Diga distrutta in Ucraina: le conseguenze

Il disastro ridisegna la linea del fronte e riallinea gli obiettivi dei due contendenti. Grave danno soprattutto per la Crimea
/ 12.06.2023
di Lucio Caracciolo

Non sapremo forse mai con certezza chi e come abbia distrutto la diga di Nova Kakhovka, in Ucraina meridionale, lungo il corso del fiume Dnepr che provenendo dalla Russia conduce al Mar Nero. Quel che è certo è che si tratta di una svolta che cambia considerevolmente la situazione al fronte bellico, in un’area di grande rilievo strategico. La diga infatti produceva una riserva di acqua importantissima per la Crimea occupata dai russi e per la centrale nucleare di Zaporidjia, la più grande d’Europa, di cui garantiva il raffreddamento. Sotto il profilo tattico e sotto il profilo strategico questo disastro ridisegna la linea del fronte e riallinea gli obiettivi dei due contendenti.

Sul piano tattico, il vantaggio russo consiste nell’aver accorciato e ristretto lo spazio da difendere contro l’offensiva ucraina, che in questa zona si preannunciava specialmente insidiosa. L’allagamento dell’area consente ai russi di risparmiarsi lo schieramento di truppe a sua difesa e di riconcentrarle altrove. In prospettiva, allagamento e inquinamento di terre specialmente fertili compromettono le coltivazioni agricole, in particolare di cereali, su cui Kiev conta da sempre per tenere in piedi i suoi commerci e la sua economia. Bilancio negativo che aggrava la già pesantissima crisi economica e colpisce le prospettive di ripresa strutturale una volta finita la guerra.

Allo stesso tempo, il fatto che la terra lungo la riva sinistra del Dnepr sia a un livello più basso rispetto alla riva destra sfavorisce i russi, che vedono la loro zona più profondamente sommersa dall’acqua. Ma questo è nulla rispetto al danno per la Crimea, che sotto il profilo idrico dipende largamente dai flussi provenienti dalle acque regolate dalla diga. Il rifornimento idrico della strategica penisola e della base navale di Sebastopoli, dove attracca la Flotta del Mar Nero, è compromesso sia in qualità che in quantità. Oggi in Crimea arriva acqua inquinata dagli sversamenti di oli industriali, in volumi già visibilmente ridotti.

Questo è un problema di ardua gestione per Mosca. E dagli effetti potenzialmente devastanti. Se la Crimea diventa uno spazio depresso, tutto il senso delle operazioni compiute dai russi dal 2014 decade. L’annessione della penisola, così simbolica per i russi, è stata la risposta immediata e abile alla sconfitta subita a Kiev, culminata nella fuga ingloriosa del presidente Yanukovich, considerato uomo del Cremlino. Tutta l’operazione speciale, poi, avviata il 24 febbraio 2022, si è concentrata dopo il fallito controgolpe a Kiev sul consolidamento e sull’allargamento del corridoio terrestre dedicato a connettere la Crimea e Sebastopoli alla Federazione Russa. Se il conflitto dovesse produrre per Mosca il mero recupero di buona parte del Donbass a fronte della perdita della Crimea o alla sua forte svalutazione, il disastro sarebbe colossale. Difficile pensare che a quel punto Putin non si dovrebbe dimettere o che qualcuno non gli segnali l’opportunità di mettersi da parte. Tale situazione rende anche più esplicito l’obiettivo che Kiev può proporsi di raggiungere in questa fase bellica e sventolare come vittoria: la perdita di valore della Crimea, fino al punto di immaginare possibile un ritiro dei moscoviti da un territorio ingestibile.

La controffensiva di cui molto si parla non è infatti una sorta di sbarco in Normandia in miniatura. I rapporti di forza sul terreno, in termini numerici, rendono impossibile un’operazione di sfondamento su larga scala del fronte russo. Inoltre i soldati di Putin hanno avuto tempo e modo di fortificare quasi tutta la linea di contatto, ad eccezione dell’area intorno a Bakhmut. Sicché l’azione ucraina sarà probabilmente più fantasiosa ed eterodossa. Come cento punture di spilli. Alcune lievi, appena percettibili; altre di modesto effetto militare ma notevole impatto psicologico, come la penetrazione di commandos in terra russa, già vista a Belgorod; il tutto rafforzato dal dominio dello spazio comunicativo, almeno per quel che riguarda l’Occidente.

Da un punto di vista tecnico, insomma, la guerra potrebbe considerarsi finita, perché difficilmente i due contendenti potranno compiere massicce operazioni strategiche. Ma di fatto non finisce perché il compromesso oggi sarebbe indifendibile presso le rispettive opinioni pubbliche. E in ultima analisi è proprio la tenuta o il collasso del consenso domestico che di norma decide le guerre di attrito. Questa non è l’anticamera della pace e nemmeno della tregua. Sarà forse la fine dell’inizio. Comunque finisca, l’Ucraina sarà ai piedi di Cristo e la Russia avrà perduto influenza e rango nel mondo. A dimostrazione di quanto insensata fosse l’aggressione di Putin.