Due rompicapi per Baume-Schneider

La neoeletta consigliera federale giurassiana dovrà battagliare parecchio per riuscire a trovare compromessi dignitosiin tema di asilo e di libera circolazione delle persone. Il 2022 è stato un anno record per il numero di profughi in arrivo in Svizzera
/ 23.01.2023
di Roberto Porta

Il miglior giorno nella vita di un consigliere federale è il primo, quello della sua elezione. Non senza un pizzico di amara ironia, tra gli ex ministri del nostro Paese sono in molti a vederla in questo modo. Per i neoeletti dopo il clamore della nomina – e il ricevimento nel proprio Cantone d’origine – la luna di miele finisce, e finisce alla svelta. Ben presto, solitamente pochi giorni, inizia il lavoro. Sulla nuova scrivania si accumulano i nodi da sciogliere e gli avversari, in Governo e nel Paese, non tardano a palesarsi. Ne sa di certo qualcosa Albert Rösti – da poco responsabile del Dipartimento dell’ambiente, dei trasporti, dell’energia e delle comunicazioni – finito nelle critiche già prima di cominciare il suo lavoro per essere stato un lobbista delle auto e del petrolio. Ma il consigliere federale dell’UDC sta ora facendo discutere anche per la scelta del suo nuovo segretario generale. Yves Bichsel, questo il suo nome, solleva parecchie perplessità perché considerato molto (troppo?) vicino a Christoph Blocher e perché le sue posizioni vengono ritenute poco sensibili al clima e all’ambiente. «Siamo in Governo per rimanere tra gli 8 e i 12 anni», ha fatto sapere lo stesso Bichsel, come a dire «il cammino è ancora lungo, lasciateci lavorare e poi giudicateci».

Apparentemente meno ardui sono stati invece i primi giorni in Governo dell’altra neoeletta consigliera federale, la socialista Elisabeth Baume-Schneider. La prima giurassiana in Governo a Berna ha finora avuto un inizio tutto sommato morbido, ma si intravedono già diverse nuvole cupe all’orizzonte. Per lei in particolare due grandi temi da affrontare, con la prospettiva di dover battagliare parecchio per riuscire a trovare un compromesso dignitoso. Il primo tema è quello dell’asilo, argomento sempre politicamente scottante. E ancor più in questo momento. Il 2022 è stato un anno da primato per il numero di profughi che sono arrivati nel nostro Paese, comprese le oltre 61mila persone che hanno ricevuto uno «Statuto S» perché in fuga dall’Ucraina. E qui, nella gestione di questa emergenza, la ministra giurassiana dovrà guardarsi soprattutto dall’UDC, sempre pronta, soprattutto in un anno elettorale come questo, a far leva su quello che non esita a chiamare il «collasso totale del sistema asilo», anche se la situazione al momento rimane tutto sommato sotto controllo. Uno scenario che ricorda quello del 2015, altro anno di elezioni federali, in cui il tema dell’asilo, con cifre allora ancora più elevate, aveva permesso ai democentristi di accrescere il proprio successo elettorale.

La seconda patata bollente è quella dell’immigrazione di forza lavoro, in particolare quella in arrivo dall’Unione Europea. Argomento che chiama direttamente in causa gli accordi bilaterali e in particolare la libera circolazione delle persone. Va detto che in questo contesto Elisabeth Baume-Schneider (chiamata sempre più spesso anche EBS) è, tra i sette ministri svizzeri, quella che ha maggiormente a che fare con l’UE, anche più di Ignazio Cassis, capo della nostra diplomazia. Da ministra della giustizia partecipa regolarmente agli incontri dei suoi omologhi europei e degli altri Paesi terzi che fanno parte dello Spazio Schengen/Dublino (i trattati sulla mobilità transfrontaliera interna e sull’asilo). Vertici in cui si discute anche – e per la Svizzera soprattutto – di libera circolazione delle persone. Questo è l’accordo che più di ogni altro incarna le nostre relazioni con l’Unione europea e che al momento rappresenta il principale nodo da sciogliere per dare un futuro stabile ai rapporti tra Berna e Bruxelles. Per EBS è, e sarà, un vero rompicapo. Nell’affrontarlo, lei e l’insieme del Consiglio federale dovranno vedersela con due fronti ben distinti e su questo tema ormai ben collaudati. Da una parte troviamo l’UDC e, in Ticino, anche la Lega che già da settimane agitano lo spauracchio della «Svizzera a nove milioni di abitanti», soglia psicologica che il nostro Paese dovrebbe raggiungere nel corso del 2023, sommando popolazione residente e altre categorie di persone, come i richiedenti l’asilo. L’UDC mira a rimettere di nuovo in discussione la libera circolazione delle persone, con una nuova iniziativa popolare anti-immigrazione già annunciata.

Dall’altra parte c’è invece il fronte sindacale, politicamente vicino alla ministra socialista. Sindacati che finora hanno sempre osteggiato qualsiasi tipo di concessione sulle misure di accompagnamento, il pacchetto di provvedimenti adottato per proteggere il mercato del lavoro svizzero dai possibili effetti negativi della libera circolazione, dumping salariale in primis. Due fronti a cui va aggiunta l’ala più europeista della sinistra svizzera, in gran parte romanda e che di certo ha votato Elisabeth Baume-Schneider nel giorno della sua elezione in Governo. E che da lei si aspetta un riavvicinamento a Bruxelles. Trovare un compromesso in un contesto del genere appare compito arduo. La libera circolazione delle persone rischia pertanto di rimanere il terreno di scontro più acceso nel riformulare la nostra politica europea, finita in un vicolo cieco dopo la bocciatura da parte del Consiglio federale dell’accordo quadro con l’UE. Era la primavera del 2021.

Per la ministra giurassiana ci sono poi altre problematiche da affrontare: l’accesso al passaporto svizzero, i diritti civili, la parità uomo-donna o la lotta alla criminalità. Con una necessità che riguarda anche il suo partito: evitare i passi falsi, in particolare in un anno come questo che culminerà in autunno con le elezioni federali. Il partito socialista è già alle prese con i guai che stanno sempre più accerchiando Alain Berset. L’altro ministro del PS in Governo è infatti confrontato con la questione dei cosiddetti «Corona-Leaks», la fuga di notizie che sarebbe stata orchestrata in piena pandemia dal suo ex portavoce Peter Lauener, fornendo informazioni confidenziali al gruppo editoriale Ringier. Un’inchiesta è in corso, non riguarda lo stesso ministro, ma questo caso rischia di pesare molto sull’anno presidenziale di Berset e sulla sua eventuale rielezione il prossimo dicembre. Le polemiche non accennano a diminuire e per il suo partito si tratta di una grana di cui avrebbe fatto volentieri a meno. Per lo stesso Berset è la conferma di quanto affermano di tanto in tanto i suoi ex colleghi di Governo: il primo giorno rimane a conti fatti il migliore – e di sicuro il più spensierato – nella vita di un consigliere federale.