Democratici alla deriva

Il 12 e 13 febbraio sono previste le Amministrative in Lombardiae nel Lazio dove il PD rischia di incassare dolorose sconfitte, ecco perché
/ 06.02.2023
di Alfio Caruso

Il PD eleggerà il suo segretario nazionale, favoritissimo Stefano Bonaccini, il 26 febbraio, due settimane dopo la tornata elettorale in Lombardia e nel Lazio (12 e 13 febbraio). Con la quasi certa doppia sconfitta, i democratici avranno toccato il punto più basso della loro storia e potranno prendersela soltanto con la propria insipienza. Una collezione di errori che ha pochi precedenti. Il capolavoro di Enrico Letta, tanto perbene quanto inadeguato, è stato il cocciuto rifiuto di un’alleanza con il M5S nelle consultazioni nazionali dello scorso settembre. Disse no a Giuseppe Conte, accusato di aver fatto cadere il Governo Draghi; disse sì alla sinistra radicale di Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli, che in Parlamento per cinquanta volte su cinquanta avevano negato la fiducia a Draghi. Una scelta incomprensibile, che ha consentito al centrodestra trainato da Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni di far man bassa alla Camera e al Senato con il 44% dei consensi contro il 50% raccolto dall’opposizione e vanificato dall’aver fatto ognuno corsa a sé.

Dal risultato settembrino sono derivate le scelte nelle due Regioni. Malgrado i fastidi di Matteo Salvini e Silvio Berlusconi per l’incontenibile crescita di Meloni, a cavallo del 30%, il centrodestra ha confermato l’unione elettorale con la prospettiva assai concreta di conservare la Lombardia e di conquistare il Lazio, fin qui governato da Nicola Zingaretti, che è stato pure segretario del PD. Un esito reso possibile dalle divisioni del presunto fronte progressista. A Milano la candidatura da indipendente di Letizia Moratti sembrava la mossa giusta per dare scacco matto all’avvocato varesino Attilio Fontana, leghista e presidente uscente in corsa per il secondo mandato. A Roma l’ex assessore alla sanità Alessio D’Amato, forte dell’ottimo comportamento delle strutture pubbliche durante la pandemia da Covid, sembrava il candidato idoneo per conservare al PD la presidenza. Invece non è andata così.

Moratti era stata chiamata da Berlusconi e Salvini per salvare la giunta Fontana nell’infuriare del Covid. Le avevano affidato vicepresidenza e sanità con ottimi esiti. Tuttavia, quando ha capito che i due compari avrebbero ricandidato Attilio Fontana, si è staccata forte del suo passato (ex ministra dei Governi Berlusconi, ex presidentessa della RAI, addirittura evocata quale possibile successore di Sergio Mattarella al Quirinale) e del cognome pesante. Dire Moratti, il defunto marito Gianmarco, significa dire petrolio, Inter, finanza, assistenza sociale (il centro antidroga di San Patrignano). Un reticolo di rapporti capace di supportarla anche nell’urna. La sua discesa in campo ha terrorizzato il centrodestra. Se avesse ricevuto l’appoggio del PD avrebbe conquistato la Regione. Uno scacco pressoché definitivo per Salvini, la cui Lega rischia di essere doppiata da Fratelli d’Italia nella terra d’origine, un tempo serbatoio di voti (i sondaggi dicono 28% contro 14%).

Ma il PD si è erto a paladino della propria purezza con il retropensiero che la presenza di Moratti avrebbe eroso in maniera decisiva i consensi di Fontana e consentito al proprio alfiere, il solerte Pierfrancesco Maiorino, di vincere. Calcolo sbagliato: Moratti è data intorno al 20% e Fontana sarà riconfermato con una percentuale intorno al 40%. Il 33% di Maiorino servirà soltanto ad acuire i rimpianti per non aver messo Salvini nei guai – in caso di perdita della Lombardia, una larga fetta della Lega era pronto a metterlo nell’angolo – e conquistare la principale Regione italiana. Non è un caso se in cinquantadue anni il centrosinistra l’abbia guidata soltanto per diciotto mesi con Fiorella Ghilardotti, dal novembre 1992 al giugno 1994. Ne approfitterà Fratelli d’Italia: ha già fatto pesare di essere determinante chiedendo la maggioranza assoluta degli assessori e annunciando una sorta di tutela su Fontana.

Nel Lazio si sono abbattuti sul PD gli opportunismi di Conte ormai decisissimo a frantumarlo nella speranza di raccoglierne i cocci. L’infiocchettato professorino si è impossessato del M5S relegando Beppe Grillo al ruolo di santo patrono silenzioso, grazie ai 300mila euro annui di consulenza. In effetti la svolta tribunizia di Conte, dalla difesa del reddito di cittadinanza al pacifismo «putiniano» nei confronti dell’Ucraina, ha consentito ai pentastellati di salvarsi alle elezioni e di essere oggi accreditati di un 18%, che ne fa la principale forza di opposizione. Conte non ha giocato per vincere, bensì per non far vincere il PD e obbligare il prossimo segretario ad andargli al traino. Di conseguenza ha detto sì a un accordo in Lombardia, dove il M5S è da sempre in affanno, incapace di raggiungere un risultato a due cifre, attualmente sta fra il 7-8%. Mentre si è opposto alla richiesta di correre assieme nel Lazio, dove ha presentato una propria candidata, il volto televisivo Donatella Bianchi, accreditata di circa il 17%. Unito al 35% di D’Amato avrebbe significato battere il rappresentante designato dalla corte meloniana, Francesco Rocca, dato al 43%.

Fino alla candidatura Rocca è stato il presidente della Croce Rossa Italiana. Prima avvocato, poi manager ospedaliero, è circondato da buona stima. Perfino la gioventù spericolata, problemi di droga con una condanna per spaccio, si è tramutata nel trionfo della riabilitazione al servizio della comunità. La sua campagna elettorale si è basata sulla difesa dei troppi vulnerabili. Tuttavia sta inanellando una gaffe dopo l’altra e, a livello personale, sembra raccogliere meno voti dei partiti, che lo sostengono. A dispetto degli avversari, la sua vera forza è la loro disarticolazione. Sembra colpire anche Azione di Carlo Calenda e Matteo Renzi, descritti in crescente dissenso e lontani dal costituire un sostanzioso terzo polo, eventuale arbitro della contesa fra destra e sinistra. Anch’essi sono a rischio ridimensionamento. Forse è il motivo dell’improvvisa sintonia con Meloni: si offrono come ancora di salvataggio in alternativa a Salvini e nella speranza di attrarre i naufraghi di Forza Italia alle prese con l’inesorabile invecchiamento di Berlusconi.