Da guerrigliero a presidente

Colombia - Svolta storica nel paese sudamericano, Gustavo Petro conquista la presidenza, dopo un passato nell’M19 e di sindaco di Bogotà
/ 27.06.2022
di Angela Nocioni

«Saranno liberati immediatamente tutti gli arrestati durante le proteste degli ultimi due anni in Colombia. Immagino che avremo un’opposizione molto dura, ma noi la combatteremo con la politica. Non ci sarà più criminalizzazione della protesta politica d’ora in poi, né persecuzione giudiziaria degli oppositori». Con queste parole ha esordito l’ex guerrigliero Gustavo Petro, 62 anni, eletto presidente della repubblica colombiana al ballottaggio del 19 giugno. Sul palco la sera della vittoria era raggiante, incredulo e quasi intimidito da quel 50,4% di voti con cui ha sconfitto Rodolfo Hernández, fermo al 47,3%, imprenditore populista di estrema destra. L’investitura del nuovo governo è fissata per il 7 agosto. È la prima volta nella storia colombiana che le elezioni vengono vinte da un candidato proveniente da sinistra anziché da destra. E da quale sinistra!

Petro viene dal M19, vecchio gruppo armato scioltosi nel 1990. Niente a che vedere con la narco-guerriglia delle Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc) e dell’Esercito di liberazione nazionale (Eln). L’M19 si sciolse davvero e da allora partecipa alla vita politica mostrando d’aver abbandonato l’idea di «partito armato», ma la matrice ideologica è restata marxisteggiante e quello è il pedigree politico che Petro rivendica. Ed è con la promessa di una riforma sociale fatta nell’interesse degli «esclusi» e dei «nessuno» – così ha definito in campagna elettorale il suo ceto di riferimento – che ha vinto le presidenziali.

Petro entrò in clandestinità diciassettenne. Nome di battaglia «Aureliano Buendìa», in onore al personaggio creato da Gabriel Garcia Marquez in Cent’anni di solitudine. («Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendìa si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio in cui suo padre lo aveva condotto a conoscere il ghiaccio», ricordate? A Petro piaceva quel Buendìa lì e ne prese il nome, in un Paese in cui politica e letteratura sono intrecciate in una matassa culturale impossibile da dipanare).

Petro è stato a lungo senatore, dal 2006 al 2009 dal 2018 al 2022, e sindaco di Bogotà dal 2012 al 2015. Altre due volte, nel 2010 e nel 2018, ha corso per la presidenza della Repubblica senza farcela. Per vincere gli serviva una spinta sociale che fino ad ora non aveva mai trovato. Quella forza è arrivata, potente e gratuita, con i riot di strada di due anni fa contro politiche economiche che scaricavano costi sociali sui più poveri e sui giovani. Un fenomeno simile, con le ovvie grandi differenze di contesto, a quello che ha portato lo scorso dicembre il trentacinquenne Gabriel Boric alla presidenza del Cile. Questa è la tendenza continentale che conferma l’America latina soggetta a grandi ondate politiche, dai Caraibi alla Patagonia, con flussi e reflussi che con cadenza decennale cambiano i connotati all’intero continente. Dopo anni di conservatorismo di destra, arrivato a soppiantare la fine del chavismo e la crisi drammatica del Partito dei lavoratori in Brasile travolto per via giudiziaria, ecco che torna una sinistra ideologica, fortemente populista, con promesse di revanche sociale: Manuel Lopez Obrador in Messico, Anibal Fernandez in Argentina, poi ancora governi populisti di sinistra in Perù, in Bolivia, in Honduras e, sullo sfondo, la cruciale – per gli equilibri continentali – campagna di Lula da Silva che potrebbe tornare a ottobre alla guida del Brasile.

Come ha fatto un ex guerrigliero a vincere le elezioni nella Colombia devastata da oltre mezzo secolo di guerra feroce tra le guerriglie e lo Stato? Petro rappresenta per una gran parte dei colombiani tutto quello che hanno sempre temuto e voluto mantenere lontano dal potere a qualsiasi costo. Tutto quel che il nome di Petro simboleggia in Colombia è la ragione per cui milioni di colombiani hanno per decenni continuato ad affidarsi all’uribismo, ossia al mondo che ruota attorno all’ex presidente Alvaro Uribe (a tutt’oggi l’uomo più potente del Paese), quella enorme area di estrema destra con legami stretti con eserciti informali di paramilitari tuttora saldamente al comando in sterminate aree lontane da Bogotà.

Come ha fatto allora Petro a vincere? Innanzitutto ha portato a votare più di un milione di persone che non votavano da anni o che non avevano votato mai. Ha aumentato la partecipazione al voto. Dalle prime analisi risulta che è cresciuta la percentuale di votanti under 30. E, soprattutto, ha avuto come candidata alla vicepresidenza Francia Marquez, una attivista ecologista nera dalla storia personale e politica che sembra un romanzo d’avventura con la quale il mondo degli afrocolombiani si è identificato. Lei, sulla quale lui era incerto all’inizio, è stata il vero traino. Tanto era chiaro durante la campagna elettorale che la candidatura di una donna nera alla vicepresidenza funzionava come catalizzatore, che l’imprenditore Hernández s’è preso in corsa una candidata vice nera per mostrare di essere machista sì, ma capace di opportuni ravvedimenti. Non gli è bastato.

Il programma elettorale di Petro è fitto di riforme strutturali per le quali gli sarà necessaria una ampia maggioranza parlamentare della quale non dispone. Dice di voler porre fine alla dipendenza della Colombia dalla produzione di petrolio, di voler cambiar insieme al modello produttivo anche la distribuzione della ricchezza in un Paese in cui il 39% dei 51 milioni di abitanti risulta vivere sotto il livello di povertà, l’inflazione supera il 15% e la disoccupazione giovanile il 20%, senza contare che la grande maggioranza degli occupati è sotto occupata e pur lavorando resta povera. C’è un grande interrogativo sui rapporti del nuovo governo colombiano con Washington. Gli Stati Uniti hanno fatto di Bogotà, da almeno trent’anni, il loro alleato fidato e il loro avamposto ai tropici, puntando decisamente sulla destra locale anche estrema. Petro ha già detto che non vede l’ora di incontrare Biden e che intende «lavorare con serenità e grande armonia» con l’amministrazione statunitense.

È stato da parte sua ardito, ma vincente, centrare la campagna sui protagonisti dell’esplosione sociale che tra il 2019 e la fine del 2021 ha incendiato le strade delle principali città colombiane, con decine di morti ed enormi retate nei quartieri poveri. Età media: vent’anni.

I protagonisti sociali di quella stagione di rivolte hanno scommesso su Petro e l’hanno portato al governo contro quelle che in strada a Bogotà chiamano «las elites». Bisognerà vedere ora se e quanto durerà l’incantesimo e, soprattutto, come si comporteranno con il nuovo governo quegli eserciti clandestini (cinquemila, seimila persone armate) che i leader dissidenti delle Farc hanno rimesso insieme nell’ovest della Colombia.