Il destino della guerra in Ucraina è ancora poco chiaro. L’invio di armi da parte di alcuni paesi dell’Alleanza atlantica, le controffensive riuscite dell’esercito di Kiev e un maggiore impegno diplomatico occidentale fanno sperare in una negoziazione, ma i continui bombardamenti da parte delle forze russe e la crisi umanitaria sempre più allarmante fanno pensare a un conflitto che avrà effetti duraturi nel tempo. Solo a marzo i prezzi mondiali dei prodotti alimentari sono aumentati quasi del 13%, raggiungendo il livello più alto da quando le Nazioni Unite hanno iniziato a monitorarli nel 1990 (vedi Indice Fao dei prezzi). Un paniere di materie prime composto da cereali, carne e latticini ora costa il 34% in più rispetto a un anno fa. Sulla scia dell’invasione russa il presidente americano Joe Biden e altri leader a livello internazionale avvertono della carenza di cibo, specialmente nelle nazioni politicamente fragili del Medio Oriente e del Nord Africa.
Settimana scorsa la Banca mondiale, il Fondo monetario internazionale, l’Organizzazione mondiale del commercio e il Programma alimentare mondiale hanno lanciato un appello congiunto per «azioni urgenti» al fine di affrontare la crisi incombente. I leader mondiali – hanno sottolineato le agenzie in questione – devono aumentare la produzione agricola delle loro nazioni, astenersi dall’accaparrarsi rifornimenti, fornire aiuti finanziari e spedire cibo e prodotti di emergenza ai paesi più poveri altrimenti si rischia di infiammare gravi «tensioni sociali». L’eventualità di un conflitto prolungato in Ucraina è preoccupante soprattutto se pensiamo agli effetti economici e al pesante contraccolpo sulla produzione ucraina e russa di grano e mais, di cui parte del Nord Africa e Medio Oriente sono dipendenti (i paesi in guerra sono i loro principali fornitori). Russia e Ucraina forniscono quasi il 30% del grano commercializzato nel mondo, per questo due mesi di invasione russa hanno fatto salire alle stelle i prezzi del grano.L’Egitto è forse il paese nordafricano che desta maggiore preoccupazione negli analisti. È il più grande importatore di grano al mondo, per questo sta già accusando il peso maggiore dell’aumento dei prezzi causato dalla guerra. L’Egitto importa la maggior parte del grano che consuma (consumo stimato in 16 milioni di tonnellate all’anno). L’anno scorso Russia e Ucraina hanno fornito rispettivamente quasi il 50% e il 30% del grano importato dal paese nordafricano ovvero un totale di 12,9 milioni di tonnellate, per un valore di 3,2 miliardi di dollari.
Una settimana dopo l’inizio del conflitto in Ucraina i prezzi del grano in Egitto avevano raggiunto il valore più alto da 14 anni a questa parte, ovvero 13,40 dollari per staio (misura che corrisponde circa a 35 litri), che rappresenta un aumento del 50%, in meno di due mesi. L’Egitto produce 120,8 miliardi di pagnotte ogni anno a un costo sovvenzionato di quasi tre miliardi di dollari. Il Paese sovvenziona la produzione di pane da decenni per aiutare la popolazione. Fino al mese scorso circa 70 milioni di persone beneficiavano di pane e grano sovvenzionati, ma il presidente Abdel Fattah al-Sisi ha annunciato di voler ridurre i sussidi. Poche settimane fa il ministro dell’approvvigionamento del Cairo, Ali el-Moselhy, ha confermato la posizione del governo, affermando che i sussidi a grano, farina e pane saranno gradualmente revocati ma allo stesso tempo ha tranquillizzato i cittadini che vivono in povertà, che si stima siano quasi 25 milioni di persone, dicendo che non saranno interessati dalle revoche e che continueranno a ricevere i sussidi per il pane.
Circa un terzo degli oltre 100 milioni di abitanti dell’Egitto vive sotto la soglia di povertà e la rimozione dei sussidi per pane e grano sarà un altro elemento del piano di riforme economiche che il governo sta attuando dal 2016 per ottenere un bonus da 12 miliardi di dollari con il Fondo monetario internazionale, con l’obiettivo di diventare un mercato libero. Dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, l’Autorità generale egiziana per le materie prime ha dovuto annullare due gare per gli acquisti di grano che hanno visto prezzi elevati e poche offerte. Nel frattempo due carichi diretti in Egitto sarebbero rimasti bloccati in Ucraina. È facile prevedere che gli aumenti del prezzo del grano siano destinati ad amplificare il tasso di inflazione già molto aggravato da due anni di pandemia.
Anche la situazione in Tunisia, paese in cui 10 anni fa erano partite le primavere arabe, preoccupa molto gli analisti. Il presidente Kais Saied sta inviando una delegazione al Fondo monetario internazionale per fare fronte ai buchi di bilancio creati dalla pandemia e ulteriormente esacerbati dall’aumento dei prezzi del cibo e del petrolio. La Tunisia sta affrontando sfide economiche e turbolenze politiche, il presidente Saied l’estate scorsa ha sciolto il parlamento e ha già proposto riforme economiche che il potente sindacato tunisino Ugtt ha definito preludio di futuri scioperi e proteste. I tunisini hanno fatto scorta di cibo in previsione della fine del periodo del Ramadan, a inizio maggio, quando il consumo di cibo aumenterà, ma a prezzi che molte famiglie non possono più sostenere. L’aumento del prezzo del grano (con la Tunisia che dipende da Russia e Ucraina per circa il 60% della sua fornitura), l’esaurimento delle scorte di semola (ingrediente principale del couscous), e la crescita del costo dell’energia stanno aumentando molto la frustrazione tra i tunisini che devono anche prepararsi a un calo del turismo durante l’estate da parte di paesi che garantivano un grande afflusso, come erano fino alla scorsa estate proprio Russia e Ucraina.
Mentre la guerra fa aumentare il costo del cibo, del carburante e dei fertilizzanti importati dalla Tunisia, il governo di Saied si trova in enorme difficoltà. I prezzi del grano si sono stabilizzati di circa il 30% al di sopra dei livelli che avevano a febbraio. I prezzi dei fertilizzanti russi hanno iniziato ad aumentare alla fine dell’anno scorso e ora sono più del triplo della media di un anno fa; i prezzi del petrolio superano i 100 dollari al barile, ben al di sopra della cifra di 75 dollari che il budget tunisino ipotizzava di dover spendere quest’anno. Questo significa che i costi più elevati potrebbero aggiungere più di 1,5 miliardi di dollari di sussidi necessari per la Tunisia e quindi che il paese avrà bisogno di un aiuto finanziario esterno, ma la Tunisia non è in grado di raccogliere fondi sui mercati finanziari globali. Fitch Ratings ha recentemente declassato la Tunisia a «CCC», segno che il default del paese è una reale possibilità. Questa situazione potrebbe diventare un pericoloso mix politico ed economico per il presidente Saied e riportare il paese e tutta l’area intorno indietro di 10 anni.