Donne brutalizzate e spose bambine

L’assassinio di Frozan Safinel regno dei talebani e altre terribili tragedie
/ 15.11.2021
di Luisa Betti Dakli

Aveva 29 anni ed è – secondo «The Guardian» – la prima attivista per i diritti delle donne uccisa sotto il nuovo regime talebano in Afghanistan. Si chiamava Frozan Safi, era docente di economia e voleva lasciare il Paese a tutti i costi, ma è rimasta vittima di un’imboscata. «L’abbiamo riconosciuta dai suoi vestiti, i proiettili le avevano distrutto la faccia», ha detto la sorella dopo aver identificato il corpo in un obitorio nella città di Mazar-i-Sharif. «C’erano ferite da arma da fuoco dappertutto, troppe da contare. Sulla testa, sul cuore, sul petto, sui reni e sulle gambe». Insieme a lei, scomparsa da casa il 20 ottobre, sono state trovate altre 3 donne morte, rese irriconoscibili e ancora non identificate. Frozan Safi, prima di sparire, aveva ricevuto una telefonata da un numero anonimo. «Raccogli i documenti e preparati a partire», le avevano detto, e lei ci aveva creduto, dato che aveva fatto richiesta di asilo politico in Germania. Così è andata all’appuntamento. Una chiamata che ha raggiunto diverse attiviste che speravano di imbarcarsi su un volo umanitario e che invece sono sparite nel nulla.

«Frozan Safi era conosciuta in città», racconta sotto anonimato la dipendente di un’organizzazione internazionale a Kabul, e «tre settimane fa anch’io ho ricevuto una serie di strane telefonate in cui un uomo diceva di essere stato incaricato di occuparsi del mio espatrio. Però mi sono insospettita e ho bloccato il numero». Per il padre di Frozan, Abdul Rahman Safi: «Tutti sappiamo chi è stato a uccidere mia figlia ma nessuno può dirlo pubblicamente, altrimenti fa la stessa fine». Mentre per Zahra, un’altra attivista afghana che ha marciato con Frozan durante l’ultima protesta a Mazar-i-Sharif contro i talebani, la paura è troppo forte: «Il mio profilo Whatsapp è stato hackerato e ora non oso più andare sui social».

Le donne che hanno manifestato per i loro diritti sono terrorizzate perché sanno di correre un grosso pericolo. «Da settimane i talebani ci danno la caccia», dice una di loro. «La polizia è arrivata in posti che avevamo nominato solo nelle chat riservate e abbiamo capito che alcune donne si sono infiltrate presentandosi come giornaliste, mentre invece raccoglievano informazioni». «Sapevamo che stavano rintracciando le donne dopo le proteste per intimidirle», ha confermato Heather Barr, co-direttore della Women’s rights division di Human rights watch. Talebani che hanno picchiato le donne con manganelli elettrici durante le manifestazioni e torturato i giornalisti che seguivano le proteste.

Ma il nuovo regime talebano ha un disegno molto più ampio. Oltre a bandire le ragazze dalla scuola, dallo sport e le donne dal lavoro, sta vietando alla maggior parte delle operatrici umanitarie di lavorare nel Paese, accelerando un disastro già in atto. In Afghanistan oggi più di 9 famiglie su 10 non hanno abbastanza cibo e un terzo soffre la fame in quanto la maggior parte degli aiuti esteri sono stati sospesi. «I talebani dovrebbero consentire a tutti gli operatori umanitari, donne e uomini, di svolgere il proprio lavoro o metteranno a rischio ancora più persone», ha detto Barr. Ma solo in tre delle 34 province le autorità hanno autorizzato le collaboratrici umanitarie a svolgere il proprio lavoro, mentre in 16 è stato loro vietato di lasciare l’ufficio senza un accompagnatore maschile.

Tante operatrici non possono dunque più svolgere alcune delle attività necessarie come la distribuzione di cibo, acqua e servizi igienico-sanitari ma soprattutto non possono operare nel contesto della protezione delle donne dalla violenza. Attualmente fare qualcosa in questo ambito è praticamente impossibile, ha affermato Barr, anche perché le donne sono inavvicinabili e i talebani, da quando hanno riconquistato l’Afghanistan, stanno sistematicamente chiudendo i centri anti-violenza considerati dei bordelli. E la miseria dilagante rende l’incubo una realtà: le famiglie vendono per poco denaro le figlie più giovani, come è successo a Parwana Malik, una bambina di 9 anni, che è stata comprata da un uomo di 55 nella provincia di Bad-ghis (vicenda raccontata dalla «Bbc» all’inizio di novembre). Sposa bambina. Matrimoni forzati che con il regime talebano stanno diventando una prassi dato che se un militante ti vuole, tu non ti puoi opporre.