Da Weinstein a Westminster

Scandalo sessuale –Il dossier segreto che fa tremare Londra
/ 06.11.2017
di Cristina Marconi

È un palazzo vecchio, pieno di corridoi e di anfratti, dove la sera si fa spesso tardi e dove ci sono ben otto bar dove bere qualcosa, Westminster. Un posto di cui nessuno, neppure chi grida alla caccia alle streghe in questi giorni di denunce tardive e rivelazioni più o meno scandalose, osa negare che sia teatro di comportamenti discutibili da parte di chi ha potere nei confronti di chi è giovane e inesperto come i ricercatori arrivati freschi freschi dalle università o di chi lavora in posizioni subordinate come gli assistenti parlamentari o le segretarie. E non è una questione di mani sulle ginocchia, un’accusa che «sminuisce le vittime vere di molestie reali» secondo Julia Hartley-Brewer, la giornalista che nel 2002 promise di dare un pugno all’uomo che le sedeva accanto se quest’ultimo non avesse smesso di allungare le mani.

L’incidente che ha portato alle dimissioni del ministro della Difesa Michael Fallon, così come quello in cui un sottosegretario al Commercio estero Mark Garnier ha chiesto alla sua segretaria di comprare due vibratori, sembra essere stato un tentativo fallito di attirare l’attenzione su casi minori per nascondere un malcostume ben più grave e diffuso, che rischia di far esplodere Westminster come una santabarbara in un momento di crisi profonda dovuta ad una Brexit che procede a singhiozzo. La premier Theresa May, che ogni settimana viene aggiornata sulle scorribande dei suoi colleghi di partito, ha cercato di tamponare la situazione promettendo innanzi tutto un sistema di denuncia gestito in maniera indipendente, che risolva uno dei problemi più frequenti tra quelli raccontati da chi ha subito molestie: l’esortazione a tacere per non mettere a repentaglio la propria carriera. Un’attivista laburista, Bex Bailey, ha avuto il coraggio di raccontare di essere stata violentata da un compagno di partito e di aver subito pressioni per non denunciare lo stupro, a riprova che tutti i partiti hanno i loro problemi.

Ma in questi giorni a tenere il parlamento con il fiato sospeso è stata soprattutto una lista di quaranta di deputati conservatori, contenente anche nomi di primissimo piano, con i loro rispettivi «vizi», alcuni più gravi come l’essere propenso ad allungare le mani e altri assolutamente no come l’avere una relazione con qualcuno del partito. Perché un accostamento così futile e ambiguo tra comportamenti che non hanno nulla in comune tra di loro? Alcuni osservatori pensano ad un tentativo manovrato dall’alto di procedere ad un’esplosione controllata dello scandalo, per vedere se la gente si sarebbe accontentata di qualche scusa pubblica su un ginocchio sfiorato.

Ma dopo la vicenda di Harvey Weinstein il clima è cambiato, così come è cambiato l’atteggiamento di molte donne di potere davanti al clima sessista con cui devono comunque vedersela: nella BBC molte giornaliste stanno protestando per gli stipendi nettamente più bassi di quelli dei loro colleghi e una voce storica di Radio 4 come Sarah Montague ha lasciato il programma di punta Today per protestare contro il fatto che lei prende 150mila sterline all’anno e il suo collega John Humphrys, che certo è molto senior, 650mila. L’aria da una parte è cambiata, dall’altra i regolamenti di conti all’interno dei Tories continuano a tenere in ostaggio la politica. E ora il nome nell’occhio del ciclone è addirittura quello del vice della May, quel Damian Green venuto a sanare una situazione che all’indomani delle catastrofiche elezioni di giugno, con un governo senza maggioranza, appariva disperata.

Le cannonate, come spesso negli ultimi tempi, sono arrivate dalla stampa conservatrice, e quindi idealmente amica: il sessantunenne Green è stato accusato da una giornalista di 31 anni, Kate Maltby, di aver insinuato la sua mano sul suo ginocchio nel 2015 e di averle inviato messaggi allusivi nel 2016, facendola sentire «imbarazzata e professionalmente compromessa». Inutile negare, inutile dire che il messaggio era stato inviato in «spirito di amicizia»: con un’asticella posta così «al di sotto del livello penale», come promesso dalla leader della Camera Andrea Leadsom, tutto vale e nessuno può sentirsi al sicuro.

Qualcuno si è ribellato, anche tra le presunte «vittime» che non hanno intenzione di passare come tali o che non si riconoscono nei resoconti della stampa, oltre che tra i deputati, dove qualcuno minaccia azioni legali contro una lista piena di accuse «gravi e senza sostanza». Che però è piena di nomi importanti accusati di cose piccole e di pesci piccoli il cui discutibile passato è stato misteriosamente dimenticato, come quel deputato indagato per lo stupro e l’aggressione di sette uomini. È stato scagionato dopo che tutte le accuse sono state ritirare, ma in tempi di mani sulle ginocchia il senso delle proporzioni appare incerto. Tanto che non tutti sono convinti che questo polverone serva a fare luce su quello che accade in quei vecchi corridoi.