Meno 22 per cento e più 26 per cento: lo stato di salute delle finanze russe si misura oggi da questi due numeri, di cui il primo segnala la riduzione delle entrate delle casse dello Stato e il secondo l’aumento delle uscite. Sono i dati dei primi quattro mesi del 2023, pubblicati di recente dal Ministero delle finanze russo, che informa anche dell’aumento del deficit, cresciuto fino a 3,42 trilioni di rubli, 43 miliardi di dollari. Una somma considerevole, un buco che la Russia non aveva sperimentato da anni, ma soprattutto il segnale di una tendenza preoccupante: il Governo russo aveva previsto per tutto il 2023 un deficit non superiore ai 2,9 trilioni di rubli. In altre parole, dietro ai numeri delle statistiche ufficiali si nasconde una voragine, non tanto in senso assoluto quanto nella tendenza: l’economia sta andando fuori controllo, perfino rispetto ai dati già «aggiustati» dagli enti governativi.
Il motivo dell’aumento vertiginoso della forbice tra entrate e uscite si nasconde in un altro numero: il 52% di riduzione delle entrate dalla vendita di petrolio e gas. La principale fonte di guadagni della Russia si sta prosciugando. L’estrazione di gas del gigante Gazprom è scesa nel 2022 ai minimi storici, ai livelli di trent’anni fa, e i profitti della più grande azienda russa sono precipitati di più di tre volte (rispetto al 2021, già un anno non brillante per il rallentamento dell’economia europea a causa della pandemia). Il commercio di petrolio è stato drasticamente ridotto dalle sanzioni internazionali, e il «price cap», il tetto massimo al prezzo del gas, ha prodotto non soltanto un crollo delle esportazioni russe, ma anche la discesa dei prezzi sul mercato globale. Anche il metano sta tornando ai livelli precedenti all’invasione dell’Ucraina, annullando anche l’effetto paradossale dell’anno scorso, quando Mosca aveva approfittato dell’impennata dei prezzi per vendere meno barili, ma incassare di più.
I dati del Ministero delle finanze russo sono scarni, anche perché buona parte dei dati economici sono stati secretati. Secondo Bloomberg, le voci della spesa pubblica coperte dal segreto di Stato sono raddoppiate. Si tratta delle spese militari e quelle destinate alla polizia e ai servizi segreti. Anche la parte pubblica delle spese militari è aumentata di quasi due volte, e i settori industriali legati alla guerra sono gli unici a mostrare una cospicua crescita.
Molti esperti indipendenti stimano la quota delle spese per la guerra in almeno un terzo delle uscite del Cremlino, e l’aumento della massa monetaria stimato nel 20% nell’ultimo anno fa temere un’inflazione molto più elevata di quella dichiarata ufficialmente. Anche il rilascio del controllo sul cambio del rublo fa pensare a una svalutazione «soft», che però probabilmente non basterà a risolvere il problema, soprattutto nelle regioni più legate alla produzione del petrolio: il gettito fiscale di Tiumen, la seconda zona per reddito procapite dopo Mosca, è dimezzato.
Il Governo ha già introdotto una tassazione supplementare delle compagnie petrolifere, e chiesto alle grandi società un contributo «una tantum» per sostenere l’economia. Ma è evidente che a lungo termine la soluzione del problema dell’aumento delle spese a fronte della riduzione delle entrate non può che essere un taglio delle uscite. Una misura che però avrà dei costi politici: finora uno degli strumenti del controllo dello scontento per la guerra è stato rappresentato proprio dalle laute ricompense a chi vi partecipa. Secondo le statistiche governative, il numero dei poveri in Russia nel 2022 è sceso per la prima volta negli ultimi 20 anni sotto il 10% della popolazione. Una buona notizia, generata non soltanto da manipolazioni della definizione di povertà (che inizia sotto i circa 130 euro di reddito mensile), ma anche dai pagamenti di salari e risarcimenti ai militari, che provengono soprattutto dalle zone e dai ceti meno abbienti della Federazione Russa. Due mila euro al mese per andare in trincea sono soldi che in molte regioni russe non si sono mai visti. Ma la guerra aumenta anche i salari dei civili: la coscrizione di almeno 300 mila cittadini nell’autunno scorso, e la fuga all’estero di almeno un milione di russi che non hanno voluto partecipare alla guerra, hanno creato una carenza di manodopera qualificata senza precedenti.
Una crescita salariale in un’economia che si contrae è un paradosso mai visto, ma potrebbe non bastare a moderare lo scontento nei consumi: praticamente in ogni settore, dai farmaci ai telefonini, si registra una drastica riduzione dell’offerta insieme a un aumento dei prezzi. Il mercato automobilistico russo, collassato del 90% nel 2022, è stato ora monopolizzato da auto cinesi, gli elettrodomestici e l’elettronica arrivano dall’Europa, dagli USA e dalla Corea del Sud transitando dai Paesi dell’ex URSS che non aderiscono alle sanzioni occidentali. L’obiettivo principale delle cosiddette «sanzioni secondarie», cioè quelle che andrebbero inflitte a chi aiuta la Russia ad aggirare l’embargo, è quello di impedirle di costruire armi con i microchip e le tecnologie che non è in grado di produrre. Ma l’inevitabile effetto collaterale sarà un ulteriore impoverimento anche dei consumi della popolazione.