Quando la vicepresidente americana Kamala Harris è atterrata a Parigi, due settimane fa, tutti sapevano quale fosse il reale obiettivo di quella missione Oltreoceano: l’Amministrazione di Joe Biden sta facendo di tutto per fare pace con il Governo di Emmanuel Macron dopo l’affare dei sottomarini. A metà settembre – lo ricordiamo – America, Australia e Regno unito hanno annunciato a sorpresa uno storico accordo, un patto di difesa chiamato dalla stampa Aukus (A sta per Australia, insieme con Uk e Us) grazie al quale Canberra potrà acquisire la tecnologia dei sommergibili a propulsione nucleare – un club finora riservato a pochissimi Paesi eletti. La prima conseguenza dell’accordo è stata che l’Australia ha annullato la commessa di sottomarini che aveva con la Francia, per un valore stimato attorno ai 56 miliardi di euro. Macron, in pieno assetto da campagna elettorale, ha accusato i tre Paesi alleati di aver complottato contro la Francia in segreto. Da Canberra, il Governo guidato da Scott Morrison ha giustificato la scelta spiegando che la propulsione dei sottomarini francesi è a diesel, ed è considerata superata a livello strategico: i sommergibili a propulsione nucleare costano di più ma possono restare sott’acqua molto più tempo degli altri e trasportare carichi più pesanti. Dal punto di vista della diplomazia internazionale la situazione tra Parigi, Canberra e Washington è rimasta tesa, nonostante le conversazioni tra Macron, Morrison e Biden durante il G20 che si è svolto a Roma a fine ottobre. Dal punto di vista pratico tutti i Governi dell’Alleanza atlantica riconoscono che nell’area del Pacifico c’è un problema, che la situazione è in veloce evoluzione e la prima effettiva conseguenza è una corsa al riarmo.
Qualche giorno dopo l’annuncio dell’accordo Aukus, un episodio di cronaca si è trasformato in uno spot pubblicitario controproducente. In un breve comunicato, il comando delle Forze armate americane nel Pacifico ha fatto sapere che uno dei suoi sommergibili di punta, un natante proprio a propulsione nucleare, lo Uss Connecticut, aveva avuto «una collisione con un oggetto non identificato». «Il sottomarino è in condizioni sicure e stabili. L’entità del danno alla struttura è in fase di valutazione». Nel giro di poche ore sono iniziate a circolare teorie del complotto più o meno credibili, dagli alieni all’incidente a bordo fino all’attacco nemico. Una settimana dopo la Marina americana ha pubblicato i risultati di un’inchiesta sull’incidente e ha spiegato che lo Uss Connecticut, durante un passaggio nel Mar cinese meridionale, aveva urtato accidentalmente una montagna sottomarina che non era stata inclusa nelle mappe.
Niente di strano, insomma, ma l’evento ha suscitato diverse riflessioni sulla militarizzazione di un’area del Pacifico dove aumenta ogni giorno di più la possibilità di incidenti, e ha inoltre scatenato la propaganda cinese anti-Usa. «L’America deve dirci la verità sulla collisione dello Uss Connecticut», ha scritto il tabloid cinese «Global Times», «il suo non era affatto un passaggio innocente». E poi: «Il Mar cinese meridionale non è il Mar dei caraibi dove l’esercito americano va e viene a piacimento». E il problema è proprio questo: il Mar cinese meridionale è da più di un decennio reclamato da Pechino, che ha costruito attorno alla sovranità di quell’area non solo una potente propaganda, ma anche delle claudicanti motivazioni storiche e giuridiche, smentite perfino da una storica sentenza del 2016 da parte di un tribunale arbitrale sotto l’egida dell’Onu. Da anni le Forze armate occidentali aumentano l’attenzione su quell’area del Pacifico, proprio per garantire il passaggio e la libertà di navigazione: si tratta della porta dei commerci tra Oriente e Occidente. Ma per la Cina è una violazione della sovranità.
Aumentano la tensione, le provocazioni e qualcuno, anche da Occidente, comincia a dire che tutti questi sottomarini invisibili e velocissimi, tutte queste navi da guerra in formazione, fanno aumentare pure la possibilità di un confronto armato. In 2034 – Il romanzo della prossima guerra mondiale, gli autori Elliot Ackerman e l’ammiraglio James Stavridis raccontano con dovizia di particolari – tutti reali – quello che potrebbe succedere, in un genere letterario molto convincente che ha avuto parecchio successo: il romanzo distopico geopolitico. «La sua flottiglia si trovava a dodici miglia nautiche dal Mischief reef, un atollo delle isole Spratly al centro di un’annosa disputa, per una missione di pattugliamento denominata eufemisticamente Libertà di navigazione», si legge nel primo capitolo. «Lei odiava quel nome che, come tanti altri aspetti della vita militare, era stato pensato per nascondere la vera natura dell’operazione: nient’altro che una pura e semplice provocazione. Quelle erano innegabilmente acque internazionali, almeno in base alle norme del diritto marittimo, ma la Repubblica popolare cinese le considerava acque territoriali. Navigare attorno alle Spratly era un po’ come sgommare sul prezioso prato del vicino di casa perché aveva spostato lo steccato invadendo la tua proprietà. Ormai erano decenni che i cinesi spostavano lo steccato sempre un po’ più in là, e poi un altro po’. Di questo passo, avrebbero rivendicato l’intero Pacifico meridionale. Dunque... era tempo di sgommare nel loro giardino».
L’America ha reclutato i suoi alleati più fedeli, tra cui Regno unito, Australia, Giappone, per contenere l’espansionismo cinese. Ma anche la Cina sta iniziando sempre più frequentemente a mostrare i muscoli con manovre militari impensabili fino a qualche anno fa. Ad agosto e a ottobre di quest’anno Pechino ha svolto nel Pacifico due diverse esercitazioni militari congiunte con la Russia per dimostrare al resto del mondo l’allineamento delle due potenze non solo politico ma anche sul piano della difesa. In un decennio le Forze armate cinesi hanno incrementato le capacità belliche e per la prima volta, il mese scorso, hanno inviato all’estero aerei da guerra anti-sommergibili e cacciatorpediniere da oltre 10 mila tonnellate. Il 23 ottobre, durante una delle missioni, dieci navi da guerra – cinque cinesi e cinque russe – hanno per la prima volta fatto due passaggi negli stretti più cruciali dell’arcipelago giapponese con un chiaro messaggio provocatorio. La formazione sinorussa ha attraversato lo stretto di Tsugaru, quello che divide l’isola principale del Giappone, l’Honshu, dall’isola del nord, l’Hokkaido, che nel suo punto più impervio è largo soltanto 19 chilometri e mezzo. Anziché i dodici chilometri standard per il diritto internazionale, lì le acque territoriali giapponesi si estendono soltanto per poco più di cinque chilometri, un’eccezione che serviva nel Dopoguerra a far transitare le navi da guerra americane. Pechino e Mosca hanno sfruttato una norma favorevole all’America per mandare un messaggio al Giappone e ai suoi alleati più stretti: anche noi siamo qui.
Dove scoppierà la terza guerra mondiale?
Gli Stati uniti reclutano gli alleati per contenere l’espansionismo cinese; nel Pacifico intanto si susseguono gli incidenti
/ 22.11.2021
di Giulia Pompili
di Giulia Pompili