In dicembre 2022 le è stato conferito il Nobel per la pace. La storica e scrittrice russa Irina Scherbakowa è stata tra le cofondatrici di Memorial. L’associazione per i diritti umani che «vuole ridare un nome a tutte le vittime dei gulag e a tutti i crimini commessi in nome dello Stato sovietivo, del partito e della dittatura comunista», spiega lei stessa. Dalla primavera scorsa l’intellettuale russa vive in Germania, a Weimar, la città di Goethe e di Schiller. Già l’anno scorso infatti il regime di Putin ha deciso di far chiudere i battenti a Memorial. «Quel che più dà fastidio al Cremlino – dice Scherbakowa – è che l’associazione, insieme al nome delle vittime dei gulag, pubblichi anche i nomi dei loro aguzzini. Una denuncia che in questa forma non era mai stata espressa in Russia». Mosca non tollera che gli attivisti di Memorial cerchino di far luce sul passato russo e sul modo disastroso in cui Stalin e i generali dell’Armata rossa hanno condotto la guerra contro l’invasione nazista. «Una guerra atroce che è costata la vita a milioni di soldati e inermi cittadini», ricorda Scherbakowa. «Ma che dal dopoguerra in poi è sempre e solo stata associata al culto di Stalin, e che ancora oggi Putin celebra esaltando il mito della grande guerra patriottica».
Anche il 9 maggio scorso, in piena guerra contro l’Ucraina, Putin ha fatto di tutto nella parata ufficiale a Mosca per esaltare il mito del patriottismo e le glorie dello stalinismo. «Il lavoro di Memorial consiste proprio nel far capire alla gente, documenti alla mano, che la storia non si fa con leggende e miti. E che quella dello Stato sovietico è la storia di uno Stato criminale, uno Stato che ci ha trattato in modo disumano». In uno dei suoi libri più suggestivi – Le mani di mio padre – Scherbakowa ricostruisce, anno per anno, una tragedia dopo l’altra, le vicende della sua famiglia e la storia dell’impero sovietico. Durante gli anni Trenta, quelli delle «purghe» di Stalin e delle liquidazioni in massa dei suoi nemici, il nonno di Scherbakowa era a Mosca uno dei dirigenti del Komintern (Internazionale comunista). Dal 1924 sino al 1945 è in due stanze del famigerato Hotel Lux (dove alloggiava tutta la nomenklatura internazionale dei partiti comunisti) che viveva sua nonna Mira. In quelle stanze di albergo è nata sua madre. «Mio nonno era un uomo sincero e generoso», afferma la storica, «con mia nonna Mira ha aiutato tante persone negli anni più duri dello stalinismo. La loro fede nel comunismo era autentica, nonostante tutto l’antisemitismo del periodo stalinista. Per questo mio nonno morì deluso e tormentato dai crimini dell’era stalinista». Come d’altronde suo padre, un giovane ufficiale ebreo, ferito gravemente dalla Wehrmacht nazista nei pressi di Stalingrado. «Mio padre ha lottato per tutta la vita contro le leggende che il regime ha costruito su questa guerra micidiale. Mio padre, i dissidenti e gli scrittori degli anni ’60 e ’70 e oggi il nostro lavoro di Memorial hanno rivendicato i sacrifici immensi dei soldati e denunciato il falso mito di Stalin, come noi oggi i crimini di Putin».
Il crudele, sistematico antisemitismo è una delle vergogne che dall’inizio caratterizza la storia dell’Unione sovietica, un elemento sino ad oggi rimosso nella memoria della sinistra europea. «L’Unione Sovietica – spiega Scherbakowa – ha sempre osteggiato il sionismo in quanto ideologia borghese e movimento religioso. Stalin ha eliminato uno dopo l’altro i dirigenti ebrei dal partito». Ma è la «memoria» di Auschwitz e della Shoah il vero, profondo «buco nero» che sino ad oggi contrassegna la memoria in Russia. «Gli orrori della Shoah nell’era sovietica sono un tabù, il nome di Auschwitz sottaciuto nella storiografia ufficiale». Il famoso Libro Nero sul genocidio degli ebrei russi che lo scrittore e giornalista Vasilij Grossman scrisse, nel 1945, insieme ad Ilija Erenburg non venne mai pubblicato in era sovietica. «Nel discorso politico del Cremlino era presente invece il mito di Buchenwald, per la rivolta lì organizzata dai detenuti comunisti». Auschwitz invece non rientrava nelle mitologie del comunismo e tanto meno l’insurrezione nel 1943 nel ghetto di Varsavia.
Ma torniamo al presente: il 24 febbraio scorso cosa ha scatenato la guerra di Putin contro l’Ucraina, e cosa spinge ancora oggi l’ex agente del Kgb contro il popolo ucraino? «È stata la rivoluzione di Maidan del 2014 a spingere Putin verso una politica sempre più aggressiva nei confronti dell’Ucraina», risponde la storica. «Gli ucraini hanno segnalato al Cremlino, dopo la loro rivolta nel 2014, di voler ripristinare la Costituzione, di tornare a parlare la loro lingua ucraina e soprattutto di orientarsi verso l’Europa e non verso la cosiddetta Madre Russia. È questo loro bisogno di libertà ad aver scatenato l’odio feroce di Putin». Dopo le annessioni nel Donbass e della Crimea e dopo la spietata guerra in Ucraina, per la Scherbakowa non ci sono più dubbi: «Il regime di Putin è una catastrofe umanitaria! E come altro possiamo definire il suo regime se non come una forma inusuale di fascismo? Putin ha scatenato guerre contro Paesi e popoli considerati dalla sua propaganda come satelliti sottomessi alla Russia, proprietà dell’uomo e della storia russa». Tutto ciò «è oggi di fatto una forma di fascismo. Come la sua ideologia secondo cui la grande Russia sia un Paese solo, un solo Stato e abbia un solo Leader».