«Un passaporto britannico è un biglietto vincente alla lotteria della vita». La citazione viene da Cecil Rhodes, controversa icona del colonialismo imperiale, ma di questi tempi neppure la vecchia regola vale più: l’ambìto documento di viaggio, che presto tornerà ad essere blu per la gioia delle anziane signore del Regno, comincia a stare stretto a molti. A tutti quelli che da mesi fanno la fila al consolato irlandese per tornare al passaporto dei loro nonni e a chi come Kate Connolly, corrispondente del «Guardian» a Berlino, ha deciso di guardare al futuro. Di diventare tedesca, di restare europea e di spiegare le sue ragioni e quelle, assai oscure, del suo paese d’origine ai suoi nuovi connazionali teutonici – ne ha sposato uno, d’altronde, e ci ha pure fatto due figli – in un libro, «Brexit: come sono diventata tedesca», pubblicato da Hanser.
Un testo che ha qualcosa di confidenziale: è in tedesco, parla ai tedeschi e non intende perdere tempo sulle questioni di lana caprina dietro cui gli inglesi si sono nascosti per giustificare una perdita di prospettiva vertiginosa. La Connolly ha quel senso dell’umorismo che racchiude l’anima del suo paese come una tazza di tè. La Brexit l’ha presa alla sprovvista. Non se l’aspettava mica che tutte le famiglie del Paese fossero spaccate come la sua, come se si fosse tutti in una grande stanza degli specchi in cui un dubbio o un radicato scetticismo si sommano fino a comporre un 52% e una svolta storica irreversibile.
«La vita deve essere stata troppo facile e divertente per la gente middle class di una certa età, sono andati a cercare un po’ di emozioni, hanno voluto giocare alla guerra senza tutti gli inconvenienti», spiega. Nel suo libro ha raccontato quel sentimento che con l’Europa non ha nulla a che vedere – nella stessa parola «Brexit» l’Ue non c’è, è un neologismo che parla solo di un Paese che sbatte la porta come un adolescente arrabbiato – rispondendo alle richieste di un pubblico tedesco che si interroga, che vuole capire.
E che fino all’altroieri, come osservava Wolfgang Münchau qualche giorno fa, si è raccontato la favoletta dell’errore di valutazione a cui i britannici non vedevano l’ora di porre rimedio. Salvo poi riconoscere, con sgomento e tristezza, che sì, questa cosa brutta e insensata sta davvero succedendo: Auf Wiedersehen! «Neanche nelle famiglie dove si cerca di convincersi a vicenda la gente cambia idea! Hai mai visto un inglese rimandare indietro un piatto al ristorante dopo aver scoperto che è cattivo? No, noi ce lo mangiamo e magari troviamo pure un modo per elogiarlo», spiega Connelly. «Oggi chi fa il passaporto britannico lo fa per convenienza, per pragmatismo, mentre per me e per le altre migliaia di persone che sono diventate tedesche è una questione di non rinunciare a una parte della propria identità».
E agli amici di Berlino che le chiedono se qualora la Brexit non si facesse più lei restituirebbe il passaporto, Kate spiega che no, che lei non se ne va, non esce, anche in questo ciò che è fatto è fatto, da brava inglese. «Voi sottovalutate quanto questa frase sia importante per la nostra psiche nazionale, tanto che io conosco molte persone che erano contro la Brexit e che ora ritengono sia giusto che avvenga». Le nonne sono importanti in questa Brexit, perché loro hanno sofferto durante la guerra e il valore della pace lo conoscevano.
Kate aveva 18 anni alla caduta del muro di Berlino e l’Europa le sembrava in grado di «raddrizzare i torti della storia». Erano gli anni della CEE in cui l’idea che «fino a quando i paesi hanno scambi commerciali non si fanno la guerra» aveva preso piede nel Regno Unito, mentre i cuori tedeschi palpitavano romanticamente per la pace e la fine di un incubo. E cosa si è rotto, che cosa è cambiato? «Che i britannici sono in fuga, litigano da soli, hanno nostalgia dell’impero come si è detto spesso», spiega Kate. Mentre a Londra sono state già organizzate cene e incontri mondani per il mese di aprile, tutto il resto è avvolto nell’incertezza: nel Paese del «save the date», c’è solo una scritta sull’agendina, Brexit, il 29 marzo alle 11 di sera, come fosse un appuntamento al buio con il destino.
Secondo un giornalista politico navigato come Matt Chorley, autore della rubrica Red Box sul «Times», la premier Theresa May sta cercando di perdere tempo per compattare il Parlamento nella fretta dell’ultimo minuto, ma farà di tutto per evitare il no deal: non vuole passare alla storia come colei che ha fatto un danno al Paese addirittura più grande di David Cameron. Sicuramente però alla premier resterà per sempre legata una frase, a cui quella grande parrocchia cosmopolita che è Londra ha reagito molto male: «Se pensate di essere cittadini del mondo, non siete cittadini di nessun luogo». Svenevolezze liberal a parte, davvero vogliamo mettere insieme banchieri e camerieri? A volte scegliere un’altra patria è una necessità se vuoi sentirti radicato. E che l’odore di casa sia quello dell’aceto sulle patatine fritte o quello di un bratwurst sfrigolante non si sa. Te li porterai comunque dietro, saranno sempre con te.