Decotti e urina contro la Covid

Il virus si diffonde in Asia del sud mentre politici e «santoni» spingono la popolazione verso i rimedi naturali e lontano dai vaccini. La situazione in Nepal è catastrofica: mancano farmaci, posti letto negli ospedali e medici
/ 31.05.2021
di Francesca Marino

«Nella valle di Kathmandu le terapie intensive dotate di respiratori sono ormai piene. Negli ospedali non c’è più un letto disponibile e non possiamo ammettere nuovi pazienti perché mancano ossigeno e medicine. Anche i vaccini sono finiti. Se non facciamo qualcosa adesso, la situazione rischia di trasformarsi in una catastrofe di proporzioni epocali». Più di quanto già non sia. Chi parla è il dottor Samir Kumar Adhikari, a capo del Centro operativo di emergenza sanitaria di Kathmandu, l’agenzia governativa nepalese che si occupa della pandemia da Coronavirus, che cerca ormai da giorni di far convergere l’attenzione del mondo sul Paese himalayano.

I numeri sono terrificanti. Secondo le statistiche, un cittadino nepalese su due è positivo alla Covid-19. Ci sono circa 9 mila nuovi casi al giorno, che rappresentano un incremento del 3’000 per cento rispetto al mese di aprile. Settimana scorsa il tasso di mortalità ha abbondantemente superato quello della vicina India. La seconda, letale, ondata di Coronavirus ha letteralmente travolto il Nepal, aggravata dalle condizioni della sanità pubblica e dalla quasi inesistente sanità privata della Nazione. Non solo mancano ospedali, cilindri di ossigeno e medicine, ma mancano anche i medici. In Nepal, difatti, ci sono soltanto 8 dottori per 10 mila cittadini e quasi tutti sono concentrati nelle città. Come nel caso dell’India, ma è ancora più probabile che in India, i veri numeri sono molto, molto più alti. E il Governo non soltanto non li conosce ma non è né interessato né preparato a diffonderli o anche soltanto a cercarli. Mentre gli aiuti piovono dall’Europa e dal resto del mondo, la politica locale continua a fare quello che fa praticamente dalla nascita del Nepal: corrotti giochi di potere.

Nei mesi scorsi l’India ha donato al Nepal circa un milione di dosi di Astrazeneca e il Governo ha ottenuto vaccini sia dal programma Covax (che ha l’obiettivo di facilitare l’accesso ai vaccini anche ai Paesi poveri) sia dalla Cina, che con l’India si disputa l’influenza sul piccolo Paese. Dove sono finiti i vaccini? Bella domanda, perché secondo le statistiche soltanto 400 mila cittadini hanno ricevuto le due dosi canoniche. Due milioni hanno ricevuto soltanto la prima dose, secondo il Governo. Forse. Eppure le avvisaglie di una nuova ondata del virus c’erano state.

Ai primi di maggio si registravano focolai di Covid nei campi base himalayani, ma le notizie non sono mai state confermate ufficialmente dal Governo. Perché? Perché l’Himalaya è una delle macchine da soldi più produttiva e gettonata del Paese. In aprile migliaia di cittadini nepalesi (il Nepal è ufficialmente di religione hindu) sono andati in India per il Kumbh Mela. E centinaia di migliaia di lavoratori stagionali nepalesi si sono riversati in patria dall’India non appena il Governo di Nuova Delhi ha imposto i primi lockdown. Senza che nessuno li testasse o li controllasse.

La presidente Bidhya Devi Bhandari ha sciolto il Parlamento lo scorso 23 maggio perché i partiti non sono stati in grado di formare un Governo nonostante l’emergenza nazionale. E ha annunciato le elezioni per il prossimo novembre con relativi comizi e rally elettorali. Per i sopravvissuti alla pandemia, a quanto pare. Perché il primo ministro in carica Khadga Prasad Sharma Oli dovrebbe essere mandato, più che a casa, in galera. Il signore in questione, difatti, nei mesi scorsi raccomandava di bere foglie di guava bollite dentro l’acqua e fare dei gargarismi con il decotto. Efficacissimo per tenere lontano la Covid, visto che «nemmeno i vaccini sono efficaci al 100 per cento». Non solo. Secondo Khadga Prasad Sharma Oli i nepalesi sarebbero «molto più resistenti alle infezioni perché hanno un’immunità più alta» e hanno la fantastica possibilità di curarsi dal virus cinese usando rimedi antichissimi fatti con le erbe. D’altra parte, confuse idee del genere si sentono anche dall’altra parte del confine, in India e in Pakistan. Solo che in India almeno vengono riportate dalla stampa per quello che sono.

Pragya Singh Thakur, un politico indiano del partito al Governo, ha dichiarato che le infezioni ai polmoni causate dal Coronavirus possono essere curate bevendo urina di vacca ogni mattina. E che un mix di urina ed escrementi di mucca è efficace contro praticamente tutto, dal cancro alla Covid. E non è l’unico. Secondo Usha Thakur, ministro della cultura (sic!) dello Stato dell’Uttar Pradesh, praticare yoga per quattro giorni di seguito purifica l’ambiente e ferma la diffusione del virus. Folklore?

Non solo. Perché un autoproclamatosi guru via Youtube, Baba Ramdev, nei giorni scorsi ha fatto di peggio. Ramdev, in genere, è abbastanza innocuo: diffonde un «Verbo» pasticciato di nozioni da Wikipedia, induismo condito da una buona dose di new age e consigli spiccioli su come gestire casa e famiglia nonché le proprie attività economiche. Fin che di recente si è messo a dichiarare che la medicina «allopatica» non serve a nulla, che ci sono stati più morti a causa delle medicine che a causa della pandemia, che i respiratori e le bombole di ossigeno sono inutili visto che basta fare yoga per sviluppare i polmoni. Aggiungendo che i medici sono degli stolti visto che con tutte i loro farmaci non sono riusciti a salvare loro stessi e che il vaccino ammazza più gente del virus. Il rimedio sommo contro la Covid, l’unico davvero efficace, è un cosiddetto «farmaco» chiamato Coronil. È prodotto da un’azienda che si chiama Patanjali con sede in Haryana. Indovinate chi è socio della Patanjali? Baba Ramdev. Che è andato in televisione a ogni ora del giorno a dire che il Coronil aveva ottenuto una certificazione da parte dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) come cura riconosciuta contro la Covid. L’Oms ha smentito, ma buona parte dell’India non legge i giornali in inglese e non guarda i canali di informazione in inglese che danno notizie credibili e supportate da fatti.

Così, si sono viste nei villaggi corse ad accaparrarsi i beveroni di escrementi di mucca e in Stati come l’Uttar Pradesh o il Bihar il 42 per cento della popolazione dichiara di non avere intenzione alcuna di vaccinarsi. Come, d’altra parte, in Pakistan. Dove i mullah si fanno da mesi un punto d’onore nel diffondere la notizia che i vaccini contro il Coronavirus provocano sterilità immediata e sicura e che bisogna costruire moschee per placare l’ira divina. Offrendo, ovviamente, laute donazioni a organizzazioni religiose che, nove su dieci, sono anche organizzazioni terroristiche. Le stesse che sparano addosso ai medici che portano i vaccini antipolio, anche quelli contrari al volere divino. E intanto, tra polemiche e divinità da placare, il virus importato dalla laicissima Cina, si impadronisce dell’Asia del sud.