Diritto di aborto a rischio

La Corte suprema degli Stati Uniti potrebbe ribaltare la sentenza «Roe v. Wade»
/ 16.05.2022
di Luisa Betti Dakli

Nel 2012 negli Usa l’ultraconservatore Rick Santorum, tra le nomination repubblicane per le presidenziali, in campagna elettorale affermava: «Le donne violentate non devono abortire perché il bambino che arriva è un dono di dio». Oggi quello che sembrava impossibile si sta avverando. La Corte suprema potrebbe pronunciarsi contro la storica sentenza «Roe v. Wade» – che dal 1973 garantisce il diritto all’aborto negli Stati Uniti (diritto confermato dalla sentenza del 1992 nel caso «Planned parenthood v. Casey» in cui si sottolinea che gli Stati non possono applicare limitazioni all’aborto) – partendo dal parere espresso sulla proposta di legge del Mississippi che limita a 15 settimane il diritto a interrompere la gravidanza, anche in caso di stupro o incesto.

Gli orientamenti della massima istanza giuridica statunitense sono stati rivelati da «Politico.com» che è venuto in possesso della prima bozza presentata dal giudice Samuel A. Alito Jr. il 10 febbraio, secondo cui la «Roe v. Wade» non è solo «estremamente sbagliata» ma dovrebbe essere ribaltata (spetterebbe cioè ai cittadini e ai loro rappresentanti, i legislatori a livello statale, decidere sull’aborto). Dei 9 giudici presenti alla discussione, i conservatori Alito, Clarence Thomas, Brett M. Kavanaugh, Neil M. Gorsuch e Amy Coney Barrett – ovvero la maggioranza – si sono dichiarati pronti a spazzare via il diritto all’autodeterminazione delle donne negli Usa in una decisione che arriverà non prima di giugno. Quei giudici hanno preso di mira anche la «Planned parenthood v. Casey», secondo cui le persone hanno la libertà di fare «scelte intime e personali», contestando così anche i matrimoni gay e gli atti sessuali privati tra persone dello stesso sesso. Subito dopo la diffusione delle indiscrezioni da parte del «Politico», proteste si sono tenute nelle strade di New York, Boston, Nashville, Dallas, New Orleans, e i leader democratici al Senato, Charles E. Schumer e la presidente Nancy Pelosi, hanno dichiarato: «La Corte suprema è pronta a infliggere la più grande restrizione dei diritti negli ultimi 50 anni, non solo alle donne ma a tutti gli americani». Dal canto suo Joe Biden ha invitato a difendere il diritto all’aborto parlando dell’azione della Corte come di una più ampia minaccia per i diritti, dalla contraccezione al matrimonio, in quanto «ogni altra decisione relativa alla nozione di privacy viene messa in discussione». Il presidente americano tenta così di cavalcare l’onda, chiedendo agli elettori di decidere sulla questione, naturalmente scegliendo candidati pro-choice (favorevoli all’autodeterminazione) nelle elezioni di medio termine di novembre. Elezioni che si prospettano difficili per Biden che, secondo i sondaggi, ha perso molti consensi per la sua incapacità ad affrontare inflazione e criminalità nonché per le sue posizioni sul conflitto in Ucraina.

La decisione della Corte potrebbe rilanciare la campagna democratica in vista del voto di Midterm? Assolutamente sì. Il cattolico Biden, che da quando è presidente non ha mai pronunciato la parola «aborto» finora, sa che i democratici adesso non hanno i numeri al Congresso per approvare alcunché riguardo all’interruzione di gravidanza, per cui se la nazione vuole che la «Roe v. Wade» sia codificata ci vogliono «più senatori pro-choice e una maggioranza alla Camera». Ma quanto è credibile un presidente cattolico osservante che ha più volte affermato di essere personalmente contrario all’aborto e che nel 1982 ha votato un emendamento costituzionale che consentiva ai singoli stati di ribaltare proprio la sentenza in questione? In realtà lo scoglio più grande per varare una legge che sancisca questo diritto è la modifica della regola della maggioranza assoluta in Senato, dove qualsiasi nuovo statuto richiede 60 voti, mentre i 100 membri sono equamente divisi tra repubblicani e democratici. Proprio settimana scorsa una battaglia è stata vinta dai conservatori: il Senato ha bloccato il «Women’s Health Protection Act», provvedimento che voleva trasformare in legge federale la «Roe v. Wade». La misura proposta dai democratici è stata affossata con 51 voti contrari e 49 favorevoli.

Se la «Roe v. Wade» venisse a cadere, ogni Stato potrebbe legiferare in maniera indipendente, quindi le norme che restringono (o vietano) il diritto all’interruzione di gravidanza sarebbero confermate in una ventina di Stati americani. Tra questi il Texas, dove chi aiuta una donna ad abortire può essere perseguito, o l’Oklahoma, che ha approvato un divieto totale, ma anche il Kentucky, il Mississippi, l’Ohio e l’Alabama, dove l’aborto è vietato anche in caso di stupro o incesto con pene fino a 99 anni per i medici. In Georgia il divieto è sulla base dell’heartbeat, il battito cardiaco dell’embrione che si potrebbe percepire nelle prime 6 settimane, quando la donna non sa neanche di essere incinta, una norma che era stata bocciata in Ohio nel 2011 dagli stessi conservatori che la trovavano estrema e che oggi è un modello legislativo per una quindicina di Stati. Restrizioni dell’aborto approvate pur sapendo che la «Roe v. Wade» avrebbe potuto bloccarle. Ma Donald Trump è riuscito, durante il suo mandato, a portare i giudici conservatori alla maggioranza nella Corte suprema (oggi 6 su 9), nominando Amy Coney Barrett, Neil Gorsuch e Brett Kavanaugh. E adesso non c’è più nulla di sicuro.