Questa proprio non ci voleva: alludiamo alla dichiarazione rilasciata il 15 marzo dal presidente della Banca Nazionale Saudita, nella quale confermava che la banca, nel frattempo diventata il maggior azionista di Credit Suisse, con il 9,9% del capitale, non avrebbe più messo soldi a disposizione dell’istituto elvetico. Non ci voleva perché l’intero mondo finanziario stava cercando di porre rimedio alla crisi provocata dal fallimento della Silicon Valley Bank negli Stati Uniti, seguito da quello di altre piccole banche. Il panico che ne è seguito ha colpito tutte le Borse, con i titoli bancari in sensibile ribasso. Evidentemente ne ha sofferto di più il Credit Suisse, poiché aveva appena (9.2.23) reso noto i dati del bilancio 2022 che annunciavano una perdita di 7,3 miliardi di franchi. La presentazione ufficiale era comunque stata ritardata, perché nel frattempo la SEC, l’agenzia americana di sorveglianza dei mercati, aveva aperto un’indagine sui bilanci di Credit Suisse del 2019 e 2020.
In un clima già di per sé molto teso sui mercati finanziari ogni notizia ha un effetto immediato e peggiora la situazione di chi ha più difficoltà proprie. Il CS usciva da una crisi profonda a causa di operazioni speculative di alcuni fondi d’investimento nei quali aveva preso parecchi impegni. Crisi che si riflette ancora oggi sui bilanci (vedi «Azione» del 7.11.22). La notizia di cui dicevamo all’inizio è arrivata proprio nel momento in cui si stavano assorbendo gli effetti delle ultime vicende e si tentava di rimettere in sesto un andamento molto pessimistico delle Borse. L’azione di Credit Suisse ne ha sofferto molto pesantemente, al punto che la sua quotazione è scesa per la prima volta nella storia sotto i 2 franchi. A questi livelli aumentano i timori degli investitori che operano attraverso la banca, tanto più che voci di un acquisto di Credit Suisse da parte di qualche grosso investitore erano già corse negli ultimi tempi. A poco sono quindi valse le notizie secondo cui la componente svizzera del gruppo ha chiuso il 2022 con un utile di 1,4 miliardi di franchi e sono in atto misure di risparmio che dovrebbero permettere di risanare la situazione.
Sono però anche corse voci secondo cui il CS non avrebbe dichiarato tutto l’ammontare di franchi ritirati dai clienti dopo la vicenda degli ultimi mesi, il che ha costretto i dirigenti a fornire altre cifre. Tutti motivi che si innestano su un canovaccio di problemi difficili da risolvere anche per una banca di lunga tradizione e di importanza nazionale e internazionale. Su queste considerazioni si innestano però anche le questioni della definizione di «banca sistemica» per la Svizzera. Perciò anche la FINMA, l’organo svizzero di sorveglianza dei mercati finanziari, è già intervenuta, ponendo a Credit Suisse una serie di condizioni, che ne fanno una specie di «sorvegliato speciale». Nella serata dello stesso giorno, tanto la FINMA quanto la Banca Nazionale Svizzera hanno dichiarato di essere a disposizione per aiutare il CS a uscire da questa scabrosa situazione. In termini finanziari la giornata di mercoledì scorso si può riassumere in una perdita di circa il 30% del valore del titolo CS, il che porta la capitalizzazione della banca a soli 6,7 miliardi di franchi. Il mercato si aspettava un segnale di questo tipo, perché la crisi di CS stava trascinando con sé una brusca caduta non solo del settore bancario, ma anche di altri comparti che hanno già cominciato a soffrire a causa dell’aumento dei tassi di interesse.
Nella stessa notte, la direzione di CS faceva sapere, in un comunicato, di chiedere in prestito dalla Banca Nazionale Svizzera fino a un massimo di 50 miliardi di franchi per rafforzare il gruppo e contrastare la caduta del titolo in Borsa. Nel frattempo il CS ha comunicato una serie di riacquisti di debiti per un valore di circa 3 miliardi di franchi. Queste decisioni erano volte soprattutto ad assicurare i mercati sulla tenuta di CS e sulla volontà di proseguire nell’opera di risanamento. L’effetto è stato immediato. Giovedì 16 marzo, all’apertura della Borsa, il titolo CS aveva già recuperato il 31%, salendo a 2,22 franchi. Anche le Borse europee miglioravano. Mercoledì 15 marzo, in un clima depresso nei maggiori mercati europei, anche la Borsa svizzera aveva subito pesantemente gli influssi del calo del titolo di CS. L’azione UBS, per esempio, perdeva l’8,72%. Il calo toccava anche i settori assicurativi collegati. SwissRe perdeva il 5,18%, SwissLife il 5,78% e Zurich il 4,05%. Il calo si estendeva poi anche al settore industriale con ABB a –4,78% e Holcin a –3,13%.
Nel generale pessimismo il Credit Suisse ha fatto da detonatore per quella che poteva essere una crisi generalizzata. Di per sé però la banca non era (ancora?) nella situazione di dover chiedere aiuto. La FINMA aveva appena certificato che il CS poteva soddisfare le esigenze in materia di capitale proprio e liquidità per le banche di rilevanza sistemica. Però la fuga di capitali della clientela si è intensificata lo scorso anno con un deflusso di oltre 123 miliardi di franchi, di cui 50 in Svizzera. Deflusso che si è intensificato dopo il citato caso della Silicon Valley Bank, nonostante l’intervento delle autorità USA. Ad accentuare i ribassi contribuisce anche la politica delle banche centrali (confermata proprio giovedì dalla Banca Centrale Europea) che, aumentando i tassi di interesse, contribuiscono a ridurre la liquidità in circolazione rispetto agli eccessi degli scorsi anni. I recenti avvenimenti ricordano quelli precedenti la crisi del 2008. Tuttavia oggi la situazione è diversa. La vigilanza sulle banche è stata aumentata e il rispetto delle regole di Basilea III sulla gestione dei rischi permette interventi preventivi con capitali sufficienti. Si spera che proprio quella crisi e le difficoltà di oggi possano insegnare qualcosa.