Fra il malcontento dei sudditi di sua maestà verso il governo britannico a seguito dei party a Downing Street in piena pandemia, e l’impennata dei prezzi che ha portato l’inflazione a toccare il 7% nel Regno Unito, i conservatori sono determinati a fare almeno di Brexit un successo. O quantomeno, darne la parvenza. Ed ecco che Jacob Rees-Mogg – ministro per le Opportunità di Brexit e da sempre uno degli uomini più vicini al premier Boris Johnson – ha annunciato il rinvio dei controlli al confine sulle importazioni dalla Ue. Per la quarta volta. Il motivo? Consentirebbe di risparmiare, secondo lui, 1 miliardo di sterline all’anno, evitando di infierire così sulla spirale dei costi già in corso. Peccato però che in previsione dell’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea siano state già costruite da un pezzo tutte le infrastrutture per le ispezioni delle merci in arrivo dal continente. A spese dei contribuenti britannici, naturalmente, e dei porti che avevano già cominciato a reclutare il personale addetto.
I check sui prodotti alimentari e agricoli europei sarebbero dovuti partire nei prossimi mesi: il primo luglio per le carni, il primo settembre per i latticini e il primo novembre per il pesce e tutti gli altri alimenti. Adesso saranno posticipati alla fine del 2023. Oltre due anni dopo il termine del periodo di transizione. Erano stati ritardati già in un primo tempo nel giugno del 2020 sulla scia del Covid, con ulteriori estensioni del termine di inizio nel marzo e nel settembre del 2021. Il mancato avvio delle ispezioni britanniche al confine ha creato uno squilibrio nella modalità del flusso dei beni in uscita e in entrata, in quanto la Ue – a differenza della Gran Bretagna – ha implementato i controlli alla frontiera senza ritardi, subito dopo Brexit. Il risultato? I controlli unilaterali penalizzano gli esportatori britannici che sono soggetti a rigide procedure per vendere i prodotti alimentari nel continente, mentre i concorrenti europei continuano ancora ad avere accesso al mercato britannico senza costi e intralci rilevanti.
Rees-Mogg ha difeso il rinvio, millantandone i benefici per l’economia britannica nonostante ci sia un «libero scambio unilaterale», anziché bilaterale, e ha bollato l’Ue di protezionismo per il suo eccessivo rigore. La verità, tuttavia, è che la Gran Bretagna così fa affidamento in toto sugli standard di sicurezza europei dei prodotti agricoli importati, suscitando l’ira dei produttori del regno che – oltre a criticare l’iniquità del sistema – reputano che i check siano vitali invece per la biosicurezza della nazione.
L’Associazione dei veterinari britannici e il Sindacato degli agricoltori UK, infatti, sostengono che una frontiera sostanzialmente aperta con la Ue comporta il rischio di fare entrare nel Regno Unito pericolose malattie di animali e piante, come la peste suina africana, già dilagante in alcune parti dell’Europa. Ma il ministro per le Opportunità di Brexit minimizza, sottolineando che in ogni caso la Ue è «un mercato altamente regolato» e auspicando una riduzione dei controlli e delle tariffe doganali per tutte le merci in arrivo, anche da paesi extra-europei. Tuttavia non tutti all’interno del governo conservatore sembrano condividere con convinzione le sue posizioni totalmente pro-deregulation. Anne-Marie Trevelyan, ministra per il Commercio Internazionale, dimostra ad esempio una maggiore cautela, subordinando uno scenario di questo tipo alla stipulazione di trattati commerciali ad hoc. Quel che è certo, però, è che i confini britannici – a prescindere da controlli fisici o meno – si avviano verso la digitalizzazione: meno burocrazia e movimento delle merci più scorrevole.
«Quando il Regno Unito ha lasciato l’Unione europea abbiamo riacquistato il diritto di gestire le nostre frontiere come viene meglio a noi, incluse le importazioni da oltremare», ha puntualizzato Rees-Mogg in una nota. «Le aziende britanniche e i cittadini sono stati colpiti nella vita di tutti i giorni da un’impennata dei prezzi causata dalla guerra della Russia in Ucraina e dal conseguente aumento del costo dell’energia. Pertanto sarebbe sbagliato imporre nuovi intralci amministrativi, con il rischio di disagi nei porti e ripercussioni sulla catena di forniture», ha precisato, puntualizzando che il governo sta accelerando sulla digitalizzazione delle frontiere con nuove tecnologie volte a tagliare i costi a carico di imprese e consumatori e «massimizzare i benefici dell’uscita dalla Ue». L’ennesimo posticipo dei controlli UK e la prospettiva di uno scenario digitale sono stati accolti con favore dagli operatori dell’Eurotunnel, attraverso il quale transita un quarto degli scambi commerciali fra la Gran Bretagna e l’Unione europea, fomentando invece inquietudine negli ambienti portuali.
Infatti, se la prospettiva è la digitalizzazione, il timore è che il rinvio dei check fisici sia in realtà sine tempore, con la conseguenza di lasciare del tutto inutilizzate le dispendiose strutture costruite appositamente presso i porti e sprecando così milioni di sterline di finanziamenti pubblici e privati. Alcuni degli scali più importanti, come il porto di Portsmouth, non escludono pertanto di fare causa al governo per recuperare i loro investimenti, che appaiono sempre più a fondo perduto. Secondo UK Major Ports Group, l’ente che rappresenta i più importanti scali del regno, il settore portuale, infatti, ha investito almeno 100 milioni di sterline in aggiunta ai 200 milioni di stanziamenti pubblici, per erigere fabbricati attrezzati per i controlli e assumere il personale addetto.
Rees-Mogg, tuttavia, fa spallucce e va dritto per la sua strada. Sa che Brexit è stata l’arma vincente dei Tories e del suo leader Johnson. L’inflazione alle stelle? Addebitabile principalmente al Covid e al conflitto russo-ucraino. Ingorghi alle dogane? Senza restrizioni alla frontiera e digitalizzando i controlli, il problema non si pone. Quanto ai malumori nel Nord Irlanda che hanno portato al recente trionfo di Sinn Féin alle ultime elezioni a Belfast, il ministro ha ribadito più volte che il governo britannico non esclude di rivedere il protocollo nord-irlandese sancito con la Ue, fautore di un confine di fatto nel mare irlandese fra la nazione britannica e il resto del Regno Unito. Tanto, secondo lui, è «improbabile» che la Ue reagisca con una guerra commerciale contro la Gran Bretagna.