«Questo è un uomo (Xi Jinping) che sa ciò che vuole, ma che ha un’enorme, enorme serie di problemi. Come lo gestiamo? Come lo gestiamo rispetto a ciò che sta accadendo in Russia? E a quella che ritengo sia forse una delle Nazioni più pericolose al mondo: il Pakistan. Armi nucleari senza alcuna coesione». Così il presidente americano Joe Biden, durante una conferenza stampa, scatenava l’ennesima polemica mediatico-diplomatica tra Usa e Pakistan. L’ultima di una lunga serie. Coniata all’inizio della «guerra al terrorismo» in Afghanistan, la definizione di «Paese più pericoloso del mondo» ritorna difatti ciclicamente e non senza motivo. Il Pakistan sponsorizza i tre quarti o poco più dei gruppi terroristici che operano nella regione con un’agenda però globale; il Pakistan manovra il Governo oscurantista dei talebani che siede a Kabul; connessioni con il Pakistan si ritrovano in ogni singolo attentato avvenuto in Occidente negli ultimi 20 anni. Ma non solo.
Secondo l’ultimo rapporto di Human Rights Watch, «nel 2021 il Governo pakistano ha intensificato gli sforzi per controllare i media e limitare il dissenso. Le autorità hanno perseguitato, e talvolta arrestato, giornalisti e altri membri della società civile per aver criticato i funzionari e le politiche del Governo. Sono continuati anche gli attacchi violenti contro i membri dei media. Le autorità hanno esteso l’uso di leggi draconiane sulla sedizione e sull’antiterrorismo per soffocare il dissenso e hanno regolamentato severamente i gruppi della società civile che criticano le azioni o le politiche del Governo. Le autorità hanno anche preso provvedimenti contro i membri e i sostenitori dei partiti politici di opposizione. Le donne, le minoranze religiose e i transgender continuano a subire violenze, discriminazioni e persecuzioni (…). Il Governo continua a fare poco per colpire le forze dell’ordine responsabili di tortura e altri gravi abusi (…). Le forze dell’ordine pakistane sono state responsabili di numerose violazioni dei diritti umani, tra cui detenzioni arbitrarie e omicidi extragiudiziali».
L’ultimo a essere ammazzato, in Kenya, è stato il giornalista Arshad Sharif. Critico dell’attuale Governo, aveva lasciato il Pakistan in agosto per recarsi a Dubai, da dove era scappato in Kenya perché minacciato. Secondo l’ex-premier Imran Khan e secondo la maggioranza nel Paese, Sharif è stato ammazzato ad opera dei servizi segreti pakistani. Che all’estero hanno già fatto fuori negli ultimi tre anni il giornalista Sajjid Hussain in Svezia e l’attivista per i diritti umani Karima Baloch in Canada. Avevano cercato anche di ammazzare il blogger dissidente Ahmad Waqas Goraya in Olanda, ma il complotto è stato sventato dall’intelligence inglese. D’altra parte, con una mossa a sorpresa senza precedenti nella storia del Paese, il capo dell’Isi (l’intelligence pakistana) Nadeem Ahmed Anjum si è preso il disturbo di incontrare i giornalisti per smentire le voci di un coinvolgimento dell’esercito nell’omicidio Sharif. Nessuno gli crede, ovviamente. E la situazione nel Paese diventa sempre più critica. Talmente critica che le voci dell’ennesimo colpo di stato militare cominciano a circolare sempre più insistentemente.
L’ex-premier Imran Khan, sfiduciato lo scorso marzo per aver alimentato quella che si sussurra sia una spaccatura senza precedenti tra i vertici delle forze armate (che per inciso lo avevano messo a capo del Paese), grida da allora al complotto internazionale. Denunciando episodi di tortura e omicidi extragiudiziali da parte dei servizi segreti e dell’esercito ai danni dei suoi seguaci. E guidando una «lunga marcia» verso Islamabad alla testa di migliaia di persone, pronto a chiedere un cambiamento «attraverso le urne o con un bagno di sangue». Vale la pena di notare che Imran, negli anni del suo Governo, non ha mai fatto caso ai giornalisti ammazzati o scomparsi, e ha sempre passato sotto silenzio le torture e la scomparsa di migliaia e migliaia di cittadini. È poi il caso di chiedersi come mai gli USA abbiano di recente venduto al «Paese più pericoloso del mondo» equipaggiamenti militari per 450 milioni di dollari e come mai l’Occidente tutto continui a vendere armi a un Paese che dispone di «nucleare senza coesione». L’Isi è stata più volte definita «l’organizzazione terroristica più potente del mondo» ed è quella che, di fatto, controlla il nucleare nel Paese e che, assieme all’esercito, gestisce la politica. Un minimo di coerenza da parte dei Governi occidentali sarebbe forse, a questo punto, auspicabile per non ritrovarsi alle prese con un altro 11 settembre.