Dal credito al discredito è un attimo

Le disavventure bancarie e la reputazione della Svizzera come Paese stabile, onesto e fondato sul buon governo
/ 15.05.2023
di Orazio Martinetti

Una banca, si è detto più volte in questi mesi a margine dell’«affaire» Credito Svizzero (CS), deve ispirare fiducia. Se questa viene a mancare, la caduta è inevitabile. La fiducia deriva da molti fattori, ma principalmente dalla professionalità e dall’etica degli amministratori, nel caso specifico dell’élite dei banchieri. Solo queste virtù permettono di incrementare e consolidare la reputazione presso la clientela nazionale e internazionale. Ora si ripone la speranza di risollevare le sorti del sistema bancario elvetico nell’«elvetizzare» la dirigenza dell’UBS, nella persona di Sergio Ermotti, richiamato in servizio attivo dopo alcuni anni di «quiescenza». Si intende in tal modo ripristinare l’equazione che nel passato ha attirato nel paese i capitali di mezzo mondo, più sporchi che puliti, ossia «banca svizzera uguale onestà, discrezione, riservatezza». Qualche decennio fa c’era anche il «segreto», poi scardinato dal fisco americano. Ora si punta sulla qualità dei servizi, sebbene non manchino le zone d’ombra (una di queste riguarda il reperimento dell’ingente peculio degli oligarchi russi).

Rabbia e indignazione hanno accompagnato la fine del CS, istituto fondato da Alfred Escher con il nome di Schweizerische Kreditanstalt nel 1856. Ma nel 2008 anche l’istituto che ora lo sta assorbendo, ossia l’UBS, aveva rischiato di fare la stessa fine: fu salvata in punto di morte dalla Banca Nazionale e dalla Confederazione. Allora si disse che un episodio simile non avrebbe dovuto più ripetersi, pena l’infarto dell’intera piazza finanziaria elvetica. E invece…

Un’ascesa incontrastata

Per la verità, già in quel frangente non erano mancati i segnali d’allarme, legati ai movimenti speculativi della finanza internazionale (su quanto accaduto in quegli anni la bibliografia è imponente). Purtroppo gran parte dell’opinione pubblica rimase all’oscuro di quanto stava succedendo dietro le scintillanti insegne dei principali istituti. Tra i pochi ad accorgersene vi fu Peter Hablützel, ex collaboratore del Consigliere federale Willi Ritschard, il quale nel 2010 pubblicò un saggio dal titolo emblematico, che rovesciava la prospettiva comunemente adottata: non La Svizzera e il suo sistema bancario, ma Le banche e la loro Svizzera (Die Banken und ihre Schweiz, 2010). La tesi era che fossero i grandi istituti e non la politica a guidare le danze: un processo che aveva preso avvio fin dagli anni ’70 del Novecento, con un’accelerazione nei primi anni ’90 in concomitanza con l’impennata della globalizzazione. In tal modo i banchieri erano anche riusciti a guadagnarsi il sostegno attivo della Svizzera ufficiale nell’attuare i loro piani di espansione. Poterono liberamente agire anche perché dai partiti di maggioranza non giunse nessuna obiezione, «rimasero praticamente immuni da ogni critica che provenisse dall’interno o dall’esterno, elevando il segreto bancario a mito nazionale». È compito degli specialisti e delle autorità preposte alla vigilanza (FINMA) far luce sulle cause del dissesto del CS e del discredito che ne è derivato. Ma non ci si potrà accontentare delle spiegazioni degli esperti, perché le conseguenze non svaniranno tanto presto. Riguardano infatti l’immagine del Paese e la sua capacità di tener testa ai poteri che fino a ieri dettavano legge dentro e fuori il Parlamento.

Scandali e boicottaggi

Viviamo, come si sa, nell’epoca della smemoratezza, o della memoria intermittente. Ma dimenticare gli scandali del passato (in questo caso assai recente) non fa bene alla vita democratica. Averne coscienza eviterebbe di imboccare strade sbagliate (che spesso non sono altro che speculazioni e operazioni truffaldine sapientemente organizzate). Osservando le crisi che si sono succedute dagli anni ’90 in poi, notiamo che le prime maturarono in un contesto quasi esclusivamente nazionale. Furono «crampi» interni, come le dimissioni forzate di Elisabeth Kopp nel dicembre del 1988, alle quali seguì la scoperta della schedatura di circa 900mila potenziali nemici della Confederazione. Quest’improvviso calo della tensione patriottica alimentò nei Cantoni della Svizzera centrale l’ostilità nei confronti dei progetti per celebrare i 700 anni della Confederazione (CH 91), poi affossati nelle urne. Come si ricorderà, la barca dell’«orgoglio patrio» fu raddrizzata dalla tenda itinerante ideata da Mario Botta ed eretta per la prima volta sulla rocca del Castelgrande a Bellinzona. Quel clima di malumore durò a lungo, specie tra l’intellighenzia critica del Paese, i Kulturschaffende, che invitarono a «boicottare» le manifestazioni («700 Jahre sind genug!»). Frutto di questa atmosfera di sfiducia nei confronti delle istituzioni fu anche la sorprendente percentuale conseguita dai promotori dell’iniziativa popolare per l’abolizione dell’esercito nel 1989 (35,6% a favore).

Nella casistica delle convulsioni interne appartiene anche l’ultima esposizione nazionale finora organizzata, Expo.02: la sesta di una serie iniziata nel 1883, all’indomani dell’apertura della prima trasversale ferroviaria alpina. Una expo per certi versi anomala, post-moderna ed effimera, decentrata sui laghi di Neuchâtel, Bienne e Morat, apprezzata dalla critica e dal pubblico per l’arditezza delle architetture, meno dagli amministratori che al termine si ritrovarono tra le mani un disavanzo massiccio, da scaricare sui bilanci pubblici.

Distacco mentale

Molto più gravi furono le crisi derivate dal rapporto con l’esterno. Probabilmente il punto di svolta è da collocare nella votazione del 6 dicembre del 1992 sull’adesione allo Spazio Economico Europeo. L’esito certificava una spaccatura profonda tra la Svizzera tedesca e la Romandia, ma anche l’emergere di un progressivo distacco «mentale» tra le grandi città e le regioni rurali. Una virata isolazionistica – già affiorata nella votazione sull’adesione all’ONU nel 1986 – propiziata dai movimenti populisti, in primo luogo dall’UDC di Blocher e dalla Lega dei ticinesi, che proprio in quell’occasione ritrovarono slancio e ossigeno per accrescere i loro consensi. Determinate in larga parte anche dall’esterno furono le crisi successive. E qui occorre tener presenti i mutamenti intervenuti nel quadro generale, sia nei rapporti internazionali (riunificazione della Germania, collasso dell’Unione Sovietica), sia nell’ambito economico e tecnologico, con la globalizzazione e l’affermazione dei nuovi media.

Un’enorme cisti bancaria

Il primo inciampo della nuova fase fu l’esortazione a ripensare il ruolo della Svizzera durante la Seconda guerra mondiale, dopo che gli Stati Uniti e il Congresso ebraico mondiale avevano risollevato la questione degli averi rimasti sepolti nei forzieri svizzeri. Questa denuncia costrinse le autorità ad avviare un programma di ricerca storica sui rapporti tra la Svizzera e il nazionalsocialismo (la Commissione Bergier) che si propose di illuminare le zone d’ombra di quel periodo. Nel 2001 si produsse il «grounding» della Swissair, anch’esso provocato da una interrelazione di fattori, interni ed esterni: da un lato da strategie errate da parte della compagnia di bandiera, dall’altra da un’accresciuta concorrenza nel traffico aereo e infine dal blocco intervenuto dopo l’attentato alle Torri Gemelle di New York (11 settembre 2001).

Pienamente da inserire in un contesto internazionale furono anche i rischi corsi dall’Unione di Banche Svizzere dopo aver incorporato nel 1998 la Società di Banca Svizzera. Furono in particolare le operazioni compiute sulla piazza americana a condurre l’istituto sull’orlo del baratro, ormai sempre meno «svizzero» sia nella sua cultura bancaria, sia nei suoi organigrammi. Anche in quest’occasione gli Stati Uniti non concedettero sconti, esigendo la soppressione del segreto bancario e la trasmissione dei dati riguardanti i titolari dei conti cifrati.

Il tracollo

Con il tracollo del CS la storia si è in qualche modo ripetuta. Possiamo dedurre che la reputazione della Svizzera come paese politicamente e socialmente stabile, onesto, fondato sul buon governo, ne esca fortemente ammaccata? La risposta dipende dalle implicazioni che avrà sui piccoli risparmiatori e sui livelli occupazionali. I risultati non si vedranno subito. C’è chi teme il peggio soprattutto sul versante degli impieghi, perché ogni fusione porta con sé un certo numero di licenziamenti. Ma c’è anche chi afferma che dopo la tormenta tornerà di nuovo il bel tempo, perché i vertici avranno imparato dagli errori compiuti, aggiungendo che oltre confine le condizioni non sono certo migliori, e non soltanto nel settore del credito. Bisognerà poi vedere come un piccolo Paese saprà gestire la crescita nel suo ventre di una cisti bancaria mai vista prima.