Nemmeno la pandemia ha frenato i secessionisti. Gli elettori pro indipendenza si sono mobilitati in massa per raggiungere un risultato storico, dall’alto valore simbolico. Per la prima volta infatti i 3 partiti indipendentisti hanno ottenuto più della metà dei voti (51%), consolidando inoltre la loro maggioranza al Parlamento regionale (passando da 70 a 74 seggi su un totale di 135).
Il sorpasso in numero di voti sul blocco unionista è il dato politico più rilevante di questa tornata elettorale, unito al fatto che la leadership nel campo indipendentista è passata nelle mani di Erc, la Sinistra repubblicana di Catalogna. Questo non è un dettaglio perché chi sta già dirigendo le trattative per la formazione del nuovo Governo regionale è proprio Erc, partito che preferisce il dialogo al separatismo unilaterale, auspicato invece da Junts per Catalunya. Il partito del «leader in carcere» Oriol Junqueras ha in effetti superato di poco quello del «fuggitivo» Carles Puigdemont (33 sono i seggi ottenuti da Erc contro i 32 di JxCat). I due partiti avranno comunque bisogno anche dell’appoggio della sinistra anticapitalista della Cup (9 seggi) per poter governare.
La formazione del nuovo Governo non sarà comunque facile perché i tre partiti secessionisti rispondono anche a ideologie politiche completamente diverse. Si passa da un partito di recente creazione come JxCat (una destra nazionalista di ispirazione borghese, nata sulle ceneri della vecchia Convergència i unió, ma che ingloba una massa molto eterogenea di soggetti) a un partito della sinistra popolare con una struttura dirigenziale ben definita e radicata da 90 anni sul territorio come Esquerra republicana de Catalunya (Erc) per finire con la Cup (un movimento assembleare anti-sistema). L’unica cosa che realmente unisce queste tre formazioni è solo la volontà di creare uno Stato catalano indipendente ma divergono su tutto il resto. In effetti la distanza ideologica, soprattutto quella tra Erc e Junts, si è notata nell’ultima legislatura quando le tensioni sono state piuttosto forti. Sarà dura ricucire questa frattura per formare il nuovo Governo ma le chiavi del gioco questa volta sono in mano a Erc, che dovrebbe esprimere anche il nuovo presidente catalano.
Pere Aragonès, il candidato di Esquerra alla presidenza della Generalitat, ha già affermato che cercherà di formare il prima possibile un Governo indipendentista a favore dell’autodeterminazione e dell’amnistia per tutti i condannati separatisti in carcere. Naturalmente Aragonès sa bene che sono dichiarazioni di facciata, dato che queste azioni sono incostituzionali o sono decisioni che spettano solo al Parlamento nazionale (mediante una modifica della legge sull’amnistia) o al Governo (nel caso della concessione di un indulto). Il fatto però che al Governo centrale ci sia un Esecutivo progressista come quello di Pedro Sánchez, che ha puntato sul dialogo e sulla riappacificazione con la Catalogna, dovrebbe comunque essere d’aiuto per tenere basso il livello dello scontro tra Barcellona e Madrid.
La scommessa di Sánchez in Catalogna è stata altresì vincente. Il Partito socialista catalano (Psc) è risultato il primo con il 23% dei voti, recuperando il primato nello scacchiere politico catalano dopo 15 anni. Il candidato del Psc, Salvador Illa, ha detto di volersi presentare anch’egli all’investitura come presidente, pur non avendo i numeri sufficienti per una maggioranza unionista in Parlamento. Illa, con questa mossa, vuole principalmente speculare sulle divisioni tra Erc e JxCat e mettere pressione a Pere Aragonès, convincendolo della possibilità di un Governo «alternativo» non secessionista. Questo Esecutivo potrebbe essere formato dalle tre sinistre: Erc, Psc e En comú podem (la versione catalana di Podemos). Gli incontri tra i vari partiti per sondare possibili accordi di governo sono già cominciati e hanno come limite massimo il 12 marzo, ultimo giorno previsto per la costituzione del nuovo Parlament.
Nell’assemblea regionale catalana farà il suo ingresso per la prima volta il partito di estrema destra Vox, che ha ottenuto l’8% dei voti e 11 seggi. Un dato molto preoccupante, in una regione che si credeva immune dal populismo xenofobo e che invece si trova con un movimento che ha saputo intercettare al meglio la rabbia di quella parte di elettorato urbano (soprattutto nell’area periferica di Barcellona) che si è sentito escluso ed è stanco di sentire parlare solo di indipendentismo. Pur disponendo di una classe dirigente palesemente impreparata, a Vox sono bastati pochi slogan contro gli immigrati e avvolgersi nella bandiera del patriottismo spagnolo per diventare la quarta forza nel Parlament. Una specie di trumpismo, già diffuso anche nel resto della Spagna, che nella sua crescita sta rubando voti ai conservatori del Partito popolare, favorendo così indirettamente Pedro Sánchez. La nascita di Vox ha infatti portato alla irrilevanza politica il Pp in Catalogna (tre soli seggi ottenuti) e a un indebolimento della figura del suo leader Pablo Casado, sempre ondivago tra una linea di destra moderata e quella più estremista, nonché alle prese con gravi casi di corruzione del partito.
La mancanza di un’opposizione forte nel Parlamento di Madrid dovrebbe perciò consentire al premier una navigazione più serena del Governo centrale per almeno un anno, visto che non sono previsti altri appuntamenti elettorali fino al 2022. Inoltre per il primo ministro la minaccia indipendentista per il momento sembra più lontana, dato che Erc ha vinto la battaglia interna al secessionismo e, storicamente, ha sempre avuto un atteggiamento abbastanza pragmatico nelle richieste al Governo centrale. In ogni caso il governo Sánchez ha già messo le mani avanti, affermando che la possibilità di celebrare un referendum non viene presa in considerazione in quanto illegale. Insomma, nel breve periodo, il movimento secessionista può aspirare al massimo a ottenere la liberazione dei suoi leader in carcere, ma di autodeterminazione non se ne parla proprio.
Crepe nel fronte indipendentista
Elezioni catalane: i secessionisti comunque superano il blocco unionista. Intanto i socialisti diventano il primo partito e Vox ottiene l’8% dei voti. Madrid può attendere con più tranquillità il nuovo Esecutivo a Barcellona
/ 22.02.2021
di Gabriele Lurati
di Gabriele Lurati