fa pensare che i simpatizzanti della dittatura in realtà non siano più numerosi in Russia dei tempi di Zasulich, portata fuori dal tribunale in trionfo dalla folla.

Di tutte le ipotesi nate subito dopo l’omicidio di Tatarsky – un ex minatore del Donbass che, dopo essere finito in carcere per una rapina, ha aderito alla guerriglia filorussa, ed è diventato celebre inneggiando a «uccidere e rapinare tutti» in Ucraina durante una importante cerimonia al Cremlino in presenza di Vladimir Putin – quella meno accreditata era forse proprio quella della resistenza russa. Un fenomeno talmente poco visibile da sembrare quasi inesistente, in un Paese dove venire condannati a sette anni per un post contro la guerra su Facebook è ormai normale, e dove milioni di dissenzienti hanno preferito fuggire invece che scendere in piazza. Il dubbio che Daria Trepova sia stata usata come pedina da qualcuno – servizi segreti russi, intelligence ucraina oppure qualche clan della destra estrema in lotta con i concorrenti per l’attenzione e i finanziamenti dal Cremlino – resterà probabilmente irrisolto a lungo, ma il fatto che le autorità russe hanno immediatamente approfittato del suo arresto per accusare l’opposizione russa legata a Navalny di agire insieme agli ucraini indica una paura non solo propagandistica di una quinta colonna interna.

Qualcuno continua ad appiccare fuoco a fabbriche militari, caserme e commissariati militari, qualcuno continua a sabotare i binari ferroviari sui quali passano i convogli carichi di armi diretti verso l’Ucraina, qualcuno continua a scrivere sui muri «No alla guerra». Qualcuno ha aiutato Moskalyov a fuggire, insieme a tanti altri attivisti e dissidenti. E l’attenzione che suscita nei media, governativi quanto indipendenti, ogni fil di fumo che si leva, sempre più frequentemente, sopra un ufficio governativo o un impianto militare, fa pensare che la paranoia dell’infiltrato ucraino non sia l’unica preoccupazione di Mosca, nonostante i sondaggi che invariabilmente mostrano in aumento il sostegno alla guerra.