Dal bio al vegano: fattibile?

Gli Svizzeri sono i maggiori consumatori di prodotti bio. Ma il passaggio a un’agricoltura vegana comporterebbe un totale cambiamento nei modi di produrre e di consumare
/ 24.04.2017
di Ignazio Bonoli

Una recente statistica dice che gli Svizzeri sono i primi al mondo nell’acquisto di prodotti biologici. La spesa media, in questo campo, è di 299 franchi a testa. Si tratta, infatti, di un mercato in constante crescita. Molte aziende agricole si sono adattate alle regole del «bio» e il numero di consumatori è significativamente in aumento. Presso Bio Suisse si sono registrate lo scorso anno 386 aziende, cifra che non era più stata raggiunta dagli anni Novanta. In totale, le aziende «Gemma» (il cui logo è appunto una gemma stilizzata) in Svizzera sono 6144. Il fatturato del settore ha già superato i 2,505 miliardi di franchi. Ma, fra i consumatori, oltre ai prodotti bio, vanno prendendo piede forme nuove di consumo, ispirate al vegetarianismo o al veganismo. La tendenza è tale per cui l’obiettivo diventa quello di escludere dal consumo – diretto o indiretto – i prodotti animali: dall’esclusione totale della carne nell’alimentazione umana, ma anche nell’alimentazione animale e perfino nell’uso del concime di origine animale per le produzioni vegetali. La «NZZ» ha dedicato il supplemento mensile «Folio» a questo tema. 

Citando l’esempio di una fattoria dell’Entlebuch, che ha completamente eliminato gli animali, compreso il loro concime, l’autore dell’articolo conclusivo si chiede se ciò possa essere possibile a livello mondiale. Il convegno vegetariano del 2004 ha risposto che la coltura bio-vegana è il futuro, meglio ancora se è al cento per cento. Se dovessimo abbandonare in Svizzera l’allevamento di animali, vedremmo lasciare il paese una processione di 1,6 milioni di bovini, altrettanti maiali, 340’000 pecore, 75’000 capre, 11 milioni di polli, 100’000 conigli, un migliaio di struzzi e mezzo migliaio di Yaks. In pratica, due animali da reddito per abitante. E questo senza contare gli animali da compagnia, e quelli selvatici, costituiti da 120’000 caprioli, 94’000 camosci, 35’000 cervi e le migliaia di cinghiali, volpi, tassi, martore, lepri e marmotte, senza contare gli innumerevoli pesci.

La completa rinuncia in Svizzera al consumo di carne significherebbe la scomparsa di 53 kg di carne, di 174 uova e di oltre 400 litri di latte per ogni abitante e la loro sostituzione con prodotti vegetali. Esperti agronomici hanno calcolato che il passaggio a un consumo unicamente vegano provocherebbe una riduzione della superficie coltivata dagli attuali 2353 mq (per consumatore all’anno) a 732 mq. Non è un paradosso, perché l’allevamento di animali da reddito ha bisogno di una superficie coltivata tre volte superiore a quella necessaria per la produzione dei sostituti vegetali della carne.

Il grosso divario è dato dal fatto che gli animali trasformano in energia soltanto un terzo delle calorie che consumano. In altri termini, per una caloria fornita dalla carne di un manzo, sono necessarie 10 calorie vegetali, per un maiale 5 calorie e per una gallina 3 calorie. Accanto ad altre riflessioni di tipo non economico, questo è certamente l’argomento principe dei vegani: per ottenere lo stesso contenuto di energia nei consumi, basta una superficie coltivata molto inferiore. Per esempio, per una caloria dal pane la superficie necessaria è di 15 volte inferiore a quella di una caloria dalla carne.

Ma quello che succede oggi e non solo in Svizzera è che si coltivano sempre più superfici di terreno per ottenere mangimi per animali (o altro). Di conseguenza, il passaggio ad una agricoltura vegana ridurrebbe di molto la superficie necessaria. In Svizzera si calcola che ne basterebbe un terzo. Il problema si complica però per il fatto che in Svizzera un decimo della superficie è occupata da pascoli alpini. Qui gli animali hanno una funzione importante: quella di fermare l’avanzata del bosco. Il fenomeno è del resto già in atto: negli ultimi 150 anni in Svizzera, il bosco è avanzato nelle Alpi tra il 30 e il 50%. Senza animali sarebbe impossibile fermare questa evoluzione.

Che comunque sarebbe favorevole all’ambiente. Ultimamente si è, infatti, scoperto che il gas emesso dal bestiame bovino produce un effetto serra almeno pari a quello delle automobili. È difficile calcolare quale effetto avrebbe il passaggio a un mondo senza carne, ma in questo caso almeno ci sarebbe una diminuzione di gas metano del 14,5 per cento. Riducendo il problema all’osso possiamo constatare che ogni prodotto consuma una porzione di terreno, che deve essere rigenerata. Gli animali forniscono una gran parte di concime rigeneratore, che dovrebbe essere sostituito da terreno coltivato per questo scopo soltanto. Qui l’aspetto biologico si distanzia da quello vegano, che spesso è una somma di etica animale, di ecologia, ma anche di garanzia del nutrimento della specie umana. Questi scopi possono talvolta contraddirsi. C’è anche chi ritiene che per sopperire al concime animale, grosso apportatore di ossigeno al terreno, si debba tornare anche a riutilizzare concime umano. Si sa già però che si può produrre ossigeno da laboratorio, trasformandolo in concime. Ma ci vorrebbero quantitativi enormi di energia.

La bio-coltura fa oggi grandi progressi ed è senz’altro meritevole. Del resto in molti casi significa un ritorno al passato. Andare oltre col rischio di perdere di vista lo scopo principale – quello di nutrire l’uomo – potrebbe creare molto scompiglio.