Si chiamava Priyantha Kumara Diyawadana. Aveva quarantanove anni ed era padre di due bambini. Cittadino dello Sri Lanka di religione buddista, si trovava a Sialkot, in Pakistan, da undici anni per lavorare come ingegnere civile. È stato massacrato da una folla che lo ha torturato, picchiato a morte e dato alla fiamme. E mentre la folla si accaniva sul suo corpo, ai margini del massacro altri sinistri individui facevano selfie con le fiamme sullo sfondo e li postavano su Twitter. La sua colpa? Aver staccato dai muri del suo posto di lavoro, che dovevano essere ridipinti, alcuni manifesti a contenuto religioso. Alcuni tra i lavoratori della fabbrica hanno gridato alla blasfemia e chiamato i miliziani del Tehrik-e-Labaik Pakistan, partito fondamentalista religioso tristemente noto sia in Pakistan che all’estero, che delle leggi sulla blasfemia ha fatto il suo cavallo di battaglia: bandito qualche tempo fa e di recente riammesso sulla scena politica dopo essersi accordato con il premier Imran Khan.
Il Tlp, tanto per capirci, è il partito che anni fa difese, facendo piovere petali di rosa a ogni sua uscita pubblica dalla galera al Tribunale, l’assassino dell’ex-governatore del Punjab Salman Taseer, ammazzato per aver parlato contro le leggi anti-blasfemia e per aver difeso Asia Bibi, condannata a morte senza colpe e liberata poi dieci anni dopo. È lo stesso partito che l’anno scorso chiedeva l’interruzione di ogni rapporto diplomatico con la Francia, l’espulsione dell’ambasciatore francese in Pakistan e l’interruzione dei rapporti commerciali con il paese «colpevole» di aver consentito la pubblicazione e la ri-pubblicazione delle famose vignette su Maometto apparse sul giornale satirico «Charlie Hebdo». I membri e l’allora presidente del partito Khadim Hussain Rizvi, morto qualche tempo dopo, chiedevano anche via social media la decapitazione di Macron e di tutti gli occidentali blasfemi. Mentre su YouTube e su Facebook imperversava, senza che nessuno ne richiedesse la censura, un video di Rizvi che diceva testualmente: «La Francia ci sta sfidando. C’è un motivo per cui il governo del Pakistan ha la bomba atomica. Che la usi, e dichiari la jihad… Il primo ministro e gli altri politici continuano a dire che l’Islam è una religione di pace, ma abbiamo il dovere di dire al mondo che l’Islam ammette la jihad contro coloro che si macchiano di blasfemia. Dichiaro la jihad contro gli infedeli». E non era l’unico: tanto che che nessuno si è sognato di arrestare Rizvi per incitamento all’odio religioso.
In settembre, a Lahore, è stato condannato a morte un cittadino di religione cristiana, sempre per blasfemia, mentre un altro, a Peshawar, è stato ucciso all’interno del tribunale che lo stava giudicando. Il Parlamento Europeo, in aprile, ha emanato una risoluzione che chiedeva la revisione dei rapporti commerciali con il Pakistan citando a motivo «l’uso allarmante delle accuse di blasfemia e l’incremento esponenziale degli attacchi contro giornalisti e attivisti». Per come la legge anti-blasfemia è formulata, difatti, chiunque può essere accusato da chiunque anche per gesti apparentemente insignificanti, come rimuovere dei manifesti da un muro. Non soltanto ormai da anni la blasfemia viene adoperata come mezzo per sistemare questioni territoriali con i vicini o liti di condominio, ma è diventata ormai lo strumento principale per silenziare attivisti, oppositori o giornalisti. Con il pieno consenso della maggioranza della popolazione, che pur dichiarandosi scioccata per episodi come quello di Priyantha, è pienamente convinta che la blasfemia dovrebbe essere punita e ha molto poco da obiettare contro le leggi in vigore.
Così, sempre secondo i dati del Parlamento Europeo, nell’ultimo anno si è registrato in Pakistan il più alto numero di accuse di blasfemia mai registrato: «la situazione si è sempre più deteriorata, visto che il governo ha sistematicamente provveduto a inasprire le leggi sulla blasfemia mancando contemporaneamente di proteggere le minoranze religiose dagli abusi, causando una crescita esponenziale nel numero di omicidi, accuse di blasfemia, conversioni forzate e incitazioni all’odio nei confronti di cristiani, hindu, sikh e altre confessioni musulmane come Shia e Ahmadi».