«Una cultura imprenditoriale non la si crea per decreto»

Siegfried Alberton, coordinatore del Tavolo, professore SUPSI Responsabile Centro competenze inno3-DEASS, si dice soddisfatto dei risultati raggiunti.
Considerata la composizione eterogenea del gruppo di lavoro e gli interessi, logicamente differenziati, dei suoi membri, ritengo che quanto raggiunto rappresenti un traguardo importante. Lo spirito che è regnato durante i lavori è stato molto costruttivo e l’impegno profuso da tutti i partecipanti encomiabile. Da non dimenticare l’importante successo, sia in termini di partecipazione – anche di importanti personalità dell’Amministrazione federale, ma non solo – che in termini di riflessioni prodotte, avuto dalle tre giornate di approfondimento organizzate appositamente sui temi della fiscalità e della competitività, dell’innovazione e dello sviluppo regionale e, infine, del lavoro e della formazione.

Non mancano i pareri critici. Angelo Rossi ha scritto che si tratta più di riflessioni che di soluzioni.
L’obiettivo dichiarato del tavolo consisteva nell’identificazione di alcuni assi strategici e di misure concrete per renderli operativi. Ne sono uscite cinque aree tematiche e una trentina di misure, in parte già operative, in parte ancora da sviluppare. Direi che si tratta di qualcosa di più che solo riflessioni che, ovviamente, non sono mancate, soprattutto nelle fasi iniziali dove il gruppo si è chinato anche sui risultati degli studi prodotti negli ultimi decenni sull’economia cantonale. 

L’imprenditrice Fides Baldesberger critica la capacità del Ticino di fare impresa. Lei ci crede?
Bisogna essere realisti e rendersi conto di quanto è realmente e oggettivamente raggiungibile nel presente e nel futuro. Una cultura imprenditoriale non la si crea per decreto. Necessita di tempi lunghi e di un impegno costante su più fronti, compreso quello dell’educazione e della formazione, professionale e universitaria. La cultura del lavoro dipendente sta evolvendo, per forza di cose a suon di mutamenti economici, tecnologici e del mondo del lavoro, in una cultura sempre più votata anche al lavoro indipendente, per scelta o per necessità. 

Non è così chiaro cosa e quanto debba fare lo Stato e quanto i privati.
La concretizzazione di molte misure e, di conseguenza, delle cinque aree tematiche in opportunità di sviluppo non può prescindere da un lavoro partecipativo e condiviso dalle diverse componenti della società civile. Ognuno – individui, società, imprese, Stato, enti di ricerca e istituti di formazione, sindacati, associazioni imprenditoriali, ecc. – può e deve giocare il proprio ruolo attivamente. Il centro di competenze sulle tecnologie digitali, per esempio, potrà nascere, svilupparsi e, quindi, fornire servizi tecnologici e gestionali solo grazie a forme di partenariato pubblico e privato, dove imprese (e associazioni imprenditoriali), mondo della formazione, della ricerca e dell’innovazione, mondo finanziario e Stato giocano di concerto all’interno di un sistema regionale dell’innovazione coerente e coeso. 

Come vede i tempi di realizzazione dei progetti indicati?
Difficile dire. È importante sottolineare come nel frattempo alcuni importanti progetti siano già partiti ed altri partiranno presto. Ci riferiamo per esempio al centro competenze sulle tecnologie digitali (in discussione) nell’ambito dell’area tematica Ticino digitale e il sostegno alle start up nell’ambito dell’area tematica Ticino imprenditoriale attraverso misure quali ad esempio l’accesso coordinato ai vari servizi dedicati alle start-up, un nuovo acceleratore cantonale, incentivi per coaching CTI, la defiscalizzazione di investimenti privati nelle start-up, ed altre ancora.


Dal dire al fare

Il «Tavolo di lavoro sull’economia ticinese» ha concluso i lavori e presenta la sua visione sullo sviluppo futuro dell’economia cantonale identificando alcuni ambiti di intervento
/ 02.05.2017
di Fabio Dozio

Studi, analisi, programmi, ricerche, libri bianchi, riflessioni, rapporti, saggi. In Ticino sono disponibili montagne di carta che affrontano, da punti di vista diversi, il tema della politica di sviluppo economico e delineano le misure di intervento. La teoria non manca, l’azione, invece, è più difficile da mettere a fuoco.

Il padre di tutti gli studi è il rapporto presentato nel luglio del 1964 dal professor Francesco Kneschaurek, dal titolo: Stato e sviluppo dell’economia ticinese: analisi e prospettive. Conteneva proposte lungimiranti, dalla programmazione economica allo sviluppo del sistema educativo, dal promovimento dell’industria al piano direttore che avrebbe dovuto salvaguardare il territorio. Alcuni di questi progetti sono stati realizzati in questi cinquant’anni, altri no. 

mento delle finanze e dell’economia ha pubblicato i risultati del «Tavolo di lavoro sull’economia ticinese». La premessa è chiara: «Il Cantone Ticino necessita di condivisione tra le sue componenti e di convergenza attorno a una visione futura comune: una sorta di “patto di paese” fondato sul dialogo, la coesione, la pace e il partenariato sociale». 

Attorno al Tavolo si sono seduti i capigruppo in Gran Consiglio, i rappresentanti dell’economia e del sindacato, tre professori dell’USI. Mancavano solo i contadini.

Il Tavolo, coordinato da Sigfried Alberton, professore alla SUPSI, fa riferimento ad alcuni studi recenti: L’analisi dei settori ticinesi, del 2014, curato da BAKBASEL, Ticino Futuro dei professori Maggi e Mini dell’Istituto di ricerche economiche, e soprattutto Oltre metà del guado curato nel 2015 dal professor Baranzini. Fra le proposte contenute in quest’ultimo lavoro figurava appunto «l’istituzione di una commissione governativa per l’economia, composta di personalità dell’imprenditoria, della ricerca, dell’insegnamento universitario, del sindacato, della comunicazione, ma svincolate da obblighi formali di rappresentanza e di difesa di interessi particolari». (vedi Da rimorchio a locomotiva, «Azione» 23.11.15.) 

Già nel 2012 il deputato Sergio Morisoli, di Area liberale, invitava a realizzare un «patto economico di Paese» chiedendo al Governo di «aprire formalmente un cantiere strutturato, organizzato e operativo per il rilancio economico», ammettendo – cosa inusuale per un liberista – «che l’economia da sola non basta e lo Stato da solo non può farcela».

Il recente rapporto del «Tavolo di lavoro», prima di mettere a punto le aree tematiche su cui si propone di intervenire, cita alcuni dati significativi per conoscere lo stato dell’economia cantonale. Le aziende sono complessivamente 37’523: il 3% nel settore agricolo, il 15% nell’industria e ben l’82% nei servizi. I posti di lavoro sono 184’057, quasi tre quarti dei quali nei servizi. Nella graduatoria svizzera, per quanto riguarda il potenziale di innovazione, il Ticino si situa al nono posto. Il salario mediano lordo è di 5485 franchi mensili, mille franchi in meno rispetto al dato nazionale. Importiamo più di quanto esportiamo e merita di accennare al fatto che ben il 58,2% delle importazioni proviene dall’Italia. Anche il Ticino è chiamato a fare i conti con la «quarta rivoluzione industriale» e in particolare con la digitalizzazione. Per cogliere le opportunità di questa «sfida epocale» vengono individuate cinque aree tematiche e una serie di misure.

1. Ticino imprenditoriale. L’obiettivo è di costruire un’economia altamente competitiva e imprenditoriale. Sostenere e assistere le start up, creando strumenti per il loro finanziamento e promuovere le nuove idee con incentivi fiscali. Favorire la diffusione di una cultura imprenditoriale in tutti gli ordini scolastici, stimolando la formazione continua e garantendo la riqualifica professionale ai lavoratori penalizzati dall’evoluzione tecnologica. 

2. Ticino competitivo. Affiancare le aziende favorendo l’aumento della produttività e la creazione di posti di lavoro qualificati. Creare un unico portale informativo a sostegno dell’imprenditorialità, premiare coloro che intendono trasformare e riorientare l’attività aziendale. Rafforzare i legami nella rete dell’innovazione a livello nazionale («Innosuisse»). Favorire e promuovere gli incontri fra politica, imprese e popolazione per sensibilizzare su tutti gli aspetti economici. Migliorare la comunicazione per sostenere la piazza finanziaria e, infine, introdurre riforme fiscali per dotare il Cantone di un quadro legislativo moderno sia per le persone giuridiche, sia per le persone fisiche.

3. Ticino interconnesso. L’apertura di Alptransit, così come la futura galleria del Monte Ceneri, permettono una maggiore interconnessione tra i poli urbani cantonali e consolida la «Città Ticino». Inoltre va sviluppato e rafforzato il legame con il resto della Svizzera e in particolare con l’area zurighese.

4. Ticino digitale. Per affrontare la sfida della rivoluzione digitale va creato un centro di competenza specifico e vanno definiti nuovi percorsi formativi orientati alle nuove tecnologie. Avviare la collaborazione con «Digital Switzerland» che ha l’obiettivo di rendere la Svizzera uno dei principali poli dell’innovazione digitale.

5. Ticino sostenibile. Su questo tema il rapporto è lapidario: «Il Ticino è attento ai principi dello sviluppo sostenibile e della responsabilità sociale delle imprese». Ci sono proposte concrete, come quella di introdurre sperimentalmente il telelavoro nell’Amministrazione pubblica o procedere con le riversioni nel settore idroelettrico o, ancora, rivitalizzare gli stabili dismessi. Ma soprattutto, si sottolinea l’importanza del partenariato sociale per far fronte ai cambiamenti nel mondo del lavoro.

Come valutare il rapporto?

Un bel catalogo di buone intenzioni, che devono solo essere messe in pratica. Alcuni strumenti sono già disponibili, come la Legge cantonale sull’innovazione, o la Fondazione Agire, che sta puntando sullo sviluppo e il sostegno delle start up, le giovani aziende innovative. Si insiste molto sull’innovazione e su un’imprenditorialità coraggiosa, aspetti che non sempre sembrano metabolizzati dal sistema economico ticinese. E dal rapporto pubblicato, che è una concisa sintesi del lavoro del gruppo, non è facile desumere come debbano venir ripartiti i compiti tra pubblico e privato. Sul ruolo dello Stato va detto che il Dipartimento dell’economia e delle finanze si sta muovendo, sui compiti dell’economia privata rimangono aperti molti interrogativi.

Un’imprenditrice di successo, pluripremiata a livello internazionale, Fides Baldesberger, titolare della Outils Rubis di Stabio, azienda specializzata nella produzione di strumenti di acciaio di altissima precisione, non è stata particolarmente tenera nel descrivere cosa significa «fare impresa» in Ticino: «Il Ticino purtroppo non ha una tradizione industriale né è terra di imprenditori. – ha dichiarato al «Corriere del Ticino» – Ci sono troppe leggi e condizioni sempre più difficili, compreso il franco forte, per fare impresa. Manca una cultura imprenditoriale. E anche quella del rischio. Si dice che la mente umana funzioni come un paracadute, cioè quando è aperto. E il paracadute del Ticino è chiuso».

L’economista Angelo Rossi – nella sua rubrica su questo giornale (30.1.2017) – ha sottolineato che il risultato del Tavolo offre «più riflessioni che soluzioni». Ritiene che si sia valutata più la situazione immediata che la prospettiva di lungo termine. «Un rapporto finale – scrive Rossi – che si limita a elencare una serie di misure assomiglia di più al risultato di un brainstorming con il quale avviare la discussione, che alla valutazione ponderata sul da farsi elaborata da una commissione che ha lavorato per più di un anno».

E che dire al capitolo della sostenibilità? Partenariato sociale e responsabilità delle imprese sono, per usare un eufemismo, sotto pressione in Ticino. Un Cantone in cui le condizioni del mercato del lavoro sono confrontate con abusi di ogni genere, dumping salariale, falsi contratti, precariato. In queste condizioni il concetto di «patto di Paese» suona retorico. Gli interessi dei sindacati, del mondo imprenditoriale e delle grandi banche, tutti rappresentati al Tavolo, riescono a trovare denominatori comuni? In modo che – come dice il rapporto – si realizzi «una crescita economica equilibrata, in grado anche di assicurare un’occupazione di qualità»?