Lunedì primo marzo è stata una data speciale qui a New York. La nostra prima «cena con vaccino» a casa di amici. Più numerosa – ben otto persone a tavola! – rispetto alle cautele dei mesi precedenti. Tutti vaccinati. Chi per l’età, chi per la professione. Nessuno per raccomandazione. Qui le vaccinazioni – da sempre – sono universali e gratuite, non occorre avere l’assicurazione sanitaria, neppure essere cittadini. Presto toccherà a voi, ne sono certo. Per quanto l’Europa abbia fatto errori imperdonabili nella gestione delle vaccinazioni, e l’America si sia rivelata migliore di quanto crediate, ho fiducia che ve la caverete con qualche mese di ritardo su di noi. Quegli sbagli, anche gravi, sono rimediabili. Perciò vi scrivo dal «vostro» futuro, come un viaggiatore nella macchina del tempo che vi racconta quel che sta per accadere.
Qui a New York è normale frequentare persone già immunizzate visto che le inoculazioni hanno raggiunto fasce sempre più ampie della popolazione. I primi 10 minuti della cena li passiamo su «quello»: tu sei Pfizer, Moderna o Johnson & Johnson? Hai avuto qualche effetto collaterale? L’argomento si esaurisce presto e si passa ad altro: la vita ricomincia. Ognuno si gode a modo suo questo ritorno alla normalità: chi va sempre più spesso al ristorante, chi ha ripreso a viaggiare, chi è tutte le sere al cinema anche a costo di rivedere film già visti su Netflix. Ecco i primi concerti con quella risposta del sistema prenotazioni online che era lo slogan-simbolo di New York: sold out!
Le buone notizie non possono restituire la vita a chi l’ha persa, né l’affetto dei cari che non ci sono più, né la salute piena per quei convalescenti che hanno strascichi pesanti da Covid. Però riprenderci la gioia di vivere è un dovere sociale. È l’unico modo per ridare un lavoro e un reddito alle tante vittime economiche dei lockdown. Incontrerete anche voi, quando sarà il vostro turno di svoltare, quelli a cui il Covid ha impresso delle paure insormontabili.
Nella nostra cerchia di amici c’è qualche vaccinatissimo che lascia cadere i nostri inviti a cena o al cinema. Alcuni si tirano indietro silenziosamente, non rispondono agli sms o alle e-mail. Eremiti a vita? Altri sono espliciti: «Ancora non esiste la certezza che chi è vaccinato non possa essere portatore sano e contagiare». Oppure: «Il vaccino non protegge al 100 per cento». E infine: «Chissà quali altre varianti hanno cominciato a circolare». Rispetto le paure di tutti. Esistono da sempre: claustrofobia, agorafobia, vertigini da grattacielo, paura dei ragni o dei topi, germofobia. Ognuno ha diritto al suo panico individuale. Purché non lo spacci come una paura che tutti devono avere in nome della scienza. La scienza, iddio la benedica, non ci ha mai promesso di vivere una vita a rischio zero, né di regalarci l’immortalità. Fino a 12 mesi fa ero solito viaggiare su un metrò di New York stipato e sporco. Il passeggero a fianco a me poteva essere portatore di un’epatite micidiale, di Ebola o chissà cosa. Non ci pensavo. Mi bastava vivere – per quel tanto che il destino mi ha dato – nella città più viva del mondo.
Il 7 marzo 2020 l’ultima luce prima del buio per me fu lo spettacolo teatrale Lehman Trilogy di Stefano Massini a Broadway. Il 5 marzo 2021 il ritorno alla vita l’ho festeggiato sempre sulla Broadway, in una sala che proiettava Nomadland con Frances McDormand. In mezzo dodici mesi tragici per il mondo intero e anche per New York. A un anno dall’ultima sera in cui ero potuto uscire come tutti i newyorchesi per assistere a uno spettacolo «live», ho celebrato la riapertura delle sale cinematografiche alla multiplex Amc di Lincoln Center. Il governatore democratico Andrew Cuomo, come tanti suoi colleghi dei 50 Stati Usa, decreta che l’incubo sta finendo, la vita ricomincia. La riapertura dei cinema a New York, capitale globale dello spettacolo, è un passo simbolico e importante. Mascherine obbligatorie, ma è una svolta esistenziale: New York fa le prove generali per tornare ad essere «the city that never sleeps». Tra meno di un mese qui tocca a teatri, sale per concerti. Finalmente rinasce l’industria culturale, uno dei settori più colpiti, con una forza lavoro impoverita e depressa da un anno. Insieme con la netta accelerazione nella distribuzione dei vaccini (30 per cento della popolazione già inoculata, il ritmo supera i 2 milioni al giorno, ed è in costante aumento), il ritorno alla normalità dell’America sta cambiando la nostra vita. Altra novità, New York per i viaggiatori in arrivo da altri Stati Usa abolisce obbligo di test e quarantena se sono vaccinati: è un embrione di passaporto sanitario.
Siamo in un sistema federale quindi ogni Stato ha i suoi calendari. Ci sono le «fughe in avanti» come quella del Texas dove quasi tutto è già riaperto e il governatore repubblicano Greg Abbott toglie perfino l’obbligo di mascherina. Joe Biden ha stigmatizzato il «pensiero di Neanderthal» del governatore texano. Malgrado le controversie, la direzione di marcia è chiara, verso l’uscita dalle restrizioni. Il tasso di ideologia diminuisce. Lo scontro fra Biden e Abbott fa parte del «teatro Kabuki» della politica americana ma la mappa delle riaperture non segue esattamente la divaricazione tra Stati democratici e repubblicani.
La California, roccaforte della sinistra, dopo avere avuto i lockdown più severi d’America adesso riapre rapidamente: il governatore Gavin Newsom vuole tutti i bambini a scuola dal primo aprile. Riapre perfino palestre e fitness, impianti sportivi, parchi divertimenti. Il Connecticut democratico ha deciso una riapertura di tipo texano: quasi tutto torna alla normalità, incluse le competizioni sportive, feste e festival. Toglie le restrizioni anche sulla quantità di clienti ammessi nei ristoranti. Se Texas e Florida hanno fatto da apripista con largo anticipo, altri Stati si adeguano anche perché i dati non supportano la tesi che i lockdown più duri, stile California, abbiano portato a un divario sostanziale nei contagi, nei ricoveri, nei decessi. Sia Newsom sia Cuomo, le star della sinistra sulle due coste, sono assediati da scandali e in difficoltà con la propria base. La liberalizzazione estrema e precoce del Texas può aver contribuito a rafforzare l’esodo in corso di aziende e forza lavoro dalla California, attirate da un clima più favorevole all’attività economica.
La differenza texana non è così estrema come sembra dai proclami politici. L’obbligo di indossare mascherine, benché abolito dal governatore repubblicano, viene mantenuto dai cinema Amc, dagli alberghi Hyatt, dai caffè Starbucks, dai supermercati Target, dalle catene di farmacie drugstore Cvs. Il comportamento del settore privato sarà cruciale anche su un altro fronte: il ritorno dei dipendenti negli uffici. Al momento si stima che solo il 25% della forza lavoro impiegatizia stia andando regolarmente in ufficio, con punte di oltre un terzo in Texas, e dei minimi sotto il 20% a New York, San Francisco, Chicago. Quante aziende vorranno rinunciare in fretta allo smart working? A quali condizioni? Già si segnalano imprese che offrono incentivi ai dipendenti che si fanno vaccinare. Il ritorno alla normalità ha una ricaduta economica visibile: oltre 379’000 assunzioni, il dollaro si rafforza, la ripresa Usa è in forte accelerazione.
Dove l'incubo sta finendo
Negli Usa le vaccinazioni sono ormai diffuse e si verifica un più o meno lento ritorno alla normalità. Texas e Florida hanno fatto da apripista, altri Stati si adeguano. A New York la cultura torna a far sentire la sua voce
/ 15.03.2021
di Federico Rampini
di Federico Rampini