Un uomo di fiducia di Raúl Castro, un fedelissimo, uno che finora ha fatto di tutto per ingraziarsi la famiglia Castro, ma comunque una persona che di cognome non fa Castro.
È tutta qui la piccola e al contempo gigantesca novità della storia politica di Cuba: formalmente è finito il perpetuarsi della dinastia Castro al potere. Conquistato il governo con una leggendaria rivoluzione che trionfò sul regime di Fulgencio Batista nel 1959, per la prima volta i Castro lasciano la presidenza a un non esponente della famiglia.
Miguel Díaz-Canel, ingegnere elettronico di 58 anni, è il nuovo presidente di Cuba: formalmente eletto dall’Assemblea Nazionale cubana, in realtà è stato nominato dopo attento studio dall’ex presidente Raúl Castro, 86 anni, che aveva annunciato il ritiro dalla vita pubblica il giorno dopo la sua nomina per un secondo mandato presidenziale, cinque anni fa.
Raúl Castro non uscirà di scena, terrà ancora la guida del partito comunista, l’unico partito legale a Cuba, fino al 2021. E rimane il capo delle forze armate. Por si a caso, si dice all’Avana. Nel caso in cui Raúl si fosse sbagliato nella nomina, si tiene in mano per sicurezza le due cabine di comando del paese.
Resta il fatto, straordinario per la portata della novità dettata da esigenze anagrafiche, che il potere, finora concentrato in una sola persona, è ora formalmente almeno in parte in mano a un’altra.
Fedelissimo di Raúl, il neo presidente è tenuto sotto osservazione da parecchio tempo da Raúl. Dopo alcuni incarichi amministrativi, nel 2009 fu scelto come ministro dell’Istruzione e tre anni dopo come vicepresidente del Consiglio dei ministri. Ciò dà la misura della disponibilità da lui dimostrata a comportarsi da segretario affidabile di fronte ai Castro, che mai avrebbero tollerato un vicepresidente politicamente autonomo.
Fa parte della generazione post-rivoluzionaria: non era ancora nato quando ci fu la rivoluzione.
Díaz-Canel è stato descritto come uno della vecchia guardia, ma su posizioni molto cautamente aperte rispetto a Fidel e Raúl: si è detto sostenitore dei diritti degli omosessuali e di una maggior accessibilità dei cubani a Internet.
Eppure in un discorso tenuto a una riunione a porte chiuse del Partito comunista, ossia quei discorsi che impegnano di fronte al regime, Díaz-Canel ha promesso di chiudere i media critici con il governo (ce ne sono alcuni, pochissimi, e consultabili solo via internet, fonte di informazione che rimane inaccessibile alla stragrande maggioranza dei cubani a causa dei costi della connessione) e ha definito l’allentamento dell’embargo statunitense su Cuba un tentativo di distruggere la rivoluzione, vecchio cavallo di battaglia dei Castro.
L’impressione è che Díaz-Canel abbia voluto rassicurare le forze armate, che continueranno ad avere in mano le leve economiche di Cuba. Non c’è fonte di valuta pregiata sull’isola che non sia controllata dalle forze armate: turismo, joint ventures, qualsiasi investimento anche minimo in euro o in dollari passa sotto il controllo (e nelle casse) delle forze armate, che sono i veri proprietari dell’isola del sogno rivoluzionario.
Gli osservatori internazionali riflettono: non è chiaro quanto le parole di Díaz-Canel siano state solo dirette a rassicurare la vecchia generazione di rivoluzionari o quanto invece siano state l’espressione effettiva della sua visione politica, dicono. In ogni caso senza la mistica rivoluzionaria dei Castro l’azione di Díaz-Canel sarà giudicata per quel che è, si augura l’«Economist».
Non è escluso che il nuovo presidente possa pianificare una serie di cambiamenti costituzionali per dare cittadinanza formale all’introduzione della possibilità del lavoro autonomo, esistente sull’isola da tempo, tollerato dal regime a tempi alterni e infine introdotto nella legislazione con timidi e vaghi cenni da Raúl. I cubani potrebbero votare le modifiche attraverso un referendum, che potrebbe dare a Díaz-Canel una sorta di incoronamento popolare.
Dal 2013 Díaz-Canel è stato il braccio destro di Raùl Castro. Aveva preso il posto di José Ramón Machado Ventura, della generazione dei «barbudos» e già allora Castro aveva spiegato la scelta di Díaz-Canel asserendo che veniva fatta «per favorire la promozione di una nuova generazione». Aveva definito il suo delfino un uomo «sobrio e leale» da «sempre fedele al partito».
Cuba ha sempre più bisogno di investimenti stranieri perché il Venezuela non è in condizione di continuare a mantenere economicamente l’isola. Dovrà affrontare il problema della doppia valuta: il peso cubano (Cup), con il quale lo Stato paga i salari, e il peso convertibile (Cuc) usato per il turismo e l’acquisto di immobili. Al cambio servono 24 Cup per un Cuc. Un altro capitolo molto complesso è quello del riordinamento del settore privato, che chiede nuove leggi e maggiore flessibilità. Rimane poi il problema dei rapporti con gli Stati Uniti, dopo lo stop al riavvicinamento diplomatico imposto dalla presidenza di Donald Trump.