Una donna decapitata e altri due feriti a Nizza, una guardia del consolato francese a Gedda accoltellata, un uomo armato di coltello che assale una pattuglia di poliziotti ad Avignone. Il tutto, nel giorno che marca, per il mondo islamico, il compleanno del Profeta. E immediatamente dopo che il presidente turco Erdogan aveva minacciato ritorsioni legali contro «Charlie Hebdo», accusando la Francia di islamofobia, e il premier pakistano Imran Khan pubblicava su Twitter una lettera inviata ai paesi di fede islamica per combattere contro l’islamofobia di cui sopra. A poco vale far notare all’ex playboy internazionale ed ex campione di cricket che in pochi posti al mondo i musulmani sono perseguitati come in Pakistan o come nella stessa Turchia. Il populismo di bassa lega e gli interessi politici non hanno confini. Così come l’arroganza di stampo fascista.
«Che problema ha con i musulmani e l’Islam questo individuo chiamato Macron? Macron ha bisogno di una visita psichiatrica». Così, con la classe e il fair play che da sempre lo contraddistinguono, Erdogan, noto difensore di diritti umani, civili e religiosi, aveva aperto giorni fa le ostilità nei confronti di Macron scatenando il peggior incidente diplomatico degli ultimi anni. Per usare un eufemismo. Visto che Turchia e Francia hanno di fatto interrotto le relazioni diplomatiche e che l’Unione Europea, più o meno compatta, si è schierata a difesa della Francia. Materia del contendere, i provvedimenti annunciati, e subito messi in atto, per contrastare l’ondata di terrorismo, interno e di immigrazione, che ha colpito il Paese.
I provvedimenti, in vigore da subito, includono lo stretto monitoraggio dei finanziamenti esteri alle moschee, lo stop all’importazione di imam da paesi esteri, il controllo di «scuole private» (madrasa) solo per musulmani, il monitoraggio di associazioni sportive e di ogni altro tipo «per impedire che diventino fabbriche di terroristi». Macron ha annunciato anche tutta una serie di provvedimenti volti ad integrare i giovani musulmani nella società francese impedendo così che in Francia si instauri una sorta di «doppia legislazione», in cui la legge islamica si sovrappone alla legge dello stato. I provvedimenti, in base ai quali è stata immediatamente chiusa una moschea a Pantin, sono stati presi dopo l’omicidio di Samuel Paty, un insegnante che aveva mostrato in classe gli ormai famigerati cartoon di Maometto pubblicati dalla rivista satirica «Charlie Hebdo».
E dopo che un ragazzo pakistano aveva accoltellato due giornalisti davanti alla sede dell’ex ufficio della rivista. «Charlie Hebdo», all’inizio di settembre, aveva ripubblicato i cartoon in occasione dell’inizio del processo agli attentatori del 2015, che avevano massacrato quasi tutta la redazione del giornale. E subito era cominciata, in Pakistan, una crociata contro la Francia a base di bandiere bruciate in piazza, minacce di morte ai francesi, richieste di interruzione delle relazioni diplomatiche con Parigi e di boicottaggio dei prodotti francesi. La protesta, guidata dal premier Imran Khan, dal ministro degli Esteri Qureshi e da Khadim Hussain Rizvi, capo dell’organizzazione semi-terroristica Tehrik-i-Labbaik Pakistan (quella che fa piovere petali di rose su chi uccide i blasfemi, tanto per capirci), aveva portato all’accoltellamento dei due giornalisti di cui sopra ma non all’adozione, da parte del governo francese, di provvedimenti effettivi.
La decapitazione di Paty ha cambiato le cose. Macron ha dichiarato che in Francia è in corso una sorta di separatismo interno di stampo islamista, in cui le scuole islamiche vengono usate per indottrinare i bambini. In cui si insegna la legge islamica a danno delle leggi francesi. Una sorta di società alternativa, che si considera e che vive al di fuori dello Stato. Macron ha parlato di «pesanti influenze straniere nell’Islam francese» puntando il dito contro Arabia Saudita, Qatar e Turchia annunciando anche maggiori controlli sui finanziamenti esteri alle moschee.
Ed Erdogan, che ha il dente avvelenato con la Francia per diverso motivi, seguito a ruota da Imran Khan, dai partiti islamici in Bangladesh (sempre manovrati dal Pakistan) e da altri paesi islamici, non ha perso l’occasione. Non ha perso l’occasione per distogliere l’attenzione internazionale dall’aggressione, a cui i suoi partecipano più che attivamente, degli armeni in Nagorno-Karabak (dove combattono al fianco dei turchi anche jihadi pakistani). Dalle sue relazioni più che pericolose con la Siria, con i russi e con vari pezzi di integralismo nel Mediterraneo. Dei massacri compiuti nei confronti dei curdi, dall’economia del Paese ormai allo sbando, dalle migliaia di morti di Covid tra l’indifferenza generale, dalla trasformazione ormai quasi completa dello Stato laico predicato da Ataturk in uno Stato islamico.
Perché la carta religiosa, per Erdogan e i suoi sodali, funziona sempre. Come recita l’unica frase di Marx sopravvissuta al vaglio della Storia, «la religione è l’oppio dei popoli». E lo è tanto più nel caso di paesi come la Turchia, il Pakistan o il Bangladesh. Paesi che hanno a che fare con un’economia a brandelli, una gestione dissennata e suicida della pandemia. Paesi in cui la privazione graduale delle libertà civili costringe sempre più lo spazio mentale e fisico dei cittadini, in cui la guerra, in ogni sua declinazione, colpisce la fantasia di molti.
Alle dichiarazioni di Erdogan sono seguite quelle di Imran Khan: «Purtroppo il presidente Macron ha scelto di incoraggiare l’islamofobia attaccando l’Islam e non i terroristi che commettono atti di violenza, anche se sono musulmani... ha scelto di provocare deliberatamente i musulmani, inclusi i suoi cittadini, incoraggiando l’esposizione di vignette blasfeme che attaccano l’Islam e il nostro Profeta». E via di questo passo.
Lo stesso Imran Khan ha scritto a Facebook chiedendo che siano eliminati dal network i contenuti blasfemi, mentre su YouTube e sullo stesso Facebook imperversava, senza che nessuno ne richiedesse la censura, un video di Khadim Hussain Rizvi che diceva testualmente: «La Francia ci sta sfidando. C’è un motivo per cui il governo del Pakistan ha la bomba atomica. Che la usi, e dichiari la jihad... Il primo ministro e gli altri politici continuano a dire che l’Islam è una religione di pace, ma abbiamo il dovere di dire al mondo che l’Islam ammette la jihad contro coloro che si macchiano di blasfemia. Dichiaro la jihad contro gli infedeli».
E non era l’unico. In Pakistan, in Bangladesh e anche in Turchia. Vale la pena di sottolineare che nessuno si è sognato di arrestare Rizvi per incitamento all’odio religioso. Del resto in Pakistan, nel solo mese di agosto, la polizia ha registrato quaranta denunce per blasfemia. La maggior parte delle denunce riguardava musulmani di confessione sciita, ma nessuno ha urlato all’islamofobia per questo. In settembre, a Lahore, è stato condannato a morte un cittadino di religione cristiana, sempre per blasfemia, mentre un altro, a Peshawar, è stato ammazzato all’interno del tribunale che lo stava giudicando.
La verità è che Erdogan e Imran Khan sono in malafede e sanno benissimo di esserlo, e adoperano l’arma che gli è più congeniale per ottenere il loro scopi: il ricatto. Erdogan ricatta da anni l’occidente minacciando di inondarlo di immigrati illegali, Imran Khan e i suoi padroni dell’esercito ricattano l’occidente da ancora più anni con la minaccia di lasciare mano libera a jihadi vari. Noi vendiamo armi a entrambi, tanto per essere chiari. Macron non ha dichiarato guerra all’Islam, ma al terrorismo. A una legge contraria alle leggi che governano l’Europa, contraria alla democrazia, contraria all’uguaglianza davanti alla legge di ogni etnia, credo o orientamento sessuale.
Il problema, il vero problema, non è affatto l’islamofobia o l’offesa ai sentimenti dei musulmani. Altrimenti Erdogan e Imran Khan, qatari e sauditi sarebbero scesi in piazza da molto tempo per protestare contro il trattamento che la Cina riserva agli uiguri e contro il vero e proprio genocidio, sia fisico che culturale, di cui sono vittima. Per inciso la CCTV, la China Central Television, ha appena mostrato in un serial un ritratto del Profeta: nessuno ha protestato, nessuno pensa di boicottare i loro prodotti. Perché Turchia e Pakistan, ciascuno in modo diverso, sono soltanto pedine di un gioco giocato da giocatori più grandi e potenti di loro: la Cina, la Russia. Pedine disgraziate che vengono adoperate come alfieri in un gioco di scacchi e per essere sacrificate al momento opportuno.