Dietro l’incidente alla centrale di Natanz

Sale la tensione con Israele dopo quello che Teheran definisce un attacco. Conseguenze sui negoziati sul nucleare
/ 19.04.2021
di Daniele Raineri

In teoria il programma atomico dell’Iran è una delle imprese scientifiche (e militari) meglio protette del mondo. Il regime iraniano sa alla perfezione che l’intelligence di Israele dedica molto tempo e una quantità enorme di risorse allo scopo di bloccare l’arricchimento dell’uranio iraniano: è il passo preliminare che porta verso la bomba atomica e quindi allo sconvolgimento per sempre di tutti gli equilibri in Medio oriente. Per questo nei negoziati gli iraniani cambiano spesso la percentuale di arricchimento dell’uranio, come se fosse un segnale: se sono soddisfatti la tengono bassa – attorno al 5 per cento – e se sono arrabbiati la alzano per lanciare un messaggio alla comunità internazionale.

Quando il presidente americano Donald Trump si è ritirato dall’accordo nucleare che Obama aveva accettato nel 2015, gli iraniani hanno alzato la percentuale al 20 per cento per comunicare al mondo che erano furiosi. Per fare una bomba atomica serve uranio arricchito al 90 per cento. Settimana scorsa gli iraniani hanno annunciato che da ora in poi arricchiranno l’uranio al 60 per cento. Non era mai successo prima, vuol dire che sono lividi.

A dispetto delle misure di sicurezza molto strette e del clima di paranoia, a luglio una bomba è esplosa dentro il sito di Natanz, il più grande dedicato all’arricchimento, e alla fine di novembre un gruppo di sicari ha ucciso per strada il generale Mohsen Fakhrizadeh, che era il capo del programma atomico militare del Paese. A ottobre gli iraniani hanno cominciato a espandere la parte sotterranea della base di Natanz e hanno spostato lì la maggior parte delle migliaia di centrifughe che lavorano senza sosta con l’uranio, perché si sentivano più sicuri. Domenica 11 aprile però, alle 4 del mattino, una bomba è esplosa a 50 metri di profondità dentro i sotterranei di Natanz, ha distrutto il generatore principale che fornisce energia al sito e anche quello ausiliario. Lo riporta il «New York Times» che ha sentito fonti di intelligence. Il Governo iraniano come fa in questi casi ha minimizzato, ma immaginiamoci il contesto. È una base dove lavorano migliaia di tecnici. Buio all’esterno e all’interno, in una rete di sotterranei in cemento armato, in compagnia di migliaia di centrifughe danneggiate che lavorano con un elemento radioattivo. Panico dov’esserci stato, ma per ora non ne sappiamo molto.

Il portavoce dell’Agenzia atomica iraniana è caduto dentro un condotto dell’aria profondo 7 metri perché lo sfiato era coperto dai detriti dell’esplosione, si è rotto le gambe ed è finito a parlare ai telegiornali da un letto di ospedale e questo rafforza l’idea che ci sia stato molto caos. Da fuori i satelliti non riescono a fotografare danni evidenti, ma si parla di migliaia di centrifughe distrutte giù, sotto lo strato di cemento armato posato per difendere la base da eventuali attacchi aerei. Sempre secondo il «New York Times», l’arricchimento dell’uranio a Natanz potrebbe essere sospeso per i prossimi nove mesi.

È molto probabile, per le ricostruzioni fatte finora, che una quantità significativa di esplosivo (150 chilogrammi) fosse nascosta dentro un pezzo di ricambio arrivato dall’esterno e non controllato abbastanza bene. Quando l’esplosivo è stato portato dentro la base i sabotatori l’hanno fatto saltare in aria con un comando a distanza, secondo l’ipotesi di lavoro più solida. Questo vuol dire che chi ha deciso il momento dello scoppio ha preso in considerazione fattori diversi. Ha scelto un orario prima dell’alba e questo ha risparmiato molte vite umane. Ha scelto il mattino dopo la giornata nazionale della tecnologia nucleare, una ricorrenza inventata dal regime per celebrare l’arricchimento dell’uranio che quest’anno è coincisa con l’annuncio dei primi test delle centrifughe Ir-9 in grado di arricchire l’uranio a una velocità 50 volte superiore alle centrifughe di prima generazione. Ma è molto probabile che siano state anch’esse distrutte dall’esplosione. E infine, ma non meno importante, chi ha ordinato il sabotaggio l’ha fatto tra il primo e il secondo incontro dei negoziati appena ricominciati tra Stati uniti e Iran. Sono negoziati indiretti, nel senso che americani e iraniani non siedono allo stesso tavolo, stanno in due diversi hotel di Vienna e gli intermediari europei fanno avanti e indietro con le proposte e le controproposte. Le trattative hanno l’obiettivo di riportare in vita l’accordo del 2015, che in sintesi diceva: gli Stati uniti sospendono le sanzioni economiche e l’Iran in cambio sospende l’arricchimento dell’uranio e permette agli ispettori internazionali l’accesso più trasparente possibile agli impianti.

Adesso la grande domanda è: l’esplosione nel sito di Natanz ha danneggiato oppure favorito i negoziati? Dal punto di vista tecnico agli iraniani viene a mancare la principale arma di minaccia, che è l’accelerazione nell’arricchimento dell’uranio. Hanno a disposizione un altro sito, nella base di Fordow scavata nel fianco di una montagna, ma hanno perso materiale prezioso. Come fanno a negoziare? Questo spiegherebbe perché stanno bluffando sulla reale entità dei danni dentro Natanz, non vogliono apparire disperati. Dal punto di vista politico la lotta tra falchi e meno falchi dentro al regime sta diventando sempre più aspra. I falchi vogliono interrompere le trattative subito e ritengono che siano umilianti. I meno falchi sono più pragmatici. Vogliono la sospensione delle sanzioni economiche e ricordano ai falchi che era loro la responsabilità per la sicurezza del programma atomico mentre stanno passando da una sconfitta imbarazzante all’altra. Israele per ora non si pronuncia sull’accaduto, ma non era mai successo prima che ci fossero tante fughe di notizie sui media e tutte puntano in direzione del primo ministro, Benjamin Netanyahu. Uno dei suoi più stretti collaboratori, il capo del Mossad, Yossi Cohen, ha detto: «Io non ho firmato alcun accordo sul nucleare con gli iraniani. L’unico contratto che ho firmato è quello con i cittadini israeliani, per garantire la loro sicurezza».