Dentro la macchina dei Giochi maledetti

Dovevano essere le Olimpiadi del rilancio del Giappone sulla scena internazionale poi è arrivata la pandemia
/ 14.06.2021
di Giulia Pompili

A chiamarle «Olimpiadi maledette» è stato addirittura uno degli uomini politici più importanti del Giappone. Taro Aso, vice primo ministro del Governo nipponico, le aveva definite così già un anno fa, al tempo del primo rinvio: «È un problema che si verifica ogni quarant’anni. È la maledizione delle Olimpiadi, è un fatto». Il prossimo 23 luglio dovrebbe celebrarsi la cerimonia d’apertura dei Giochi olimpici estivi di Tokyo, ma la maledizione sembra proseguire. Tutto è ancora da decidere mentre il Giappone affronta la crisi peggiore di contagi da Covid dall’inizio della pandemia. L’evento sportivo più importante del mondo avrebbe dovuto tenersi nella capitale giapponese lo scorso anno, ma poi all’ultimo momento era stato rinviato di dodici mesi nella speranza che i vaccini avrebbero migliorato la situazione. Non è successo.

Taro Aso è noto sui media internazionali per essere un gaffeur, uno che le spara grosse. Anche commentando le Olimpiadi ha esagerato, evocando forze sovrannaturali che ciclicamente si accanirebbero contro la manifestazione. In realtà le crisi di cui parla Taro Aso sono molto più umane. Già nel 1940 il Giappone avrebbe dovuto ospitare le Olimpiadi estive, ma quei Giochi furono annullati a causa dello scoppio della Seconda guerra mondiale. Quarant’anni dopo, nel 1980, le Olimpiadi di Mosca furono le più boicottate della storia: una reazione delle Nazioni occidentali contro l’invasione sovietica dell’Afghanistan. Ma la crisi iniziata nel 2020 è ancora più umana. Ha messo in mostra i limiti e le difficoltà nell’organizzazione di mega-eventi e ancora di più i limiti della politica nel gestire le emergenze.

I Giochi olimpici di Tokyo 2020 (poi 2021) avrebbero dovuto essere quelli della rinascita del Giappone. Il palcoscenico del rilancio del Paese sulla scena internazionale dopo vent’anni di stagnazione economica, dopo il sorpasso della Cina come seconda economia del mondo e poi la triplice catastrofe dell’11 marzo del 2011, quando il terremoto, lo tsunami e l’incidente nucleare di Fukushima provocarono uno shock collettivo per la popolazione e un cataclisma per la crescita economica.

Tokyo vinse l’assegnazione nel 2013, battendo Istanbul e Madrid. All’epoca al Governo era arrivato da poco il primo ministro Shinzo Abe, che voleva usare i Giochi olimpici anche per incentivare un settore fondamentale del Pil giapponese: il turismo. La capitale nipponica non aveva bisogno di grandi opere infrastrutturali per accogliere i visitatori previsti – almeno un milione, secondo i calcoli del comitato organizzatore – e così si scelsero poche opere ma ben visibili, per esempio lo stadio olimpico del quartiere di Shinjuku. Nel 2015 il vecchio stadio olimpico – quello costruito per i Giochi del 1964, l’unico precedente di Olimpiadi estive ospitate dalla capitale – fu demolito per far spazio a un nuovo costosissimo progetto firmato dall’archistar Zaha Hadid. Pochi mesi dopo l’annuncio dei lavori iniziarono le polemiche: ai cittadini le spese sembravano eccessive. Pressato politicamente, Abe decise di abbandonare il progetto e costruire uno stadio più economico, che fu completato nel 2019.

Leader del Partito liberal democratico al Governo, Shinzo Abe è l’uomo che ha consegnato al Giappone un lungo periodo di stabilità politica dopo anni di Governi che duravano meno di dodici mesi. Ma nell’estate del 2020, pochi mesi dopo l’annuncio del rinvio ufficiale dei Giochi olimpici, è stato costretto alle dimissioni per motivi di salute. La leadership dell’Esecutivo è finita nelle mani del suo braccio destro, Yoshihide Suga, un politico di lungo corso ma molto meno influente di Abe, di certo con meno carisma. Nonostante questo, appena diventato primo ministro, Suga ha dovuto affrontare un partito diviso tra varie correnti, un bilancio in perdita dovuto alle spese sostenute per l’organizzazione dei Giochi, ma soprattutto l’emergenza della pandemia.

In un primo momento il Giappone sembrava aver contenuto con successo i contagi. Per tutto il 2020 l’arcipelago ha mantenuto i confini chiusi, ma all’interno del Paese non c’è mai stato un vero e proprio lockdown e, a parte qualche caso isolato, non c’è mai stata alcuna emergenza sanitaria. Nel frattempo però i Giochi olimpici continuavano a essere al centro di diverse polemiche, gestite in modo poco convincente da parte del Governo centrale. Nel febbraio scorso Yoshiro Mori, ex primo ministro e presidente della Federazione di rugby giapponese, che aveva lo strategico ruolo di presidente del comitato organizzatore delle Olimpiadi, è stato costretto a dimettersi dopo aver fatto alcuni commenti sessisti. Un mese dopo pure il direttore creativo delle Olimpiadi, Hiroshi Sasaki, si è dimesso dopo aver offeso una donna. Sui media nazionali e internazionali si è acceso il dibattito sulla società giapponese, ancora molto conservatrice, e sul ruolo delle donne svolto in certe manifestazioni che dovrebbero promuovere l’inclusività. Al posto di Yoshiro Mori è stata nominata la pattinatrice Seiko Hashimoto ma molti volontari che avevano deciso di prestare servizio durante i Giochi avevano ormai già rinunciato per protesta.

Poi, all’improvviso, i casi di Coronavirus hanno cominciato ad aumentare anche in Giappone. In aprile il Governo di Suga ha dichiarato lo stato d’emergenza per la maggior parte del Paese, spostamenti vietati, protocolli di sicurezza sempre più rigidi. Il Comitato olimpico internazionale e l’Esecutivo di Tokyo continuano a ripetere: i Giochi olimpici si faranno, è fuori discussione un altro rinvio. Eppure, secondo diversi sondaggi, la netta maggioranza dei giapponesi è favorevole alla loro cancellazione. Il piano vaccinale va a rilento – in tutti questi mesi il Paese non si è assicurato sufficienti dosi per immunizzare la popolazione – e le associazioni di medici avvertono: le Olimpiadi potrebbero essere un evento superspreader, cioè di super diffusione.
Ma a questo punto sembra impossibile fermare la macchina degli sponsor e dei diritti televisivi. I primi Giochi rinviati della storia saranno anche i più blindati: niente pubblico dall’estero, soltanto alcuni spettatori giapponesi. Atleti e giornalisti continuamente testati e chiusi all’interno del Villaggio olimpico. La festa dello sport somiglia già a un incubo.