È improrogabile la nuova riforma del primo pilastro del sistema pensionistico svizzero, definita AVS 21, in votazione il 25 settembre prossimo. Per garantire la stabilità finanziaria dell’AVS in pericolo, ai cittadini sono sottoposti due oggetti legati tra di loro: il finanziamento supplementare dell’AVS, mediante l’aumento dal 7,7 all’8,1 per cento dell’imposta sul valore aggiunto (IVA), che comporta una revisione costituzionale obbligatoriamente sottoposta all’approvazione di Popolo e Cantoni, e la modifica della legge che prevede l’aumento graduale dell’età di pensionamento delle donne da 64 a 65 anni, modifica contro la quale è stato lanciato il referendum. La riforma dell’AVS entrerà in vigore solo se entrambi i temi saranno approvati.
Negli ultimi 25 anni tutti i tentativi di riformare la legge federale sull’assicurazione vecchiaia e superstiti (AVS) sono falliti, in particolare a causa dell’aumento dell’età ordinaria di pensionamento delle donne. Ora si è giunti all’«ultima spiaggia». Stavolta il popolo sembra rendersene conto: stando al primo sondaggio, il 64% delle 12 mila persone interrogate a inizio agosto avrebbe approvato la riforma AVS 21, che prevede appunto l’aumento a 65 anni dell’età pensionabile delle donne, ciò che gli svizzeri hanno sempre rifiutato. I contrari sarebbero il 33%. Approvato nettamente anche l’aumento di 0,4 punti dell’IVA. Altri sondaggi prevedono un esito più incerto.
In Svizzera sono 2,6 milioni i pensionati che ricevono una rendita AVS. Per la maggior parte di loro costituisce una parte importante del reddito. Tuttavia, a causa dell’invecchiamento della popolazione e del raggiungimento dell’età di pensionamento delle persone nate tra il 1955 e il 1970, ossia durante il baby boom, i contributi delle persone attive non basteranno più per pagare le rendite dei beneficiari. Se non si fa nulla, nel 2030 le uscite supereranno le entrate e l’AVS avrà bisogno di 18,5 miliardi di franchi per garantire le prestazioni, secondo il ministro degli affari sociali Alain Berset. Per il Consiglio federale la stabilizzazione delle finanze dell’AVS è dunque urgente. Visto che da un quarto di secolo non si è praticamente più fatto nulla, per Berset «più si aspetta e maggiore sarà il prezzo che le generazioni future dovranno pagare per ristabilire l’equilibrio finanziario dell’AVS e garantirne le rendite».
Ma vediamo i contenuti della riforma. L’aumento dell’età di pensionamento delle donne, definita «età di riferimento», è il provvedimento faro del progetto. Se la riforma entrerà in vigore nel 2024, il primo gennaio successivo l’età di riferimento sarà aumentata una prima volta di 3 mesi: le donne interessate saranno quelle nate nel 1961. Per le donne nate nel 1962 l’età di riferimento sarà di 64 anni e 6 mesi; per quelle del 1963 sarà di 64 anni e 9 mesi e per quelle nate a partire dal 1964 sarà di 65 anni. Dall’inizio del 2028, l’età di riferimento sarà quindi di 65 anni per tutti.
Secondo i calcoli dell’Ufficio federale delle assicurazioni sociali (UFAS), nei prossimi dieci anni l’innalzamento dell’età di pensionamento delle donne ridurrà le uscite dell’AVS di circa 9 miliardi di franchi. Da questo importo va però dedotto il costo (circa 2,8 miliardi) delle misure di compensazione. Di che si tratta? Per le donne che andranno in pensione una volta che la riforma sarà entrata in vigore, il fatto di dover lavorare fino a 65 anni, al posto dei 64 attuali, può incidere sulla pianificazione del loro pensionamento. Per attenuarne gli effetti, è previsto un periodo di transizione per nove classi d’età (per le donne nate tra il 1961 e il 1969), con due tipi di misure di compensazione: da un canto, condizioni migliori in caso di riscossione anticipata della rendita, dall’altro, se si rinuncia alla riscossione anticipata, un supplemento di rendita tra 12,50 e 160 franchi al mese (in funzione del reddito), per tutto il periodo di versamento della stessa.
A questi costi occorre aggiungere l’onere degli altri adeguamenti delle prestazioni, come il pensionamento flessibile (1,3 miliardi). Il risparmio – sempre secondo l’UFAS – si riduce alla fine a circa 5 miliardi. Il progetto prevede anche la possibilità di optare per un pensionamento flessibile tra 63 e 70 anni o di continuare a lavorare a tempo ridotto e di percepire una rendita parziale. Questo sistema – ha precisato Alain Berset – consentirà di colmare lacune nelle quote.
Questi risparmi non basteranno però per stabilizzare la situazione finanziaria dell’AVS e garantire le rendite. Per questo motivo l’AVS 21 prevede anche di incrementare le entrate, attraverso un aumento dell’IVA, ciò che fino al 2032 procurerà maggiori entrate stimate a 12,4 miliardi di franchi. L’aliquota normale dell’IVA salirà dall’attuale 7,7% all’8,1%. L’aliquota ridotta applicata a certi beni (alimenti, medicamenti, giornali e libri) salirà dal 2,5% al 2,6%, mentre l’aliquota speciale per il settore alberghiero salirà dal 3,7% all’3,8%. Questi aumenti sono sopportabili: per un acquisto di 100 franchi si dovranno sborsare 40 centesimi in più e per 100 franchi di generi alimentari al massimo 10 centesimi in più.
Con il risparmio di circa 5 miliardi generato dall’innalzamento dell’età di pensionamento delle donne e con l’entrata supplementare dei citati 12,4 miliardi, entro il 2032 l’AVS disporrà complessivamente di quasi 17,4 miliardi, a fronte di un fabbisogno finanziario di 18,5 miliardi. Secondo i calcoli dell’UFAS, resterà un disavanzo finanziario di circa 1,2 miliardi. Questo problema – secondo il Parlamento – dovrà essere risolto nell’ambito di una prossima riforma dell’AVS, entro il 2026. In cantiere ci sono poi ancora due iniziative popolari: una dei sindacati, che chiede la tredicesima mensilità AVS, e una dei giovani radicali per un aumento progressivo del pensionamento a 66 anni per tutti. Di AVS si parlerà dunque ancora.
La legge federale sull’assicurazione vecchiaia e superstiti (AVS) entrò in vigore nel 1948. Ha già registrato dieci revisioni. Allora il pensionamento era fissato per tutti a 65 anni e la rendita per coppie era concessa quando il marito aveva 65 anni e la moglie 60. Nel 1957 l’età di pensionamento delle donne scese da 65 a 63 anni e, nel 1964, a 62 anni. È quindi stata progressivamente rialzata a 63 anni nel 2002 e a 64 nel 2005, nell’ambito della decima revisione dell’AVS. Questi aumenti furono aspramente combattuti dai sindacati con tre iniziative popolari, tutte respinte. Un quarto tentativo dell’Unione sindacale svizzera per un pensionamento flessibile dai 62 anni è pure stato affossato dai cittadini nel 2008, con una maggioranza del 58%.
Occorre ancora citare i due tentativi falliti dell’11.ma revisione dell’AVS: il primo, silurato dal popolo nel 2004, prevedeva l’aumento dell’età di pensionamento delle donne da 63 a 65 anni; il secondo, bocciato dal Nazionale nel 2010, prevedeva il pensionamento a 65 anni per uomini e donne. Una revisione congiunta di AVS e previdenza professionale è poi stata respinta nel 2017 perché troppo complessa. A mettere i bastoni nelle ruote è ancora una volta stato l’aumento dell’età di pensionamento delle donne. Bocciato anche l’aumento dell’IVA, pure previsto in questo progetto, ma con uno scarto di soli 2357 voti, il risultato più risicato di tutte le votazioni federali.
In ogni caso, l’ultima grande riforma dell’AVS risale al 1997. Permise l’introduzione della rendita individuale e il riconoscimento dei compiti educativi e assistenziali. Venne anche riconosciuta la rendita di vedovanza. Da allora, a parte il citato aumento a tappe da 63 a 64 anni dell’età di pensionamento delle donne, non si è fatto più nulla. Nel 2019 è stato accolto soltanto il pacchetto relativo alla riforma fiscale e al finanziamento dell’AVS (RFFA), che ha aumentato i contributi AVS prelevati sui salari e il versamento della Confederazione a favore dell’AVS. Ciò ha portato a una timida boccata d’ossigeno: 2 miliardi di franchi in più all’anno, a partire dal 2020. Un importo insufficiente per stabilizzare le finanze a lungo termine.
Il fatto che si debba finalmente correre ai ripari è più che mai innegabile, nonostante le proteste della sinistra e dei sindacati. Per loro questa riforma viene realizzata soltanto sulle spalle delle donne. Hanno così lanciato il referendum e raccolto 150’000 firme in men che non si dica. Per i fautori del referendum, le donne ricevono pensioni inferiori di un terzo a quelle degli uomini. La riforma AVS 21 comporta per loro una perdita di un anno di rendita, pari a circa 26’000 franchi. Essi denunciano che «si tratta di uno scandalo se si pensa che una donna su quattro percepisce solo l’AVS e una su nove, per poter vivere, deve chiedere le prestazioni complementari».
Questa riforma è l’unico modo per garantire le rendite di domani, sostengono invece i fautori. I partiti borghesi, che nel 2017 avevano respinto congiuntamente il finanziamento aggiuntivo dell’AVS per mezzo dell’IVA e la legge federale sulla riforma delle pensioni, sono ora favorevoli alla nuova versione. Se il progetto fosse respinto, si dovrebbero aumentare le imposte per garantire il finanziamento dell’AVS oppure ridurre il livello delle prestazioni. In entrambi i casi – affermano i sostenitori della riforma – significherebbe ridurre i mezzi a disposizione della popolazione.
Secondo loro, la riforma in votazione mantiene il livello delle rendite, aumentandole in certi casi. Alla fine del mese i pensionati otterranno una somma superiore rispetto a oggi. Le donne dai redditi più bassi ne approfitterebbero e potrebbero percepire un totale di 47’000 franchi. «Senza questa riforma, esse non riceverebbero un franco in più», ricordano le organizzazioni economiche che, con governo e maggioranza parlamentare, ritengono giustificato l’allineamento dell’età pensionabile delle donne a quella degli uomini. Per l’Unione svizzera dei datori di lavoro «l’uguaglianza dei diritti tra donne e uomini giustifica da tempo l’armonizzazione dell’età di pensionamento».
Alla sinistra è indigesto anche il previsto aumento dell’IVA perché aggraverà gli oneri della popolazione, nel momento in cui il potere d’acquisto degli svizzeri diminuirà a causa dell’inflazione, ha ammonito il presidente dell’USS Pierre-Yves Maillard. La riforma non rispecchia la realtà del mercato del lavoro: la metà degli uomini e delle donne non eserciterebbe più un’attività lucrativa un anno prima del pensionamento, dato che le imprese non ne offrono loro l’opportunità. All’orizzonte si intravvede poi il pensionamento a 67 anni per tutti. Un sì alla riforma spianerebbe la strada a un «nuovo smantellamento».
Gli argomenti di fautori sembrano prevalere su quelli dei contrari. L’urgenza indiscussa di stabilizzare le finanze dell’AVS potrebbe convincere la maggioranza, visto che l’aumento dell’età di pensionamento non sarebbe più un ostacolo. Inoltre, diversamente dalla votazione del 2017, ora i socialisti e il loro consigliere federale Alain Berset si trovano su fronti opposti. Le carte risultano dunque rimescolate.