«È un tributo al potere della nostra democrazia, che una bambina nata in una povera casa dentro a una remota area tribale possa arrivare a ricoprire la più alta carica Costituzionale dell’India. Non è una mia vittoria personale, l’essere stata eletta Presidente dell’India, ma è una vittoria per ogni persona di umili origini. La mia elezione prova che i poveri, in India, possono non soltanto avere dei sogni, ma che possono anche realizzarli».
Le prime, commoventi parole di Droupadi Murmu dopo aver giurato come quindicesimo presidente dell’India, hanno fatto praticamente il giro del mondo. Perché questa signora piccola, dal sorriso schivo e dai modi semplici e diretti, non è soltanto il nuovo presidente eletto della più grande democrazia del mondo, ma è un simbolo, e un simbolo potente. Prima di tutto, i record: la signora Murmu, sessantaquattro anni, è il più giovane presidente eletto nella storia dell’India, e il primo a essere nato dopo l’Indipendenza. Non è la prima donna presidente: prima di lei, nel 2007, era stata eletta Pratibha Patil. È però la prima persona di origine tribale a ricoprire una carica istituzionale di questo calibro: appartiene alla tribù dei Santhal, la più grossa minoranza tribale degli Stati indiani del Jarkhand e del West Bengal, con presenze anche in Orissa, Bihar e Assam oltre che in Bangladesh.
Leggenda vuole che la piccola Droupadi, figlia del capo-villaggio di Baidaposi, in un remoto distretto dell’Orissa, salisse sul palco dove un politico locale stava chiudendo un comizio domandandogli a gran voce sostegno per poter studiare a Bubaneshwar, la capitale dello Stato. E che il politico fosse così impressionato dalla bambina da trovarle un posto in una scuola governativa e, in seguito, al Ramadevi Women’s College. Uscita di scuola, Droupadi ormai ragazza diventa un’insegnante e, in seguito, un politico prima locale e poi nazionale. Distinguendosi dalla massa per la vicinanza ai suoi elettori e per le battaglie su problemi concreti che riguardano la comunità tutta. Leggende a parte, la piccola signora Santhal fa una carriera politica di tutto rispetto ricoprendo ruoli di primo piano nel governo dell’Orissa. Fino a che la sua vita viene letteralmente devastata: perde nel giro di pochi anni il marito e due figli, uno dei quali in circostanze piuttosto misteriose.
Non è un posto facile, l’Orissa, e tanto più non è facile se sei una donna e appartieni a una minoranza protetta. Come ha dichiarato anni fa la stessa Murmu: «Ai miei tempi, la carriera politica non era molto ben vista. Specialmente, per una donna. Perché nella comunità di cui faccio parte si pensa che le donne non debbano entrare in politica». I tribali, in Orissa come nel vicino Jarkhand (Stato di cui la signora Murmu è diventata governatore nel 2015), vivono una situazione complessa. Le popolazioni tribali, in India, sono protette da uno specifico dettato costituzionale e soggette a un programma che prevede lo sviluppo delle varie tribù senza alcuna ingerenza esterna e l’impiego, nella gestione del programma, di operatori sociali rispettosi, per ovvie ragioni, di cultura e tradizioni locali. Il rispetto di usi e costumi viene costantemente invocato nelle sedi più disparate, ma finisce per somigliare al caro, vecchio mito del «buon selvaggio». Mito che, come fa notare l’antropologo francese Marc Augé, ha però molto a che vedere con la gestione del potere da parte delle culture dominanti. Per cui, spesso, rispetto fa rima con sottosviluppo e carità, più che con diritti e sviluppo sostenibile.
Dalle statistiche, si evince difatti che più del 66% della popolazione tribale è analfabeta e che il 32% dei bambini abbandona la scuola dopo la prima elementare. Che il tasso di alfabetizzazione femminile, in particolare, raggiunge a stento l’8,3%. Che il 72% dei tribali vive al di sotto della soglia di povertà, e il 50% è stato sfrattato dalle proprie terre: sempre in nome dello «sviluppo», ovviamente. Secondo un rapporto del National Advisory Council, più di nove milioni di tribali, negli ultimi cinquant’anni, sono stati sradicati dalle loro terre a favore di cosiddetti progetti di sviluppo. Soltanto il 60% di questi ha ricevuto una qualche forma di compensazione o beneficiato di una cosiddetta «riabilitazione». La maggior parte dei tribali sopravvive in slum ai bordi delle cittadine, in condizioni di assoluta miseria. In Jarkhand, lo Stato di cui Droupadi Murmu è stata governatore fino al 2021, i tribali protestano da anni contro lo sviluppo indiscriminato che lede i loro diritti costituzionali avvelenando l’ambiente e respingendo ai margini le comunità. A complicare il tutto, si sono unite alle proteste anche i guerriglieri Naxaliti, che usano sempre più di frequente il Jharkhand come base logistica, come sede di campi di addestramento dei guerriglieri o di reclutamento di giovani tribali: la povertà, la rabbia e l’insoddisfazione, unite alla quasi totale latitanza delle istituzioni nella zona, hanno fornito ai Naxaliti una solida piattaforma su cui operare più o meno indisturbati sfruttando e acuendo abilmente le diseguaglianze sociali ed economiche.
La signora Murmu, durante tutti gli anni del suo governatorato, si è battuta perché alla sua gente venissero riconosciuti i diritti garantiti dalla Costituzione e dalla legge indiana. Per questo motivo, la sua elezione è stata salutata dalle popolazioni tribali con manifestazioni di vera e propria esultanza. Per questo motivo, la sua elezione riveste una così alta carica simbolica. L’India, come già sottolineato, ha avuto un presidente donna nel 2007, una donna primo ministro già nel 1966 e numerose donne alla guida dei singoli Stati. A dispetto di quello che se ne dice all’estero, ha avuto anche un paio di presidenti musulmani, e il presidente uscente è un Dalit, un «intoccabile» secondo le regole induiste. Non era mai successo, però, che una persona di origine tribale, e per di più una donna, venisse chiamata a ricoprire la massima carica dello Stato. Hanno danzato al suono dei tamburi e pregato attorno agli alberi sacri, nel villaggio in cui è nata la signora Murmu. Sperando che, con lei a ricoprire la carica più prestigiosa dello Stato, i tribali ottengano finalmente vera giustizia e il pieno riconoscimento dei loro diritti. E che molte altre bambine come Droupadi, tra qualche anno, percorrano la stessa strada. Fino a che, un giorno, l’elezione di un tribale non farà più notizia perché sarà diventata una cosa normale.