Dopo il no dei Grigioni ci prova Sion

La Svizzera potrà avere un’Olimpiade invernale senza spese faraoniche e strutture megalomani? È utile un cambiamento di mentalità anche tra i responsabili del CIO
/ 20.03.2017
di Ignazio Bonoli

Proprio mentre erano in pieno svolgimento i campionati del mondo di sci alpino a Sankt Moritz, il popolo grigionese rifiutava il credito cantonale per il finanziamento dei Giochi olimpici invernali nel 2026. Questo rifiuto, proprio nel momento di punta di un grande evento internazionale, risolleva i molti interrogativi, suscitati in particolare dopo la sconfitta subita da Sion, a favore di Torino, per l’organizzazione dei giochi olimpici invernali del 2006.

Tra i motivi che hanno indotto la maggioranza dei grigionesi (60,1 per cento) a respingere il credito iniziale per l’organizzazione dei giochi vi è certamente anche il rifiuto della città di Zurigo di partecipare all’operazione. È chiaro che senza la partecipazione, non solo delle finanze, ma anche delle strutture di un grosso centro economico, le difficoltà per l’organizzazione di un simile avvenimento aumentano.

Tanto più – verrebbe da dire – che le intenzioni degli organizzatori erano proprio quelle di evitare quanto avvenuto negli ultimi anni, e cioè la costruzione di grosse installazioni, non solo sportive, ma anche logistiche di vario genere. Eppure proprio il canton Grigioni ha maturato già parecchie esperienze in questo campo: basti ricordare le due sole olimpiadi invernali organizzate in Svizzera, nel 1928 e nel 1948, proprio a Sankt Moritz, accanto ai campionati mondiali in varie discipline, dallo sci al bob, già noti a livello mondiale.

Eppure il no dei cittadini è prevalso, benché (o forse perché) la partecipazione al voto sia stata solo del 51 per cento. Senza contare che – a questo livello – il credito di 25 milioni sarebbe costato al canton Grigioni solo 9 milioni di franchi; al resto avrebbero provveduto la Confederazione e l’organizzazione mantello Swissolimpic. 

Molti commentatori si sono affrettati a dire che questo voto cancella per parecchi decenni la possibilità di avere le Olimpiadi in Svizzera. Però subito smentiti dal rilancio della candidatura di Sion, estesa anche al canton Vaud e al canton Berna. Il progetto vallesano ricalca in molte parti quello grigionese, ma sottostà alle stesse difficoltà ed esigenze. Bisognerà quindi vedere se le opinioni vallesane e vodesi, ma anche bernesi, saranno più disponibili di quelle reto-zurighesi nei confronti di un grande evento internazionale come le Olimpiadi.

Le ricadute di un evento di questo tipo, nell’immediato, sono sicuramente positive: parecchi lavori di infrastruttura, impulso al turismo, con tutti i loro derivati. Non mancano però i lati negativi, che si manifestano già durante i giochi, ma soprattutto dopo. Il rischio maggiore è certamente quello di lasciare sul posto delle «cattedrali nel deserto», come è successo a Sochi, ma può succedere anche in zone già sviluppate, come ad esempio proprio a Torino.

Qui il villaggio olimpico costò 145 milioni di euro. Gestito poi da una Fondazione, venne spezzettato e venduto a privati, banche, fondazioni che se occupano poco o niente («Corriere della Sera», 21.12.2014). Nell’Alta Val di Susa, la pista di bob (140 milioni di euro) è stata abbandonata, poi frequentata dai ladri del rame dei cavi elettrici e infine chiusa nel 2010. I trampolini del salto e l’albergo appositamente costruito sono abbandonati, ma anche la riqualificazione turistica di altri impianti costa cifre enormi. Torino è costata 3,5 miliardi di euro (1,4 miliardi al governo, 600 milioni a Comune e Regione, il resto a sponsor/ marketing e diritti televisivi). Le società che gestiscono l’evento non si occuparono del «dopo» e furono liquidate nel 2016.

I progetti svizzeri, sperando anche in un cambio di mentalità del CIO, vogliono evitare questi errori e proporre un progetto più compatibile con l’ambiente e utilizzabile anche dopo l’evento. I grigionesi non ci hanno creduto troppo e hanno temuto il solito gigantismo, in un ambiente già saturo di turismo e dal precario equilibrio ambientale. Sion vuole percorrere la stessa strada, con molte analogie con il progetto grigionese. Per esempio coinvolgendo altre regioni, ma anche cercando il sostegno – non solo finanziario – di una città come Berna, il che significa coinvolgere la Svizzera, come tale.

L’intento di distanziarsi da progetti megalomani, da grandi infrastrutture, da spettacoli (di apertura e chiusura) più teatrali che sportivi fa correre anche qualche rischio. Quello di non sentirsi all’altezza di eventi analoghi precedenti e di lasciare di sé un’immagine dimessa. Ma è un rischio da correre se si vuole finalmente dare una svolta alla tendenza che permetterebbe di affidare le Olimpiadi soltanto ai grandi paesi, disposti a spendere miliardi. Se anche il Comitato Internazionale Olimpico seguirà questa strada, si sarà forse fatto un passo importante in una nuova direzione.