Dove le studentesse vengono avvelenate

In Iran gli attacchi contro migliaia di ragazze hanno generato indignazione e una nuova ondata di proteste antigovernative
/ 22.05.2023
di Francesca Marino

«Il leader supremo Khamenei e i suoi agenti criminali continuano ad avvelenare gli studenti per contrastare la sommossa e vendicarsi delle ragazze e delle donne che sono state in prima linea nella rivolta del 2022 e del 2023. Lunedì 24 e martedì 25 aprile le scuole di Teheran e di alcune città, tra cui Kermanshah, Sanandaj, Hamedan e Karaj, hanno registrato l’avvelenamento di un gran numero di studentesse». Il segretariato del Consiglio nazionale della resistenza iraniana, in una dichiarazione rilasciata a fine aprile, ha denunciato ancora una volta il regime iraniano: «Negli ultimi 5 mesi, nonostante i continui avvelenamenti, il regime dei mullah e le sue agenzie di sicurezza, politiche e di propaganda hanno cercato di impedire che la verità venisse alla luce. Anzi, coloro che hanno cercato di diffondere le notizie su questi crimini organizzati sono stati perseguiti e imprigionati… La Resistenza iraniana chiede ancora una volta un’indagine completa e indipendente da parte di una commissione d’inchiesta internazionale su questo crimine sistematico e su larga scala».

Secondo i rapporti, più di 7000 studentesse iraniane sono state avvelenate tra il novembre 2022 e il marzo 2023. Nessuna di loro è morta ma centinaia sono state ricoverate in ospedale con sintomi che includevano difficoltà respiratorie, intorpidimento degli arti, palpitazioni cardiache, mal di testa, nausea e vomito. Gli attacchi sono iniziati poche settimane dopo l’ondata di proteste a livello nazionale seguita alla morte di Mahsa Amini, picchiata dalla polizia perché alcune ciocche di capelli erano sfuggite al suo hijab. La morte di Mahsa ha innescato la miccia del malcontento che si è riversato nelle strade: per un’economia al collasso, per la palese corruzione, per la repressione soffocante e per le restrizioni sociali imposte da un manipolo di anziani religiosi. Sono state le donne a cominciare. Si sono tolte l’hijab e l’hanno gettato nei fuochi, accesi un po’ ovunque nel Paese, davanti a poliziotti attoniti. Tagliandosi i capelli in piazza e postando i video sui social media, togliendo i turbanti dalle teste dei mullah mentre camminavano.

Le numerose proteste guidate da donne e ragazze si erano in gran parte spente dopo una brutale repressione governativa che ha comportato arresti di massa e l’esecuzione di manifestanti. Ma gli avvelenamenti nelle scuole femminili, segnalati per la prima volta nella città di Qom lo scorso novembre, hanno generato una nuova ondata di proteste contro il Governo e molti hanno chiesto ancora una volta la fine del regime della Repubblica islamica. Secondo l’ultimo rapporto della Commissione per i diritti umani dell’ONU «gli esperti hanno espresso preoccupazione per la sequenza degli attacchi, che sono iniziati solo poche settimane dopo le proteste seguite alla morte di Masha Amini». Fino all’inizio di marzo il ministro degli Interni Ahmad Vahidi negava gli attacchi tossicologici, affermando che il 90% dei casi riportati poteva essere attribuito allo «stress». E i media di Stato liquidavano gli episodi di avvelenamento come un «tentativo da parte degli studenti di saltare gli esami». In seguito, mentre la frequenza degli incidenti aumentava e le proteste diventavano ingestibili, perfino l’ayatollah Ali Khamenei ha dovuto definire l’ondata di avvelenamenti «un crimine enorme e imperdonabile» e ha chiesto che i responsabili, una volta catturati, fossero condannati a morte.

Alla fine il Ministero della salute ha dichiarato che un team di 30 tossicologi ha identificato le tossine che hanno avvelenato le ragazze come gas azoto, invisibile, insapore e inodore. Poco dopo il Ministero degli interni ha annunciato l’arresto di oltre 100 persone in 11 province. «Tra gli arrestati ci sono individui con motivazioni ostili che hanno l’obiettivo di creare paura e panico tra la popolazione e gli studenti, e di chiudere le scuole creando una visione negativa nei confronti delle autorità». E però, curiosamente, non sono state formulate accuse ufficiali nei confronti degli arrestati di cui non si sa più nulla. C’è stato invece un giro di vite nei confronti di media e social media. Anche il giornalista che per primo ha riferito degli attacchi a Qom è stato arrestato e la sua sorte è tuttora sconosciuta. Secondo la Commissione per i diritti umani, decine di attivisti, di donne e di ragazze che hanno partecipato alle proteste rimangono in carcere.

Alcune giovani donne che si sono filmate mentre ballavano per strada senza coprirsi i capelli sono state rintracciate e costrette a scusarsi alla tv di Stato, mentre le madri delle bambine avvelenate che chiedevano risposte o protestavano davanti alle scuole sono state brutalmente picchiate. «Questo è un atto di terrorismo, e il fatto che la Repubblica islamica non l’abbia preso sul serio per mesi solleva seri interrogativi sulla complicità del Governo con gruppi che hanno la capacità organizzativa di compiere attacchi di tale portata», ha dichiarato Hadi Ghaemi, direttore esecutivo del Centro per i diritti umani in Iran a proposito degli avvelenamenti. Ma, nonostante tutto, dichiarano le attiviste – nonostante la sostanziale indifferenza del mondo che preferisce gli accordi commerciali e le strategie sul nucleare piuttosto che sostenere le iraniane – la protesta non si fermerà: «Donna, vita, libertà!».