Dove le regole non esistono

Reportage dal Triangolo d’oro, un’area ricca di risorse e di vita da tempo nel mirino del gigante cinese
/ 22.08.2022
di Giulia Pompili

Il punto in cui s’incontrano il fiume Ruak e il fiume Mekong è un luogo magico, evocativo, un crocevia di traffici illeciti e di leggende nel cuore del sud-est asiatico. In quell’area sono stati ambientati decine di romanzi e girati altrettanti film di spionaggio e di gangster, da Arma letale con Mel Gibson a Tropic Thunder di Ben Stiller. Il colore fangoso del fiume e il verde della vegetazione sono una distesa inframezzata dall’attività dell’uomo, che sin dalla notte dei tempi sfrutta questa zona piena di risorse e di vita. È il Triangolo d’oro, come lo definì la Cia, una delle aree più ricche e importanti dell’area asiatica che fa da confine naturale a Thailandia, Laos e Birmania. Tre paesi che s’incontrano nello stesso punto.

Al di là dell’esotismo di un luogo di frontiera, il motivo per cui è stato consacrato anche dalla cinematografia globale è che da decenni è il centro del mondo della produzione e della distribuzione di oppio e metanfetamine. Non è un caso se Pechino, sempre più potente economicamente e influente politicamente, ha messo gli occhi sulla regione. Dal punto di confluenza, risalendo il corso del fiume Mekong verso nord-ovest, ci sono soltanto 150 chilometri per arrivare al confine cinese della provincia dello Yunnan. Un passaggio che si fa attraversando il Laos, il paese più fragile della regione dal punto di vista economico, che si è affidato al Dragone e ai suoi investimenti per cercare di risollevarsi, spesso pagando un prezzo molto più alto di quanto immaginasse.

In questa zona tutto ruota attorno al Mekong, il re dei fiumi asiatici, il dodicesimo più lungo del mondo che ha la sua sorgente in Cina, attraversa 4350 chilometri e sei paesi, e sfocia in territorio vietnamita nel Mar cinese meridionale. Dal lato thailandese, il villaggio di confine del Triangolo d’oro si chiama Sop Ruak, è protetto da una gigantesca statua di Buddha dorata e offre diversi punti panoramici per osservare la confluenza dei fiumi. Negli ultimi anni il governo di Bangkok ha investito molto nel turismo della zona, proponendo l’intera provincia di Chiang Rai come destinazione alternativa alle frequentatissime spiagge del sud della Thailandia. Una ventina d’anni fa fu addirittura la fondazione della famiglia reale thai a finanziare la costruzione di un museo dell’oppio, che racconta dettagliatamente la coltivazione dei papaveri e la produzione della sostanza considerata preziosa, appunto, come l’oro.

Il business iniziò con la prima Guerra dell’oppio, a metà Ottocento, ma andò avanti a lungo. Alla fine della Guerra civile cinese il traffico di droga finanziò anche molta della campagna contro l’avanzata delle truppe di Mao, promossa dalle forze armate dei nazionalisti guidati da Chiang Kai-shek con il supporto della Cia, l’agenzia d’intelligence americana che voleva frenare l’avanzata del comunismo nel sud-est asiatico. Prima del Covid, prendere una barca di tipo lancia e passare dalla Thailandia al Laos alla Birmania era piuttosto facile. Un ufficio immigrazione proprio all’ingresso delle imbarcazioni consegnava visti e autorizzazioni. Con la Birmania le cose sono cambiate e si sono complicate parecchio dopo il colpo di Stato del primo febbraio del 2021 che ha portato di nuovo nel paese il regime militare. Adesso è soprattutto la Thailandia che controlla gli ingressi, per evitare il traffico di clandestini e di chi fugge dal paese. Il passaggio in Laos, invece, si è complicato per via della politica «zero Covid» cinese.

«Quella parte di Laos non è più Laos, è Cina», ci spiega il marinaio dell’imbarcazione che intanto si avvicina alla costa, dove gru ed escavatrici lavorano senza sosta. «Con l’inizio della pandemia i lavori avevano rallentato, ma ora sono tornati e hanno raddoppiato i cantieri». Quel lembo di terra sul Mekong che quasi sembra arrivare a toccare la Thailandia è tecnicamente territorio del Laos. Solo che nel 2007 il governo laotiano decise di darlo in concessione per 99 anni al Kings romans group, un colosso del gioco d’azzardo cinese. L’area del Laos attorno al Triangolo d’oro divenne così una Zona economica speciale e man mano iniziarono ad arrivare ditte di costruzioni cinesi, aprirono negozi e ristoranti gestiti da cinesi. Negli ultimi anni anche l’autorizzazione per entrare nella zona è sottoposta alle regole di Pechino, unico governo al mondo che persegue ancora la politica «zero Covid», con quarantene e divieti d’ingresso. Ma l’aspetto più interessante è che più i cinesi investono nel Triangolo d’oro, più l’intera area diventa una specie di porto franco senza regole, ci raccontano i locali.

Il palazzo simbolo di questa trasformazione è il Kings romans casinò, un edificio grigio con una corona dorata sul tetto che si vede da decine di metri di distanza. Il proprietario del colosso si chiama Zhao Wei, ed è una delle figure più note e controverse nel business del gioco d’azzardo. Originario dello Heilongjiang, nel nord-est della Cina, Zhao Wei è noto nel mondo del business soprattutto per i suoi precedenti investimenti a Macao – l’unica zona cinese dove il gioco d’azzardo è legale – e in una zona di confine con la Birmania. Il suo investimento in Laos, quindici anni fa, aveva un piano preciso: trasformare il Triangolo d’oro nella Las Vegas asiatica. «È un posto destinato al turismo cinese», dice il marinaio. «Laggiù ormai si usa lo yuan, la moneta cinese, e non più il kip laotiano». C’è il gioco d’azzardo, certo, ma c’è anche la prostituzione (tanto che il governo del Laos ha dovuto chiedere alla Kings romans, non più di un mese fa, di smettere di assumere giovani ragazze locali per intrattenere gli ospiti), il traffico di clandestini, ogni tanto vengono sequestrate partite di droga da record. E poi uno strano, nuovo business, quello delle truffe online.

Nel marzo scorso 15 cittadini thailandesi sono riusciti a scappare dal Kings romans dove erano arrivati poche settimane prima con la promessa di un lavoro sicuro. Una volta arrivati al casinò erano stati messi in quarantena per 15 giorni e solo dopo avevano iniziato il loro nuovo impiego: si trattava di stare in una stanza con una cinquantina di persone, per sedici ore al giorno, davanti al computer a creare account falsi su Facebook e Instagram e convincere utenti sconosciuti a investire nelle azioni del Kings romans. Nel 2018 il Dipartimento del tesoro americano ha posto sanzioni contro il gangster Zhao Wei e il suo colosso dei casinò in Laos per riciclaggio di denaro e traffico internazionale di stupefacenti. Nonostante le sanzioni americane da allora le attività cinesi nel Triangolo d’oro si sono moltiplicate e attorno al Kings romans si continuano a costruire palazzi, hotel e resort. Il romanzo esotico del sud-est asiatico e del fiume Mekong non è ancora finito.