Un banale paio di boxer bianchi è stato fatale ad Abu Bakr al-Baghdadi, l’uomo che volle farsi califfo. Un commando di incursori curdi e americani sarebbe riuscito a penetrare nel compound del lider maximo dell’Isis a pochi chilometri dal villaggio di Barisha, non lontano da Idlib nei pressi del confine tra Siria e Turchia. Avrebbe quindi recuperato le fatidiche mutande da cui sarebbe stato estratto il dna del loro proprietario che sarebbe risultato, appunto, il capo in testa della feroce organizzazione terroristica islamica. Questo avrebbe di lì a poco permesso alla Delta Force statunitense di intervenire il 27 ottobre in loco, braccare al-Baghdadi, intrappolarlo in uno dei tunnel approntati per la fuga in cui si sarebbe poi fatto esplodere, uccidendo tre dei suoi figli che aveva portato con sè.
Il racconto dei retroscena del blitz americano è stato fatto al «New York Times» da Mazlum Abdi, il guerrigliero curdo incaricato di spiare il nascondiglio del sedicente califfo, racconto che il quotidiano ha pubblicato il 28 ottobre successivo. In pratica i curdi ancora una volta si sono rivelati alleati leali ed efficienti degli Stati Uniti persino dopo che Trump li ha abbandonati al loro destino in balia delle truppe turche d’invasione, decidendo di ritirare il contingente Usa dal Rojava, l’ormai ex Kurdistan autonomo della Siria.
Tutto ancora da chiarire il ruolo giocato nell’intera vicenda dall’esercito della Turchia che sebbene abbia ufficialmente varcato il confine solo il 9 ottobre scorso, in realtà direttamente – con i propri contingenti già in loco – e indirettamente – attraverso le organizzazioni «ribelli» siriane che combattono ancora Bashar al-Assad, il Libero esercito di Siria in testa, avrebbe dovuto garantire la sicurezza e il cessate il fuoco nell’intera provincia di Idlib assieme alla Russia e all’Iran, con l’appendice non trascurabile degli Hezbollah libanesi. Nella medesima provincia, ricordiamo, si sono concentrate tutte le organizzazioni che ancora si oppongono in armi al dittatore di Damasco, ma anche il fior fiore di terroristi islamici come appunto i jihadisti dell’Isis e di quello che fino al 2016 era il braccio armato di al-Qaeda in Siria, il Fronte al-Nusra che sull’onda delle sconfitte subite ha cambiato nome più volte, si è fuso con altre organizzazioni armate e oggi si chiama Hay’at Tahrir al-Sham alias Organizzazione per la liberazione del Levante e continua ad essere guidato da Muhammad al-Julani, ancora latitante.
L’area di Barisha, in particolare, fino al 27 ottobre scorso, si riteneva controllato proprio dall’Organizzazione per la liberazione del Levante che dovrebbe essere arci-nemica dell’Isis e invece, ospitava addirittura il suo capo, il califfo in persona, corredato da mogli e figli. All’appello mancava solo una delle consorti, catturata lo scorso anno dai guerriglieri curdi; moglie risultata – a quanto pare – preziosa nel rivelare loro dettagli utili a individuare fin dal marzo di quest’anno il nascondiglio di al-Baghdadi. Rimane invece ancora oscuro se tra l’ex Fronte al-Nusra e l’Isis sia avvenuta una riappacificazione magari con la mediazione di Ayman al-Zawahiri, l’attuale leader di al-Qaeda. Sul web comunque i seguaci al-Qaeda hanno festeggiato da parte loro la morte del capo dell’Isis.
Coi toni trionfalistici che gli sono consueti, ha festeggiato l’avvenimento anche Trump che, assieme a mezzo governo statunitense, ha seguito, «bella come un film», l’operazione su Barisha, chiamata in codice «Kayla Mueller» dal nome della ragazza americana presa in ostaggio dall’Isis nel 2013 mentre aiutava Medici senza frontiere in un ospedale di Aleppo e poi uccisa nel 2015. Tralasciando i commenti poco pietosi sulla mancanza di coraggio di al-Baghdadi, quello che maggiormente interessava al presidente americano era sottolineare come «l’eliminazione di bin Laden è stata importante, ma quella di al-Baghdadi lo è di più», augurandosi in poche parole che come il blitz americano su Abbottabad in Pakistan del 2 maggio 2011 ha eliminato il creatore di al-Qaeda e spianato la via alla rielezione di Obama, così l’operazione su Barisha sarà foriera della sua rielezione nel 2020.
Certo, l’eliminazione del califfo è stato un grosso colpo mediatico-propagandistico per lui, ma da sola non basterà verosimilmente a garantirgli un secondo mandato. Come non sarà sufficiente a sbaragliare l’Isis che, imbestialita, magari non subito, ma certamente cercherà di reagire con maggior ferocia. Abu Bakr al-Baghdadi, infatti, non è stato solo un capo carismatico come Osama bin Laden, ma a differenza di lui non si è limitato a vagheggiare un califfato islamico, lo ha costruito davvero su un territorio grande più o meno come la Gran Bretagna. Inoltre, sempre a differenza di bin Laden, ha formato emiri in grado di governare il territorio conquistato in armi e di mantenere la struttura statuale che vi era stata costruita reperendo in loco fonti autonome di finanziamento. Tanto basta per creare un nuovo mito islamico. I suoi successori, insomma, esistono già e stanno covando la prossima trasformazione della gorgone jihadista.