Il progetto di riforma della giustizia in Israele – che mira tra le altre cose a ridurre i poteri della Corte suprema, e ha scatenato vigorose proteste – e le violenze in Cisgiordania (alle quali è seguito l’attentato palestinese di Tel Aviv) sono, dal punto di vista teorico, due fatti distinti. A dirlo è Francesco Mazzucotelli, che insegna Storia del Vicino Oriente all’Università di Pavia: «Il primo ha a che fare con l’equilibrio dei poteri all’interno del sistema costituzionale israeliano e ha l’obiettivo di rafforzare il potere esecutivo (interessante notare come sia una tendenza diffusa anche in altri Paesi quali Turchia, Ungheria, Polonia). Mentre gli avvenimenti di Jenin – che hanno causato la morte di una decina di palestinesi – si inseriscono nel quadro della repressione militare in Cisgiordania e in particolare dei campi profughi quali punti nevralgici della mobilitazione radicale. Eppure, come hanno spiegato sia alcuni studi accademici (ad esempio quelli di Marco Allegra e di Eyal Weizman) sia molte attiviste e attivisti, non è possibile disgiungere la condizione della democrazia israeliana dalle caratteristiche e conseguenze dell’occupazione».
A questo proposito il nostro interlocutore consiglia di leggere Apeirogon di Colum McCann, scrittore irlandese naturalizzato statunitense, che racconta la storia dell’inaspettata amicizia fra due padri – un palestinese e un israeliano – che hanno perso le loro figlie in due distinti episodi di violenza armata e che trasformano il loro dolore in attivismo per la pace. «Il libro – spiega Mazzucotelli – parla di rabbia e riconciliazione, ma soprattutto evidenzia quanto sia illusoria l'idea di una democrazia perfettamente sana e funzionante da una parte del confine del 1967 e poi, “al di là del muro”, il caos e la violenza dei territori rivendicati dai palestinesi». L'occupazione, insomma, produce effetti negativi anche sulla società israeliana e sulla sua democrazia...
Quali prospettive restano, dunque, a questa regione del mondo dilaniata e contesa da tempo immemorabile? Purtroppo – afferma l’intervistato – il peso dei partiti ultranazionalisti dei coloni israeliani e un’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) perlopiù inetta non lasciano presagire nulla di buono. «Il meccanismo è sempre lo stesso: picchi di violenza seguiti da misure di “distensione e contenimento”, con grande dispiego di retorica internazionale, senza mai intaccare la radice del nodo strutturale dell’occupazione. Vista però l’estensione degli insediamenti dei coloni israeliani in Cisgiordania, temo sempre più che il problema rimarrà senza soluzione, a meno che miracolosamente non emergano figure politiche da una parte e dall’altra con un carisma e una visione strategica capace di immaginare soluzioni radicalmente diverse dalla gestione dell’emergenza quotidiana. Difficile anche fare affidamento sulla mediazione di Governi terzi, con gli Stati Uniti d’America totalmente schiacciati sulle posizioni israeliane».