Draghi, l’italiano più spendibile all’estero

L’Italia in crisi si aggrappa al suo presidente del Consiglio, la cui serietà è apprezzata anche oltre confine. «Super Mario» ha dimostrato capacità nel gestire la pandemia ma il vero banco di prova sarà il rilancio dell’economia
/ 24.05.2021
di Alfio Caruso

Vi ricordate quando nel pieno della campagna presidenziale 2016 l’allora candidato Trump urlò dal palco: «Potrei stare in mezzo alla Fifth Avenue, sparare a qualcuno e non perderei neanche un voto. È incredibile»? E accompagnò la frase con la mano a raffigurare una pistola. Lo stesso potrebbe dire Mario Draghi, il presidente del consiglio italiano, tale è l’ascendente esercitato sul Paese, la considerazione dalla quale è circondato. Ovviamente Draghi non solo non lo dice, ma neppure lo pensa da riuscito incrocio delle migliori scuole cattoliche e laiche della Nazione. Ha infatti studiato dai gesuiti e professionalmente si è formato in Banca d’Italia alla scuola di Azeglio Ciampi, che l’ha preceduto nella guida del Governo e, forse, in quella della Repubblica.

Un recente sondaggio afferma che oltre il 60,2% dei cittadini è convinto che il capo del governo otterrà risultati importanti «malgrado i partiti» e fra costoro il 41,3% ritiene che Draghi realizzerà quel cambio di passo indispensabile per emergere dalla crisi pandemica. D’altronde, l’indice di gradimento è risalito al 56% dopo essere sceso al 51% dal 63,8% dei giorni dell’investitura in febbraio. In Italia sono numeri altissimi, testimonianza della fiducia quasi messianica riposta nell’ex governatore della Banca centrale europea. E non è una pura questione di carisma, di serietà, di lontananza dal teatrino della politica e dalle copertine dei settimanali di gossip. Il funzionamento della macchina vaccinale con il traguardo delle cinquecentomila dosi giornaliere ha rappresentato la conferma che alle promesse di Draghi si può credere, benché il suo merito principale sia di aver scelto uno sconosciuto generale degli alpini, il sessantenne Francesco Paolo Figliuolo, quale commissario all’emergenza. Messo di fronte alla prova più ardua Figliuolo si è rivelato quel mago della logistica indispensabile nell’attuale frangente. A convincere l’opinione pubblica ha contribuito pure il suo indefesso girovagare da un hub all’altro in divisa con tanto di cappello munito dell’ammirata penna bianca: da oltre un secolo, infatti, gli alpini costituiscono il più amato simbolo della Patria.

In sofferenza come poche altre volte nella sua storia, l’Italia si è aggrappata a Draghi con la forza della disperazione, pure a rischio di trasformarlo in un santino. Esiste il bisogno diffuso di credere in qualcuno e chi meglio del banchiere che ha salvato l’euro con la semplice promessa di fare tutto ciò che sarebbe servito, e nell’attuarla mettere anche in riga la supponenza di tedeschi e olandesi nei confronti degli italiani appassionati di mandolino e spaghetti? Dimenticati alcuni velenosi giudizi sul suo ruolo nelle privatizzazioni di trent’addietro, che comunque aiutarono a mettere in ordine i conti, oggi fanno agio la sua onestà, mai lambita dalla più piccola maldicenza; l’apprezzamento dall’intero arco politico al punto che i principali incarichi a lui, ritenuto di vaghe simpatie sinistrorse, sono venuti da Berlusconi. E si è trattato prima della Banca d’Italia, in seguito di quella europea.

Agli occhi di molti connazionali Draghi rappresenta l’ennesimo «uomo della provvidenza», ma a differenza di Mussolini e di Berlusconi, i due aspiranti più conosciuti, senza alcuna pretesa di esserlo. Ambizioso e giustamente sicuro di sé è l’ultimo rappresentante di una genìa, purtroppo smarritasi nel corso dei decenni. Quella dei professionisti seri e perbene, per i quali parlano i trascorsi. Non ha promesso «lacrime e sangue» come Churchill, tuttavia non ha nascosto le enormi difficoltà dalle quali siamo attesi per superare la crisi e soprattutto l’enorme debito pubblico, che zavorra bilanci e progetti. Eppure un italiano su due approva il suo piano di ripresa, ne condivide il disegno per far rinascere la Nazione, aiutarla a uscire dalla crisi. Persino l’immediata e scontata apertura al turismo internazionale ha suscitato un vastissimo consenso, financo esagerato.

Draghi è l’italiano più spendibile a livello internazionale. Il ritiro della Merkel, le difficoltà di Macron potrebbero trasformarlo nell’interlocutore privilegiato degli Usa. Il rilievo attribuitogli dai media più importanti, un paio di articoli elogiativi del «New York Times» e del «Wall Street Journal» hanno rappresentato una lieta scoperta. Anche il suo inglese impeccabile, imparato dalla frequentazione di corsi al Mit di Boston di Franco Modigliani, l’unico italiano ad aver vinto, nel 1985, il nobel per l’economia, conferisce al personaggio uno spessore d’inusitata qualità, ben diverso dai tanti orecchianti, capofila Renzi, che lo masticano a fatica. Malgrado sia di poche parole e di pochissime conferenze stampa, queste sono state sufficienti per regalare agli abitanti della Penisola un futuro in cui credere, sul quale puntare. Naturalmente il favore di cui gode si è riversato sull’intero Governo, però siamo ancora ai preliminari. Saranno il lavoro spesso da inventare e il rilancio dell’economia il vero banco di prova. Il clima, la transizione ecologica, quella digitale, la giustizia, la scuola sono riforme ugualmente importanti per poter avviare la modernizzazione del Paese, ma senza un secondo miracolo economico il sogno si trasformerà in incubo e si comincerà a cercare un San Giorgio in grado di abbattere i Draghi.