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«Due velocità» non sono una soluzione

Eurozona - Se il dibattito sulla flessibilizzazione delle politiche economiche europee non è nuovo, lo è l’urgenza contingente. Quali le opzioni di riforma?
/ 15.05.2017
di Edoardo Beretta

Dopo anni, in cui i policymaker europei si sono fatti portatori della «bandiera unica» data da Eurozona ed Unione Europea nella loro attuale configurazione ‒ e, di converso, delle relative politiche economiche ‒ da qualche tempo ormai si assiste ad un susseguirsi di appelli provenienti da più parti affinché si preveda maggiore flessibilità a livello di bilancio o, persino, un’Europa «a due velocità». A questo punto, sorge spontanea la domanda sul «come», essendo il «perché» (conseguenza di disomogeneità strutturale all’interno dei 19 Paesi membri dell’Area Euro) è ormai noto. Di primo acchito, quindi, la proposta avanzata dapprima sommessamente durante la crisi acuta del debito europeo (2009-) e oggigiorno meno timidamente di creare un «Euro del nord» ed un «Euro del sud» è forse la più oltranzista. Altre meno azzardate prevederebbero, invece, l’applicazione più soft delle regole comunitarie ‒ perlopiù, allentando la disciplina di bilancio attualmente vigente ed estrapolando alcune voci di spesa ingenti ai fini del calcolo del rapporto fra deficit pubblico e PIL.

Per entrambe le proposte antipodali possono, però, valere le stesse considerazioni: la sopra citata separazione «fantaeconomica» ‒ pare difficile, infatti, immaginare che gli organi europei rimangano a guardare ‒ fra una moneta europea per i Paesi membri del nord ed un’altra per quelli del sud sarebbe sin dagli albori destinata a naufragare. Al di là delle conflittualità economico-politiche o d’immagine, che sarebbero implicate nolens volens da un’eventuale decisione su quale fra le due monete assumere, prevedibilmente l’Euro del sud sarebbe da subito sottoposto a pressioni al ribasso. Queste ultime creerebbero sì le premesse per un rilancio di export o turismo (entrambi ambiti di rilievo in molte Nazioni sudeuropee), ma nel breve-medio periodo si avrebbero anche le condizioni per un ulteriore allontanamento di tale blocco di Paesi dal «modello» nordeuropeo. Tali premesse costituirebbero un ulteriore incentivo (peraltro, già oggi massicciamente esistente) di fuga di capitali dal basso verso l’alto. Ripiegare, invece, sulla cosmesi contabile per «limare» qualche inezia percentuale di rapporto fra disavanzo pubblico e PIL ‒ come alcuni Governi cercano periodicamente di raggiungere nella «contrattazione» con la Commissione europea ‒ pare invece sbagliato.

La questione, infatti, è piuttosto di principio e, per affrontarla, ci deve essere chiarezza su come rispondere alla seguente domanda «cardine»: gli accordi comunitari e, in particolare, l’Euro sono da difendersi «costi quel che costi» (citando un’affermazione «ad effetto» del Presidente BCE Mario Draghi risalente all’estate 2012)? Oppure no? In tal caso, si dovrebbe venire «allo scoperto» al più presto per evitare ulteriori investimenti di centinaia di miliardi di Euro nel consolidamento di criticità. In caso contrario, cioè in cui si ritenga l’Euro imprescindibile (ed una sua disfatta ancor più deplorevole), la flessibilità da adottarsi dovrebbe essere di natura strutturale e non meramente contingente.

Preso atto che i 19 Paesi membri sono ben lungi da costituire un cosiddetto «spazio monetario omogeneo» le politiche economiche ‒ anche in termini di tassi di interesse fissati ora dalla BCE ‒ dovrebbero perdere sempre più que1 sapore «monogusto» (one size fits all nel gergo economico) e divenire maggiormente plasmabili sulle loro necessità. Se il problema è davvero complesso per essere affrontato esaustivamente, è perlomeno sufficiente menzionare l’esempio forse più attuale: avendo la Germania raggiunto nel gennaio 2017 una crescita dei prezzi ormai pari all’1,9% (1), cioè perfettamente in linea con il monomandato della BCE di stabilità dei prezzi below, but close, to 2% (2), è evidente che il banchiere centrale ‒ attenzione: rischio di spoiler, cioè di conoscere anticipatamente il finale della vicenda! ‒ possa essere più precipitosamente costretto a rientrare dal programma di acquisto di titoli prima del previsto e provocare un rialzo dei tassi di interesse (anche sulla scia della Fed americana). La pressione economico-politica diverrebbe, quindi, eccessiva anche per la stessa BCE, che ‒ non è da sottovalutarsi ‒ ha le sue sedi a Francoforte sul Meno. Il problema di dover giungere ad una soluzione (che potrebbe per accontentare molti scontentare altrettanti altri) si porrà altrimenti sempre ‒ vedasi, anche assai recentemente, il nuovo round di trattative per il rifinanziamento greco.

Note

1. www.destatis.de/EN/PressServices/Press/pr/2017/02/PE17_051_611.html;jsessionid=874B9D9B25B5E466A8C009B22149F1AA.cae2
2. www.ecb.europa.eu/mopo/strategy/pricestab/html/index.en.html