Dazi doganali soppressi

Prodotti industriali - Approvata di misura dalle Camere federali la proposta del Consiglio federale dopo una prima bocciatura, dovuta a timori per le produzioni nazionali e per eventuali altre future soppressioni di dazi
/ 25.10.2021
di Ignazio Bonoli

Quasi in sordina, e anche con una maggioranza di un solo voto in Consiglio Nazionale, le Camere federali hanno finalmente accettato il messaggio del Consiglio federale che propone la soppressione dei dazi doganali sui cosiddetti «prodotti industriali», esclusi cioè il settore agrario e quello dei prodotti della pesca.

Benché la Svizzera sia tradizionalmente un paese molto aperto al commercio internazionale e abbia concluso parecchi accordi di libero scambio con molti paesi, ha pur sempre conservato alcuni dazi all’importazione, essenzialmente per difendere alcune produzioni nazionali contro la concorrenza di paesi che producono a costi inferiori.

La teoria economica vuole che un commercio libero produca benessere sia nel paese importatore, sia nel paese esportatore. Si tratta di uno scambio win-win, che viene in ogni caso ostacolato da barriere doganali a danno spesse volte del benessere comune. Tant’è vero che la soppressione di queste barriere dà spesso all’economia del paese interessato impulsi notevoli alla crescita. Lo scambio avviene perché vi è un interesse da ambo le parti e l’effetto di pressione sui prezzi nel paese importatore, a vantaggio di consumatori e imprese, è sempre fonte di spinte innovatrici.

Fin qui la teoria. Nella pratica le cose sono un po’ diverse, poiché soggette a decisioni politiche in genere di protezione del mercato nazionale. Non solo, ma talvolta i dazi doganali sono una fonte notevole di finanziamenti per lo Stato. In Svizzera, nel 2018, la Confederazione ha incassato 540 milioni di franchi. La metà concerneva prodotti tessili, dell’abbigliamento e scarpe. Per i prodotti industriali, la media dei dazi è dell’1,8% del valore del bene importato, ma in singoli casi possono raggiungere anche il 10% e salire fino al 50%.

Secondo il Consiglio federale, l’abolizione di questi dazi provoca diminuzioni di prezzo per consumatori e imprese, ma anche la soppressione di costi amministrativi per circa 100 milioni di franchi all’anno. Secondo uno studio esterno, il beneficio dell’operazione è valutabile in circa 860 milioni di franchi all’anno. Poca cosa nei confronti del PIL nazionale che è di oltre 700 miliardi di franchi, ma riflette anche il fatto che in Svizzera i dazi all’importazione sono molto bassi.

La proposta del Consiglio federale di sopprimere questi dazi (la cui prima lettura risale al giugno 2020) è stata però molto contrastata. Perché fa perdere soldi alla Confederazione e aumenta la pressione sulle produzioni nazionali, ma anche per il timore della prossima soppressione di altri dazi, in particolare sui prodotti agricoli. Così, nel giugno dello scorso anno, il Consiglio Nazionale aveva respinto la proposta. Ma poi, di fronte al massiccio sì del Consiglio degli Stati, ha dovuto cambiare idea, anche se di pochissimo. Un solo voto ha separato, infatti, i favorevoli dai contrari.

Un voto che, però, ha avuto un significato molto esteso, poiché ha permesso di chiudere il dibattito ancora durante la sessione autunnale. Non è tuttavia escluso il lancio di un referendum, probabilmente da sinistra. Decisivo, oltre alla conversione di rappresentanti del mondo agricolo, il voto dei Verdi liberali. I quali hanno però proposto e ottenuto il necessario consenso per una mozione che chiede di collegare la soppressione di dazi industriali con un’eventuale partecipazione della Svizzera al previsto sistema di tassazione delle importazioni di CO2.

Sistema che dovrebbe permettere di contrastare eventuali migrazioni di imprese industriali con forti emissioni di CO2 verso altri paesi. Un intervento amministrativamente molto complicato e anche molto criticato al di fuori dell’Europa, poiché ritenuto un ostacolo alla concorrenza. All’inizio dovrebbe essere limitato a settori con forte consumo di energia, come cemento, acciaio, alluminio, concimi ed energia elettrica, per poi entrare pienamente in vigore nel 2026. Le esportazioni svizzere verso l’UE non sarebbero toccate, poiché la Svizzera ha collegato il proprio metodo dei certificati di emissioni con quello dell’UE.

Il Consiglio federale è andato però anche un po’ più lontano, proponendo la rinuncia a ulteriori trattative sul tema nell’ambito di futuri accordi di libero scambio. Questo perché l’impatto dell’abolizione proposta, secondo uno studio esterno, è positivo per 860 milioni di franchi all’anno sul PIL, ma ne rappresenta soltanto lo 0,1%. Inoltre perché i dazi svizzeri sull’importazione di prodotti industriali sono molto bassi e la politica del mercato aperto ha sempre dato buoni risultati.