Il Consiglio federale ha fatto sapere di voler presentare un controprogetto all’iniziativa popolare «Per prezzi equi». L’iniziativa, lanciata dagli ambienti delle arti e mestieri, promette di trovare un mezzo per combattere la prassi di chiedere, ai ricchi clienti svizzeri, prezzi più alti rispetto a quelli di altri paesi meno ricchi. Scopo dell’iniziativa è quindi anche quello di dare un contributo ad abbattere il mito di «Isola dei prezzi elevati», di cui approfittano soprattutto coloro che esportano prodotti in Svizzera.
Come notavamo già in un precedente articolo (vedi «Azione 18» del 30.04.18) gli strumenti per combattere questo fenomeno, nel nostro paese, non sono molti, né molto efficaci. La sorveglianza dei prezzi si limita alle grandi intese cartellistiche che possono dominare il mercato. L’iniziativa vuole proprio estendere questa possibilità, introducendo il concetto di «imprese che hanno una posizione dominante relativa sul mercato».
In sostanza si dovrebbero applicare, anche a imprese che hanno una dominazione «relativa» del mercato, criteri quali il rifiuto di fornire prodotti o servizi e la discriminazione nei prezzi. Ora, se già il concetto di «posizione dominante sul mercato» è difficile da stabilire e tanto più da applicare, quello di «posizione dominante relativa» presenta sicuramente difficoltà maggiori. Secondo gli iniziativisti, un’azienda ha un effetto dominante relativo sul mercato quando, sia in qualità di fornitore, sia in qualità di cliente, non lascia in pratica la scelta di alternative al partner commerciale.
Per cercare di dare migliori possibilità concrete di applicazione all’iniziativa, il Consiglio federale aveva deciso, già lo scorso mese di maggio, di studiare un controprogetto. Quest’ultimo deve contemplare lo scopo essenziale dell’iniziativa, ma applicare l’estensione delle regole solo all’estero. Idea che ovviamente sa molto di discriminazione nei confronti delle aziende estere. Al Consiglio federale è quindi apparso subito che l’applicazione del principio sarebbe stata molto problematica.
Ha perciò incaricato il Dipartimento dell’economia di chiarire se questo concetto sarebbe compatibile con il diritto umanitario e soprattutto con le regole dell’Organizzazione del commercio mondiale (WTO). Il Dipartimento dell’economia ha risposto affermativamente a queste domande e ne ha informato il Consiglio federale. È quindi previsto che nel mese di agosto venga preparato un progetto che potrà essere posto in consultazione.
Il controprogetto non potrà introdurre un principio generale di non discriminazione di aziende nazionali o estere, ma dovrà limitarsi soltanto a constatare trattamenti discriminatori da parte di aziende sia nazionali, sia estere. Imprese svizzere con una dominazione relativa del mercato, che vendono all’estero beni e servizi a prezzi inferiori a quelli praticati in patria, verrebbero trattate alla stessa stregua di aziende estere, che sono obbligate a praticare nei confronti di aziende svizzere le stesse condizioni applicate alle aziende locali. Recentemente, due giuristi hanno confermato che questa regola evita il rischio di un conflitto con le regole del commercio mondiale. Un’affermazione che però non cancella del tutto la sensazione che possa nascere una sorta di protezionismo nazionale. In pratica, senza una simile eccezione, molte aziende svizzere sarebbero colpite dal provvedimento. Sul piano interno la limitazione potrebbe invece essere un vantaggio. Infatti, si colpirebbero quei fornitori esteri che praticano il cosiddetto «supplemento di prezzo svizzero».
Per contro, il controprogetto non prevede regole per combattere la differenziazione dei prezzi nel settore del commercio online. Parecchi consumatori svizzeri hanno già potuto constatare che certe ordinazioni non vengono eseguite, poiché il fornitore non vende in Svizzera, oppure l’ordine viene deviato su un portale svizzero, dal costo superiore. Il Parlamento europeo ha già vietato questo blocco geografico, ma solo all’interno dell’Unione. Anche in Svizzera questo blocco geografico generalizzato è oggetto di discussioni, come prevede anche l’iniziativa.
Il Consiglio federale vorrebbe però rinunciare a un simile divieto. Del resto il blocco geografico, tramite accordi tra produttori e commercianti, è già proibito dalla legge sui cartelli. Non lo è però per chi non ha una posizione dominante sul mercato. Da qui l’opportunità di non inserirlo nella legge sui cartelli. L’iniziativa chiede perciò di inserirlo nella legge sulla concorrenza sleale, ma questa legge non tratta di discriminazioni nei prezzi.