L’unione fa la sofferenza. Lo stanno provando sulla propria pelle i leader del Centrodestra a una settimana dalle elezioni amministrative (primo turno 3-4 ottobre). Votano 12 milioni d’italiani per eleggere i sindaci di 20 città, di 1350 Comuni e il presidente della Regione Calabria. Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia si presentano alleati: una prova generale in vista delle elezioni nazionali della primavera 2023, sulla scia del largo consenso certificato fin qui dai sondaggi. I tre partiti sono infatti valutati attorno al 47-48% (20% FdI, 19% Lega, 8% FI), senza contare l’apporto delle altre minuscole formazioni. Il presunto Centrosinistra, formato dal Partito democratico (20%) e dal Movimento 5 Stelle (15%), appare in netto ritardo, benché resti da valutare il comportamento del composito arcipelago progressista. I partitini personali di Calenda (Azione), Renzi (Italia viva), Fratoianni (Sinistra italiana), Bersani e Speranza (Liberi e uguali) vengono complessivamente quotati al 10-12%, ma sono tutti restii a consorziarsi e preda dell’antico, inguaribile virus del riformismo nazionale: la sconfitta del vicino è più solleticante della sconfitta del rivale.
Per Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Silvio Berlusconi sembrerebbero aprirsi vaste praterie, invece le previsioni dipingono un quadro sempre più fosco giorno dopo giorno. I tre rischiano di perdere le cinque città principali della vicina Penisola: Roma, Milano, Napoli, Torino e Bologna. Anzi, Milano, Napoli e Bologna vengono assegnate da subito al Centrosinistra; mentre per Roma e Torino si ipotizza il ricorso al ballottaggio (17-18 ottobre) con i candidati progressisti dati per vincenti. Previsioni più confortanti negli altri 15 capoluoghi e in Calabria, dove il Centrosinistra è riuscito nell’impresa di frantumarsi in tre candidature. Tuttavia una tale «legnata» nelle metropoli del Paese potrebbe scompaginare gli attuali rapporti di forza sia all’interno dei tre partiti, sia nelle loro relazioni: non a caso si guarda a un’eventuale scissione dentro FI, con una notevole ala vogliosa di marcare la propria differenza da questa Destra, e dentro la Lega, in cui Salvini è messo alle corde dalla fazione governativa del ministro Giorgetti e dei presidenti di Lombardia (Fontana), Veneto (Zaia) e Friuli (Fedriga).
Il blocco moderato sconta candidati sbagliati, gelosie insuperabili, disorganizzazione delle strutture locali, un ambiguo legame con la setta dei no-vax. La somma fa il capovolgimento dei proclami lanciati a inizio anno da Salvini sicuro di trionfare ovunque, anche a scapito delle consolidate tradizioni di sinistra di Milano e Bologna. Alla prova dei fatti il discreto operato delle Amministrazioni progressiste sembra avere la meglio sul confuso ribaltamento promesso dal Centrodestra.
Roma esce disastrata dalla gestione della pentastellata Virginia Raggi. Spazzatura dilagante nelle strade, mezzi pubblici in fiamme, stazioni del metro chiuse a tempo indeterminato per la rottura di una scala mobile, cinghiali e topi in libertà. Eppure i 5stelle non sono riusciti a liberarsi del peggior sindaco dai tempi di Nerone. Nella capitale, però, esiste un 20% di masochisti intenzionato a votarla: risultato comunque insufficiente per proiettare la sindaca al ballottaggio. In testa (31%) è l’avvocato e conduttore radiofonico Enrico Michetti, un illustre sconosciuto scelto da Meloni. Michetti è un grande appassionato dell’antica Roma con scarsa propensione per la Roma attuale: ha disertato appuntamenti e dibattiti. Augusto e Cesare lo intrigano più dei contemporanei, ma non votano. Alle sue spalle l’ex ministro dell’Economia e Finanze ed ex europarlamentare Roberto Gualtieri (27%). Non ha il dono della simpatia, tuttavia batte con testardaggine ogni quartiere. È considerato favorito nel ballottaggio: su di lui dovrebbero convergere sia i sostenitori di Calenda (14%), sia una parte dell’elettorato di Raggi.
A Milano il sindaco in carica Beppe Sala gode di ogni pronostico con un netto incremento del proprio consenso elettorale rispetto al 2016. Si sente talmente forte da aver rigettato le ripetute offerte di alleanza del M5S. Gli hanno messo contro un puntiglioso e stimato pediatra, Luca Bernardo, indicato da Salvini al termine di lunghissime incertezze. È noto soltanto ai genitori dei suoi piccoli pazienti e ha commesso vistosi errori: dal portare la pistola nelle corsie del suo ospedale ad aver minacciato il ritiro, se i partiti non gli avessero fornito i finanziamenti promessi. La vera sorpresa sarebbe se Sala non si riconfermasse al primo turno. A Napoli l’unione Pd-M5S punta sull’ex ministro dell’Istruzione ed ex rettore Gaetano Manfredi. Lo spingono verso un successo perentorio la pessima eredità lasciata dal precedente sindaco De Magistris e gli autogol degli avversari: hanno avuto bocciate dal tribunale per irregolarità la lista della Lega e altre due in appoggio al candidato Catello Maresca, magistrato. Per obblighi di scuderia il malcapitato Maresca ha dovuto polemizzare con le sentenze dei suoi colleghi e parlare addirittura di democrazia azzoppata. Il risultato è un secondo posto insidiato dall’ex amatissimo sindaco comunista Bassolino in corsa da solo.
Anche a Bologna strada spianata per l’assessore alla Cultura Matteo Lepore, l’intera esistenza nel Pd. L’ostacolo principale non è stato l’imprenditore Fabio Battistini, un conservatore perbene candidato dal Centrodestra per la sua lontananza dalla politica, che nella realtà cittadina gli ha però giocato contro, bensì la risoluta Isabella Conti, giovane sindaca renziana di un paesino del circondario. Ha rovesciato su Lepore una considerevole quantità d’improperi: paradossalmente lo hanno lanciato nella sua galoppata solitaria.
La non ricandidatura della sindaca Appendino (M5S) ha scompaginato gli assetti di Torino: nonostante gli errori e i piccoli guai giudiziari, avrebbe avuto concrete chances. Senza di lei partita apertissima. Pure qui il Centrodestra ha puntato su un candidato civico, il produttore vinicolo Paolo Damilano, da mesi in campagna con la sua lista (Torino Bellissima) sganciata dai partiti.
L’avversario è il capogruppo del Pd in consiglio comunale Stefano Lo Russo, professore di geologia applicata e implacabile oppositore di Appendino. La sua designazione, imposta dai dirigenti cittadini alla segreteria nazionale, è stata assai sofferta perché ha presupposto la chiusura all’offerta del M5S di consociarsi. I sondaggi danno Damilano e Lo Russo appaiati, ma al ballottaggio il favorito è Lorusso grazie al paradossale sostegno dei carissimi nemici pentastellati.
Destra avanti ma non in città
A una settimana dalle Amministrative italiane appaiono come favoriti i partiti di Meloni, Salvini e Berlusconi. Però a Milano, Torino, Bologna, Roma e Napoli sembra profilarsi la vittoria dei candidati progressisti
/ 27.09.2021
di Alfio Caruso
di Alfio Caruso