Puntuale, da un paio di anni a questa parte, una coltre di smog è tornata a coprire il cielo e le strade di Delhi. E siccome lo smog è democratico, la grigia e tossica nube arriva anche dall’altra parte del confine, a Lahore: colpa dei rimasugli del raccolto bruciati nei campi del Punjab, dicono. E i due paesi fratelli-coltelli si accusano l’un altro per i livelli di inquinamento raggiunti. Le polemiche sui giornali e in televisione sono infinite, le accuse anche, e per strada sono tornate a circolare le mascherine da mettere sul viso: con o senza apposito filtro, bianche o azzurre tipo chirurgo o colorate e vezzose. La qualità dell’aria non impedisce però a nessuno di circolare e, soprattutto, di continuare a prendere la macchina anche per tragitti piuttosto brevi.
Il traffico di Delhi è ormai diventato un incubo, specie in alcune zone della città. E non il traffico caotico di persone e mezzi di trasporto eclettici che si trova ormai soltanto nella città vecchia o nelle città di provincia, ma l’incubo di lamiere in cui tutti noi occidentali siamo cresciuti e siamo abituati a vivere. La qualità dell’aria non impedisce neanche, per fortuna, che il Delhi Walk Festival vada avanti. Si tratta di camminate a tema in diverse zone della città: camminate a tema culturale, musicale, ecologico o mangereccio. A guidare le passeggiate di gruppi di una ventina di persone sono scrittori, giornalisti, intellettuali o attivisti sociali. I posti per le camminate guidate da William Darlymple, a tema Mughal bianco e dintorni, sono andati esauriti online in meno di dieci minuti.
Si tratta di un modo affascinante e insolito per conoscere la città e per esplorare posti in cui non hai mai pensato di andare anche se si trovano praticamente dietro l’angolo o per fare cose che ti sei sempre ripromesso di fare senza trovare mai il tempo o l’energia. Come esplorare la zona intorno alla Jama Masjid di sera, a caccia dei migliori posti in cui si fanno kebab e biryani. Cibo di strada o, per essere più esatti, cibo da soldati e da carovane di mercanti dei tempi antichi che è poi diventato, nel caso del biryani, una delle più squisite raffinatezze che la cucina indiana può offrire. Ne esistono diverse versioni: quella di Hyderabad, quella di Lucknow, quella di Calcutta declinate poi in diverse varianti locali.
Si tratta praticamente di riso e carne, montone o pollo, cotti assieme lentamente in una pentola sigillata. Ma questa descrizione sommaria non rende neanche lontanamente l’idea della fragranza e della complessità di sapori del piatto in questione. Il mio preferito è il biryani di Hyderabad, che viene preparato con una varietà di spezie incredibile e cucinato a crudo. Nella versione di Lucknow la carne e riso vengono cotti a metà separatamente e poi uniti, come nella versione di Calcutta in cui compaiono però anche le patate.
Tuffarsi verso le nove di sera nella confusione delle strade attorno alla Jama Masjid è emozionante anche per chi conosce bene il posto. È un modo diverso da quello del giorno, un mondo in cui le strade si animano molto più che di notte e si riempiono di profumi e fragranze di cibo, di spezie o delle essenze vendute negli appositi negozietti. Davanti ad alcune botteghe, una folla di uomini o donne seduti per terra, in attesa. I passanti possono dare del denaro ai proprietari e nutrire la folla di chi non ha cibo né casa. Venti rupie (pochi centesimi) a testa bastano per un pasto completo. In molti dei posti più gettonati per la qualità del cibo si mangia comunque per strada, tenendo in bilico un piattino di foglie disseccate o un piatto di carta.
C’è il vicolo dei venditori di kebab, il vicolo dei fornai, il vicolo di quelli che cucinano riso in diverse varianti. Ci sono posti specializzati in kebab di bufalo, altri in cui la carne macinata a formare una specie di polpetta è così soffice che viene tenuta insieme da un filo: srotoli il filo e la polpetta si disfa nel piatto. Ci sono gli ambulanti, che vendono zuppa di pollo speziata all’angolo della strada offerta in bicchieri di coccio o di cartone. C’è una bevanda che si chiama «Pyaar Mohabbat Mazaa» (amore, affetto e divertimento): si tratta di latte, acqua di rose e cubetti di anguria: quando fa caldo, l’angolo di strada del venditore in questione viene letteralmente preso d’assalto. Si tratta di un altro mondo, un mondo a parte, in cui visitare (e mangiare) in una decina di posti costa meno di dieci euro in totale. In cui nessuno si preoccupa della qualità dell’aria né porta mascherine. In cui gli unici volti coperti sono quelli di alcune donne che indossano l’hijab.
Un mondo in cui la differenza tra Delhi e Lahore, tra una parte e l’altra del confine, si annulla fino a scomparire quasi del tutto e le due città sono accomunate, come erano un tempo, da una stessa cultura e non soltanto, come oggi, dalle nubi di smog.