È pronta la roadmap svizzera?

Dialogo con l’UE - Trent’anni fa il Consiglio federale e il popolo erano molto divisi sullo Spazio economico europeo. Oggi la situazione si potrebbe ripetere di fronte a un’Europa più grande, forte e importante per Berna
/ 10.01.2022
di Ignazio Bonoli

L’inizio dell’anno di presidenza della Confederazione di Ignazio Cassis rischia di essere molto complicato. Tanto più che il magistrato ticinese riveste la doppia funzione di presidente e ministro degli Esteri, chiamato quindi a occuparsi di molti affari interni, ma anche dei delicati equilibri con l’estero.

Tra questi prende un posto importante il problema posto dall’interruzione delle trattative sull’accordo quadro con l’Unione europea. Entro metà gennaio Bruxelles si aspetta infatti dalla Svizzera una «roadmap» da seguire il più presto possibile e di trovare una soluzione soddisfacente per entrambe le parti.

Per il momento le posizioni sono ancora inconciliabili. In breve il problema è il seguente: se la Svizzera vuole un accesso libero al mercato europeo, deve integrare progressivamente il diritto europeo nelle sue disposizioni legali. Cosa alla quale la Svizzera si oppone, perché in contrasto con la Costituzione federale e sicuramente non gradita a livello popolare.

Difficoltà per la Svizzera o, se vogliamo, pressioni europee si sono già viste nei primi mesi dopo l’interruzione delle trattative: per esempio in alcune procedure per l’esportazione o nella partecipazione svizzera ai programmi europei di ricerca. Qualche gesto da parte svizzera, per avvicinare le posizioni, non sembra aver avuto l’effetto sperato. Per esempio il miliardo di coesione versato al fondo europeo, e destinato ai Paesi dell’est, che buona parte del Parlamento svizzero non avrebbe voluto versare ma che Bruxelles tende a considerare acquisito.

Di fronte a un certo indurimento delle posizioni a livello europeo, portato avanti in particolare dal nuovo responsabile per le trattative con la Svizzera, il commissionario Maros Sefcovic, il Consiglio federale oppone accordi particolari per ogni settore da porre in discussione. Potrebbe essere una strada percorribile per proseguire sulla linea degli accordi bilaterali, mentre però da parte europea si vorrebbe riprendere la discussione sui punti che hanno indotto Berna a rinunciare all’accordo quadro.

Che la distanza fra le due posizioni sia ancora grande è dimostrato anche dall’intervento di Cassis in Parlamento. Si tratta – ha detto – di una profonda questione psicologica per l’intero Paese, che non può essere risolta da un gremio di poche persone. Una questione che ha origini antiche in Svizzera, come si può perfino vedere negli atti ufficiali del Consiglio federale di trent’anni fa. Anche allora si è discusso parecchio su un accordo con l’Ue (che era ancora la Comunità economica europea), con una parte dei consiglieri federali favorevoli all’adesione e un’altra totalmente contraria. La proposta in discussione era comunque una via di mezzo e cioè lo Spazio economico europeo da creare tra Comunità europea (Ce) e l’Associazione europea di libero scambio (di cui faceva parte anche la Svizzera).

Ma a Berna c’era chi considerava lo Spazio economico una soluzione durevole ai rapporti con la Ce e chi invece lo considerava un primo passo verso l’ingresso della Svizzera nella futura Ue. Due fatti dimostrarono poi la debolezza della posizione svizzera: da un lato il voto popolare negativo (il 6 dicembre 1992), dall’altro la decisione elvetica di definire comunque l’adesione all’Ue «un obiettivo strategico». Si trattò di un grosso errore politico che creò difficoltà maggiori ai negoziatori svizzeri e costrinse poi il Consiglio federale a rinunciare definitivamente all’obiettivo strategico.

Le posizioni di allora sono molto simili a quelle di oggi, anche se i tempi e forse i modi sono cambiati. Per citare un esempio probante basti ricordare dapprima l’entrata e poi l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea. La Svizzera è sostanzialmente rimasta a guardare, legandosi però agli accordi bilaterali, che hanno sicuramente giovato all’economia, ma che oggi almeno per l’Ue sembrano un ostacolo a rapporti completi con la Svizzera.

Infatti Bruxelles non vede più di buon occhio gli accordi e un eventuale statuto speciale per la Svizzera viene reso più problematico dalle pressioni di alcuni Stati membri che vanno nella stessa direzione. Nel frattempo l’Europa è diventata più grande e più forte e, per la Svizzera, sempre più importante. Noi importiamo dall’Ue più di quanto vi esportiamo. La nostra ricerca e molti altri scambi importanti (per esempio quelli energetici) sono sempre più legati a quelli europei.

In altri termini, la nostra integrazione de facto in Europa è sempre più profonda. Ovviamente il Consiglio federale non può risolvere da solo tutti i problemi ma su di lui incombe la responsabilità di trovare una soluzione che garantisca anche in futuro la prosperità economica e la stabilità politica.

Il rapporto con l’Ue rimane una questione strategica essenziale. Tocca ora alla Svizzera dire come vorrà affrontarla. Ci vorrà tempo ma ci si dovrà muovere con unità di intenti. Se non altro per non dar ragione a quel deputato europeo che ha detto che gli accordi bilaterali sono come il formaggio svizzero: più si aspetta, più aumentano i buchi.