Dal rogo del 1666 all’ultimo annus horribilis

Stanno volgendo al termine dodici mesi caratterizzati da pandemia, guerra e carestia. Gli auspici per il futuro
/ 26.12.2022
di Alfredo Venturi

Ecco un altro anno che si chiude senza lasciare rimpianti. Un anno che non soltanto non ha saputo chiudere i conti con la pandemia, ma ha precipitato l’umanità in un altro flagello: alla peste ha aggiunto la guerra. Intanto è in agguato un altro cavaliere dell’Apocalisse, quello che porta la carestia. Quest’altra piaga biblica attanaglia il mondo sia nella formulazione tradizionale, che riguarda un quarto della specie umana afflitto dalla carenza di cibo, sia nella veste moderna di disastro finanziario e produttivo. Il 2022 passerà alla storia come l’anno del sanguinoso conflitto ucraino, che ripropone in piena Europa le devastazioni e i lutti delle grandi guerre del Novecento, aggravati da armamenti ben più sofisticati e dalla riluttanza delle parti a sedersi al tavolo negoziale.

È stato anche l’anno in cui una serie di fattori innescati dalla guerra e amorevolmente coltivati dalla grande speculazione internazionale ha imposto il sacrificio di quella difesa dell’ambiente che sembrava finalmente avviarsi, prima che in quel tormentato pezzo d’Europa si cominciasse a sparare, verso una presa di coscienza abbastanza diffusa. È stato l’anno del rilancio del carbone come fonte di energia, con tanti saluti agli allarmi della scienza, alle scadenze e ai limiti fissati dalle conferenze annuali sul clima. Un anno nerissimo di fumi tossici, che portano nell’atmosfera le contraddizioni di un’umanità divisa fra il desiderio di rispettare la Terra e l’insopprimibile tendenza a spremerne le risorse senza badare alle conseguenze.

Non facciamoci troppe illusioni, possiamo affidare al 2023 l’auspicio che una riscossa provvidenziale della ragione sconfigga insieme, prima che siano trascorsi i prossimi dodici mesi, la tragica stupidità della guerra e tutti i guai che ne sono la conseguenza più o meno diretta. Ma non si può fare a meno di notare che le ferite sono molto profonde e la terapia richiederà in ogni caso un sacco di tempo. Auguriamoci in primo luogo che il conflitto ucraino non faccia i due passi verso la catastrofe che in prospettiva terrorizzano il mondo: l’allargamento fino alle dimensioni di una terza guerra mondiale, l’impiego delle armi nucleari.

Comunque vadano le cose è un fatto che il 2022 si è meritatamente guadagnato il titolo di annus horribilis. Con questa locuzione si usano designare le date a torto o a ragione considerate le peggiori della storia. A quanto pare fu un documento della chiesa anglicana a usarla per la prima volta definendo in questo modo il 1870, perché fu l’anno in cui il papa Pio IX proclamò il dogma della propria infallibilità. A riproporre il termine fu la regina Elisabetta II, che si riferiva al 1992. Che cosa era accaduto quell’anno? Divorzi a catena nella royal family e come se non bastasse un disastroso incendio che devastò il castello di Windsor, la dimora prediletta da sua maestà.

Le fiamme che avvolsero il castello inglese riportano alla memoria il great fire che nella prima settimana di settembre del 1666 distrusse buona parte di Londra, che allora era quasi completamente una distesa di case di legno. L’incendio colpì la metropoli già stremata da un’epidemia di peste che uccise un quinto della popolazione. Annus horribilis il 1666? Niente affatto, almeno non nella visione del poeta John Dryden, che al contrario intitolò Annus mirabilis il poema storico che dedicò a quegli eventi.

Questo richiamo offre uno spunto di consolazione a noi che salutiamo questo tremendo 2022 guardando ansiosi a ciò che potrà accadere nel 2023. Infatti, perché mirabilis l’anno della peste e del grande incendio di Londra? Perché il poeta, dando prova del caratteristico pragmatismo britannico, ne seppe cogliere gli aspetti positivi. Cioè il fatto che la vecchia Inghilterra era riuscita a sopravvivere a quelle due grandi sfide e nello stesso anno era uscita vittoriosa dalla guerra anglo-olandese per la supremazia sui mari. Infine, non è forse vero che proprio il great fire, facendo strage dei topi portatori della peste, pose fine all’epidemia?

Non è affatto facile imitare Dryden e cogliere bagliori di ottimismo fra le cronache del 2022, eppure quel precedente sembra rendere l’impresa meno assurda di come appare a prima vista. Ma non certo fino al punto da poter definire mirabilis l’annata appena trascorsa. Perfino la grande festa del calcio celebrata nel Qatar è stata offuscata da alcune circostanze che si vorrebbero dimenticare, se mai fosse possibile. Per cominciare le migliaia di vittime che funestarono la costruzione delle infrastrutture destinate all’evento sportivo. Il piano era contrassegnato da un faraonico sfarzo ma anche dalla drammatica carenza delle più ovvie misure di protezione. Per questo sono morti tanti lavoratori provenienti dal Bangladesh, dal Pakistan, dalle Filippine, insomma dal mondo tormentato delle povertà.

Un’altra circostanza che ha steso una nube sul campionato mondiale di calcio è stata la rivelazione, giunta proprio nei giorni conclusivi del torneo, della inestricabile rete di corruzione che lega Doha e Bruxelles. Una montagna di dollari provenienti dalle ricchezze petrolifere è stata usata per comperare consensi fra le istituzioni dell’Unione europea e anche altrove, allo scopo non solo di curare l’immagine internazionale dell’emirato o per conseguire vantaggi di carattere politico ed economico, ma anche di influenzare la scelta del Paese cui affidare l’evento calcistico. Non c’è dubbio, questo 2022 è stato proprio un annus horribilis. Resta l’auspicio che il 2023, anche se molto difficilmente sarà mirabilis, possa almeno permetterci di immaginare una prospettiva di pace, lealtà e ragionevolezza.